Berserk!!!

Berserk – La lotta per il sogno contro il destino

DI EDOARDO VALENTE

“Chi muore in una battaglia che non gli appartiene non sarebbe mai dovuto nascere”.

E tu sai per quale battaglia stai lottando?

Questa è la prima importante questione che ci viene posta nella lettura di Berserk.

L’autore, Kentaro Miura, prematuramente scomparso tre anni fa (tra le lacrime di migliaia di fan), ci ha lasciato una straordinaria opera incompleta.

Dal 1989 fino alla morte ha costruito un mondo, una storia e dei personaggi memorabili, fin dalle primissime pagine.

E oltre a quel mondo fantasy ambientato in un medioevo oscuro, oltre alle guerre che si combattono, ai demoni che lo popolano e alle violenze che vengono perpetrate, i messaggi che questo manga riesce a lanciare a chi lo legge sono preziosissimi.

A partire dalla frase che ho scelto di mettere in apertura.

È Gatsu a pronunciarla, il protagonista, che ci viene subito presentato come il “Guerriero Nero”: un combattente solitario e spietato in cerca di vendetta, perseguitato da creature dell’oscurità.

(Gatsu, il Guerriero Nero)

Perché cerca vendetta?

Superati i primi volumi del manga, un ampio flashback ci spiega, per i dieci volumi successivi, come ha fatto un essere umano – che per quanto eccezionale resta comunque un umano – a ritrovarsi in un inferno perenne.

Il contesto di ispirazione medievale aiuta a presentare situazioni estremamente drammatiche e disperate.

Gatsu viene trovato da una banda di mercenari sotto il cadavere di una donna impiccata, e questo già alimenta molte superstizioni sul suo conto: un figlio della morte è una maledizione.

E crescendo nell’orrore e nella violenza, impara ben presto a capire che l’unica cosa su cui può fare affidamento è la sua spada, per questo si allena incessantemente, fino a diventare uno spadaccino imbattibile.

Questa sua bravura viene notata da Grifis, il comandante dell’Armata dei Falchi, anch’essi mercenari, ma diversi da tutti gli altri. E molto probabilmente la loro diversità sta proprio nella loro guida.

Grifis non ha l’aspetto rozzo e trasandato tipico di chi vive tutti i giorni nel campo di battaglia, e pur venendo da un’infima condizione sociale (tanto da venire screditato per essere un semplice “plebeo”) egli sembra possedere in realtà qualcosa di nobile, anche negli intenti: vuole ottenere un suo regno.

(Grifis, il comandante dell’Armata dei Falchi)

Si incontrano quindi i due personaggi che, quasi da soli, reggono la trama che si dipana in questa prima parte del manga.

Due fortissimi guerrieri, che vengono dal nulla, e che avrebbero sempre continuato a combattere nelle loro strade opposte, se il destino non avesse fatto incrociare le loro spade.

Da un lato c’è la furia di Gatsu, che brandisce l’arma con violenza e grandissima potenza, che si butta nella mischia senza esitazione, fiducioso nella propria forza e sprezzante delle conseguenze: lui non ha altro che la sua spada, e non può fare altro che brandirla contro un nemico.

Dall’altro c’è il serafico Grifis, con la sua eleganza e astuzia, che è riuscito a mettere insieme un’armata disposta a seguirlo, convinta dal suo carisma e dalla sua abilità sia strategica che pratica. Tutti disposti a seguire quell’uomo e il suo sogno.


Ecco qual è il vero elemento che guida l’esistenza di tutti i personaggi: il sogno.

Ma non il loro sogno personale: il sogno di Grifis. Avere un suo regno.

Il discorso che viene fatto per spiegare quale importanza abbia questo elemento è talmente bello che voglio riportarlo per intero.

Grifis in quel momento sta parlando con la principessa del regno; lui, uomo che viene dal nulla, grazie alla sua bravura riesce ad essere accettato a corte e a parlare da solo con la figlia del re, la quale non capisce perché gli uomini siano così sanguinari.

Che motivo c’è per combattere e morire?

Al di là dei beni e dei successi materiali, Grifis parla di un altro valore.

“Qualcosa che non si fa per nessuno, e che si realizza solo per sé stessi. Parlo del sogno.

C’è chi sogna di dominare il mondo, chi dedica tutta la vita alla creazione di una spada. E se c’è un sogno a cui sacrificare tutti sé stessi, c’è anche un sogno che, simile a una tempesta, spazza via migliaia di altri sogni. Non c’entra la classe, né lo status, neppure l’età. Per quanto siano irrealizzabili, la gente ama i sogni. Il sogno ci dà forza e ci tormenta, ci fa vivere e ci uccide. E anche se ci abbandona, le sue ceneri rimangono sempre in fondo al cuore… fino alla morte.

Se si nasce uomini si dovrebbe desiderare una simile vita. Una vita da martire, spesa per un dio di nome sogno”.

E poi, aggiunge ancora:

“Si nasce per caso, senza volerlo. Molti finiscono per trascorrere un’esistenza priva di significato, ma io non potrei sopportare un’esistenza simile”.

Ecco, ora abbiamo quasi tutti gli elementi necessari per capire questa storia

Io sono nato per caso, senza volerlo. Sto trascorrendo un’esistenza priva di significato?

Il primo a chiederselo è Gatsu, che inizia a dubitare delle sue certezze, e capisce che lui non può essere semplicemente spazzato via da quella tempesta che è il sogno di Grifis, che ha già distrutto e distruggerà tantissimi altri sogni.

Ad un certo punto è lui a parlare a Caska, l’unica donna nell’armata dei Falchi – e al centro di un particolare triangolo non solo amoroso tra Gatsu e Grifis – di qual è l’energia che tiene unita l’intera armata e la sprona a proseguire oltre ogni battaglia.

È il “falò dei sogni”.

Ogni membro dell’armata aveva un suo piccolo sogno, che si è unito insieme a tutti gli altri, alimentando un fuoco più grande di tutti: “una fiamma enorme chiamata Grifis”.

Alla fine è il suo sogno a guidare tutti gli altri, e se vivono o muoiono lo fanno per il suo sogno, per qualcosa che, in fondo, non gli appartiene.

“Chi muore in una battaglia che non gli appartiene non sarebbe mai dovuto nascere”.

Ora questa frase assume un significato ben preciso. Ma Gatsu sente di non appartenere a questo sogno, il suo fuoco non è lì insieme agli altri. Di fronte a questo focolare lui si sta solo scaldando di passaggio, il suo è un viaggio che continuerà da solo.

Leggendo queste pagine, venendo catturati dalle splendide tavole del maestro Miura e dai suoi discorsi pregni di grande significato, ci viene posta un’altra grande questione: se so per cosa vale la pena lottare, vivere e morire, posso farlo insieme agli altri o devo farlo da solo?

Grifis è consapevole della sua superiorità, e così della sua solitudine. Il suo sogno è qualcosa che fa solo per sé stesso, tutte le persone che lo circondano sono solo pedine.

E Gatsu, che credeva di essergli amico, si rende conto che sta semplicemente venendo usato, che sta usando la sua spada per combattere una battaglia che non è la sua.

Nel manga il testa a testa tra questi due personaggi è così forte anche perché si stimano e si ammirano reciprocamente.

Gatsu è l’unico che ha la forza di abbandonare il sogno di Grifis, andando in cerca del proprio, e proprio per questo la sua perdita è irreparabile.


Questo duplice rapporto di vicinanza e rivalità, di stima e di necessità reciproca, ricorda il rapporto tra Napoleone e Talleyrand. 

E in effetti Grifis è delineato come il “conquistatore” per eccellenza. È convinto dell’esistenza di una figura definita “colui che muove il mondo”, che è stato scelto da una legge universale.

Ma in questa solitaria lotta per la conquista dell’assoluto, in realtà si ha sempre bisogno degli altri.

Poteva Napoleone creare un impero senza dei soldati che lottassero per lui? No. Così come Grifis non poteva muovere alcun passo verso il suo sogno senza l’aiuto della sua armata. E la strada per raggiungerlo è lastricata dai cadaveri di chi è morto in questa impresa, compagni o avversari che siano.

Come, però, aveva notato in tempi non sospetti un certo Raskol’nikov: ai conquistatori questa carneficina viene scusata, giustificata, perdonata.

Come se fosse ovvio condannare un semplice assassino per il suo unico omicidio, e non fosse ovvio farlo per chi, aspirando a grandiose conquiste, ha portato alla morte migliaia di persone.

All’inizio, leggendo quest’opera, anche il lettore vive per il sogno di Grifis, combatte con lui e spera in una vittoria definitiva; e quando le cose iniziano ad andare male si dispiace, perché ormai credeva nel sogno. Finché alla fine il sogno non richiede un sacrificio troppo grande, imperdonabile.

Eppure, lo sapevamo tutti. Lo sapeva il lettore, e lo sapevano i personaggi, coloro che seguivano ciecamente il sogno di qualcun altro.

Il sogno è qualcosa non solo per cui vale la pena vivere, ma anche morire. E se si muore perseguendo il sogno di qualcun altro, allora per cosa si è vissuto?


Questo è il dilemma che viene portato avanti costantemente, tra battaglie sanguinose, intrighi e complotti nella corte reale; vicende umane, dolori e sofferenze, gioie momentanee, aspirazioni; orrori disumani, creature inimmaginabili e forze oscure incontrollabili.

Grifis sente che ottenere quel potere assoluto è il suo destino. 

E se il destino di tutti coloro che gli stanno attorno fosse semplicemente quello di sacrificarsi per il suo sogno?

Questo può valere per tanti, sì, ma non per tutti. A insegnarcelo è proprio Gatsu. Lui è l’elemento imprevedibile, che sfida apertamente quello che gli altri chiamano “destino”.

Quando gli viene spiegato che ormai il suo destino è vivere in quel mondo infernale popolato da incubi che lo tormentano incessantemente, lui sputa su quelle parole. Non se ne fa nulla della “teoria”, non gli interessa se quello che gli accade succede per destino o per qualsiasi altra cosa.

Lui sa solo che quella è una guerra, è la sua guerra. “E in guerra vince chi rimane in piedi per ultimo!”.

Tutto ciò che ha sempre avuto bisogno di sapere è solo questo.

E probabilmente è quello di cui abbiamo bisogno anche noi.

Dietro tutte le invenzioni con le quali ci mascheriamo e difendiamo, dietro tutte le accuse che lanciamo verso il vuoto, tutte le responsabilità che scarichiamo sul nulla e le scuse che troviamo per non agire c’è solo la nostra paura, o incapacità di agire.

Ma c’è un’unica cosa che resta, ed è la nostra azione, il segno con il quale intacchiamo il mondo.

E se abbiamo un sogno per cui vale la pena vivere e morire, allora le scuse non ci servono a niente.

Bisogna prendere in mano la spada e iniziare a lottare.


(Questo articolo è dedicato alla nostra Eleonora, Project Manager-Editor di “Mercuzio and Friends”, grande fan di Berserk, in occasione del suo compleanno!)

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