L’ARTE DEL RECUPERO-BAGAGLI

DI ALBERTO GROMETTO

Non esiste al mondo, credo, cosa più democratica ed egualitaria che aspettare l’arrivo dei propri bagagli all’aeroporto. Tu sei lì, insieme a tante altre persone, e aspetti, vicino a quel nastro che scorre, il tuo momento. Il momento in cui arriverà la tua valigia. E starà a te afferrarla. E sai che ognuna di quelle persone, nessuna esclusa, aspetta lì come te per la tua stessa, identica ragione. E non c’entra nulla quanto possano essere diversi da te, non è importante da dove vengono o dove siano diretti, non conta niente quanta strada abbiano fatto né il perché e il per come siano lì. La sola cosa che conta è che sono lì, vicino a quel nastro, e aspettano. E aspettiamo tutti la stessa cosa. Il nostro momento.

Credo non esista miglior rappresentazione possibile della Vita. Assistere tutti insieme, inermi, estranei e sconosciuti eppure così simili e vicini tra Noi, allo scorrere lento e incessante, in attesa di quel momento che stai aspettando e che dovrai saper acchiappare. Non so se il Mio Augusto Padre avesse in mente questo la prima volta che mi disse: “Entri in azione la Squadra Recupera-Bagagli!”.

Avevo undici anni, ed era la prima volta che andavo a New York. Siamo sempre stati dei grandi viaggiatori, io e i miei genitori. Mai stati tipi da spiaggia o da montagna, nessuno dei tre. Stare fermi in un posto durante le vacanze ci manda ai matti. Forse perché abbiamo sempre vissuto nella stessa città, chissà. E poi l’amore per il visitare, lo scoprire, l’esplorare ci ha sempre unito. E avere la fortuna e il privilegio di osservare tanti angoli di mondo, e soprattutto farlo insieme, è una delle cose più belle che ci sia mai capitata in questa vita.  

Ebbene, il Mio Papà m’ha fatto capire che quella del Recupero-Bagagli è un’Arte con la “A” maiuscola. E come ogni Arte ha le sue regole, i principi che la governano, richiede una sua tecnica e una sua pratica. Vi sono soprattutto alcune fondamentali verità che non devi mai dimenticare quando parti “in spedizione” alla ricerca della tua valigia.

BISOGNA AVERE PAZIENZA.

Ebbene sì, quando si tratta di dover recuperare un bagaglio, la pazienza è la numero uno. È un po’ come la pesca, ma molto più difficile. Il pesce appartiene alla Natura, se non lo acchiappi potrai essere triste ma solo fino ad un certo punto. Non potrai addolorarti più di tanto, e questo perché quel pesce già in partenza non era tuo, non è mai stato tuo. È la Natura che decide se concedertelo o meno. 

Io non sono mai stato un pescatore, sia chiaro, e nemmeno un tipo paziente a dire il vero. Ma tutto questo cambia nel momento in cui io e Mio Padre, in veste di “Squadra Recupera-Bagagli”, siamo accanto a quel nastro. Sappiamo avere pazienza, attendere il nostro momento. Che prima o poi verrà. Altrimenti vince il nastro.

Questa regola la imparai proprio all’inizio di quel primo viaggio a New York. Eravamo rimasti sospesi a mezz’aria sull’aeroporto JFK per oltre due ore, in attesa che ci facessero atterrare. A quanto pare “non c’era posteggio”. Troppo affollato. È stato proprio su quell’aereo sospesi a mezz’aria che il Mio Papà mi raccontò di quanto fosse fondamentale la missione che ci attendeva. Di come dovessimo formare una squadra. Andò avanti a parlarne per un’infinità, come volesse in qualche modo riempire il tempo di quella pesante attesa. Aspettare così, dopo un viaggio aereo già lungo di per sé, fu estenuante. Ma è altrettanto vero che io per la maggior parte del tempo fui troppo impegnato a sentire Mio Padre raccontarmi dei bagagli, del loro recupero, di come io e lui avremmo formato una task-force. 

Una volta scesi, abbiamo dovuto aspettare ancora parecchio. Continuavano ad arrivare bagagli di altri voli, ma non i nostri. Quanta gente era arrabbiata. Ma io no. Ero troppo occupato a vedere Mio Padre che mi indicava un tizio bizzarro dall’altra parte del nastro. “Quell’uomo baffuto aspetta la sua valigia, proprio come noi. Anche lui sa che non può permettersi di fallire!”. Chissà se l’ha poi recuperato il suo bagaglio. Chissà se lo stava aspettando, un bagaglio. Le nostre valigie arrivarono, e la Squadra Recupera-Bagagli le afferrò con grande baldanza. Certo che quel tizio non è fortunato come me, pensai. Lui non ha un compagno di squadra a tenergli compagnia nell’attesa.

SAPER GESTIRE L’IMPREVISTO.

Shanghai. Cinque anni dopo. Non so a voi, ma a me non sono mai piaciuti gli imprevisti. Però capitano. Non solo nella Vita, quelli probabilmente non saprò gestirli mai. Ma capitano quando ti ritrovi a dover recuperare la tua valigia! 

L’onoratissima Squadra Recupera-Bagagli aveva già numerosi anni di onoratissimo servizio alle spalle, e si era portata a casa numerose missioni con discreto successo. Ma durante quel particolare viaggio in Cina, l’impresa si ripetè per otto volte nell’arco di un mese. Viaggiando da un angolo all’altro del paese, prendevamo l’aereo ogni tre per due. E questo significava molto lavoro per la nostra task-force!

E per il calcolo delle probabilità, prima o poi qualcosa doveva andare storto. “Ricordate: qui in Cina è normale che ti smarriscano il bagaglio”. Così ci disse la guida, tanto per rassicurarci. E così sembrava essere successo, in quel di Shanghai. Le valigie non giungevano. Il nastro scorreva, la luce lampeggiava. Ma niente valigie. Qualcuna, ogni tanto. Ma non le nostre. Ecco, questa è la sola cosa su cui nessun trovatore di bagagli, nemmeno il migliore, avrà mai potere: quando ti smarriscono la valigia. O forse sì? 

Mio Padre e io aspettavamo, come nostro solito. Accanto a noi, sorpresa delle sorprese, un’altra Squadra Recupera-Bagagli. Due persone del posto. Noi non parlavamo la loro lingua, e loro non parlavano la nostra. Eppure ci comprendevamo, sì, ci capivamo perfettamente. Entrambe le task-force avevano un compito, ed entrambe volevano adempiere alla sacra missione: recuperare il bagaglio. Ma se non fosse mai arrivato? La paura aleggiava e serpeggiava. Queste due strane coppie, nella loro bizzarria, senza parlarsi, si scrutavano a vicenda. E attendevano. Il panico era forte, intorno a loro. 

Ad un certo punto io e uno dei due decidemmo che dovevamo vedere con i nostri occhi. La posta in gioco era troppo altra. Così io, con Mio Padre che mi guardava le spalle, e il mio omologo dell’altra squadra, il quale aveva a sua volta il compagno che scrutava attorno, alzammo il siparietto che escludeva il nostro sguardo alla vista dei bagagli. Insieme, praticamente in piedi su quel nastro, guardammo: le nostre valigie erano lì, non le avevano ancora scaricate, ma non erano andate perdute! Soddisfatte, le due squadra si complimentarono a vicenda con un semplice assenso. Non ci saremmo mai più rivisti. Eppure amo pensare che quel momento, nel quale tutti e quattro eravamo insieme e uniti, nessuno di noi se lo scorderà mai. È uno di quei momenti magici e speciali nel quale realizzi: Ah, allora non sono solo dopotutto! Non che io l’abbia mai pensato comunque. Io ho sempre avuto il Mio Papà, con me.

GUARDARE SEMPRE COME SONO DISPOSTE LE SCAGLIE.

Due anni dopo. Avevo compiuto 18 anni. E per festeggiare, io e i miei andammo in Australia. Anche quello fu un viaggio pieno di voli aerei. Fu nel piccolo e particolarmente disastrato aeroporto situato davanti al gigantesco pietrone noto come Ayes Rock, il cui vero nome è però «Uluru», che andammo incontro ad una missione particolarmente tragica. Saremmo stati due giorni spersi nel deserto ad osservare quel gigantesco massiccio roccioso. Bellissimo e spettacolare, davvero! Lo avremmo visto all’alba, al tramonto, di notte, nel pomeriggio, su un elicottero, facendo colazione, cenando, bevendo. Ma di una cosa avremmo dovuto aver bisogno per tutto quel tempo. E già lo sapete di che si tratta: le nostre valigie.

Eravamo di nuovo accanto a quel nastro. Non ci misero tanto tempo ad arrivare. Il fatto è che era uno degli aeroporti più piccoli in cui sia mai stato. E il nostro era il solo volo in quel momento. E nessuna valigia all’orizzonte. Fu così che, ad una velocità record, il tranquillo e silenzioso outback australiano venne inondando dalle urla e dalle grida di Mia Madre. Sì, durante le missioni della Squadra, Mia Madre da tradizione si siede sul pancotto aeroportuale a pochi metri da noi, custodendo i bagagli a mano. Prima raccontavo di come spesso la folla intorno a me e a Mio Padre sia molto arrabbiata quando le valigie tardano, al punto da essere in procinto di mettere a ferro e fuoco l’aeroporto. Ecco, solitamente la Mia Mamma è a capo della folla inferocita e inneggia al tumulto. La cosa è spassosa assai, a dire il vero! E mi fa fare un sacco di risate, mi piega in due.

È stato proprio durante i celebri moti insurrezionali australiani, mentre eravamo in quel minuscolo e una volta tranquillo e pacifico aeroporto, che osservai la gente andare avanti e indietro da un punto all’altro del nastro. Ma da dove arriveranno?, si chiedevano. Beh, questa è una delle prime cose che impari se fai parte di una Squadra Recupera-Bagagli come si deve. Devi sempre osservare le scaglie del nastro. A seconda di come sono disposte, capisci verso quale direzione esso si muova. E a seconda di quale sia la direzione, ti disponi il più vicino possibile alla porticina da cui usciranno. Come farai a capire dove posizionarti? Come le migliori cose: facendolo. È solo dopo aver svolto tante missioni che potrai dire di aver affinato lo sguardo. È l’esperienza che ti insegnerà dove devi aspettare. E io e Mio Padre ne abbiamo tanta di esperienza in tal senso. 

Questo articolo lo dedico dunque al Mio Compagno di Squadra, col quale ho recuperato tanti di quei bagagli nel corso di un’esistenza leggendaria fatta di viaggi ed esplorazioni per il mondo. Queste parole sono scritte per l’unica persona con la quale vorrei mai recuperare un bagaglio, e che m’ha insegnato la più importante delle Verità proprio a proposito di questa nobile e sacra Arte. Tutti sono bravi a recuperare i bagagli, lo fanno tutti nella vita, e ci riescono bene o male tutti quanti. Ma sono davvero pochissime quelle persone che sanno, ogni volta, rendertelo una delle più straordinarie ed epiche avventure che possano essere vissute. Sono rare, e insieme meravigliose, quelle persone che come Mio Padre sono capaci di prendere una cosa tanto semplice e banale per trasformartela in uno dei rituali e dei ricordi più cari e preziosi che Tu avrai mai. 

Grazie Papà per essere la straordinaria persona che sei e per avermi riempito la vita con ogni piccola, minuscola, microscopica cosa che fai. Compreso ovviamente recuperare ogni volta quei bagagli, insieme. 

Non pensate quindi che quest’Arte per me si riduca ad aspettare davanti a quel nastro che giunga il tanto agognato e atteso momento. Nel caso, non avreste capito niente. Io infatti quel tanto agognato e atteso momento lo sto vivendo mentre aspetto l’arrivo delle valigie. C’è il nastro che scorre, lento e incessante. C’è tanta umanità attorno a me, arrabbiata o disperata o annoiata, nella sua pazza, folle, disordinata bellezza. E, soprattutto, c’è Mio Padre, lì accanto a me. Cosa altro potrei desiderare? Non è l’arrivo del bagaglio, ma è quello della sua attesa il momento meraviglioso. E, pur sperando che non ci abbiano perso le valigie, vorrei che quel momento durasse per sempre e non finisse mai. 

Se vuoi leggere di un’altra arte nascosta e riscoprire il significato che l’amore per la cura e la dedizione hanno nel momento in cui vuoi essere artista, questo è l’articolo che fa per te!!!

Mercuzio and Friends è un collettivo indipendente con sede a Torino.

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