di Giacomo Camisasca
Vi ricordate Vanessa Carlton? Per chi non lo sapesse, Vanessa Carlton è una cantante originaria di Milford, Pennsylvania. Nell’ormai lontano 12 febbraio 2002 usciva il singolo che l’avrebbe fatta conoscere in tutto il mondo, “A Thousand Miles” proveniente dal suo album d’esordio Be Not Nobody.
La canzone ha una dolce melodia Pop barocca e parla di una rottura e della fase che segue, in cui chi soffre, deve raccogliere i cocci della propria anima e cercare di risistemarli in un modo o nell’altro, ma è anche quel momento in cui aleggia ancora un barlume di speranza, in cui crediamo fermamente che l’altro in qualche modo possa accorgersi del nostro malessere e decida di ritornare sui propri passi, soltanto per salvarci.
Cioè, non so se effettivamente parla di questo, ma è la sensazione che mi dà ogni volta che l’ascolto.
Però non sono qui per parlare della canzone in sé, e nemmeno del suo splendido videoclip, in cui Vanessa Carlton guida e suona un pianoforte mentre canta a squarciagola, ma per parlare di un film, Beau Is Afraid, pellicola del 2023, diretta da Ari Aster.
So quello che state pensando: perché esordire raccontando di Vanessa Carlton?
Se avete visto il film magari potreste intuirlo, ma se ancora non l’avete fatto cercherò di spiegarvelo.
Prima di iniziare due parole sulla trama:
Il protagonista, Beau Wasserman, interpretato da Joaquin Phoenix, un tipo pieno di fobie, deve intraprendere un lungo viaggio dopo la notizia della morte di sua madre, ma durante il percorso si ritroverà immerso in un’avventura dalle tinte oniriche e ansiogene che lo porteranno faccia a faccia con tutte le sue paure più nascoste.
Ok.
In una scena del film, Beau si ritrova a completare un puzzle insieme ad altri due co-protagonisti della pellicola. In questa sequenza viene usata come sottofondo musicale proprio “A Thousand Miles”.
La prima volta che ho visto il film ho pensato solamente che fosse stata una scelta simpatica da parte di Ari Aster, metterla come elemento comico dato che tutta quella scena, e tutta quella parte di film (vabbè tutto il film) erano pressoché surreali. Ma dopo essere andato una seconda volta al cinema, mi sono detto che non poteva essere soltanto quello, non poteva ridursi solo ad un “Ma sì dai, in quella scena mettiamo quella canzone lì” No! In quel momento avrei voluto tantissimo avere il numero del signor Aster, per chiamarlo e chiedergli perché proprio quella canzone, che significato aveva, perché proprio Vanessa Carlton?
Così, ho aperto il mio Amazon Music e per giorni e giorni mi sono ascoltato A Thousand Miles, in loop, ritrovandomi una sera pure a cantarla in uno squallido karaoke di Torino. Però, nonostante i continui ascolti, non riuscivo a trovare quel punto di contatto tra Beau Wasserman e quella splendida melodia, fino a quando, un giorno, dopo essermi concentrato di più sul testo sono riuscito a trovare quello che stavo cercando, e mi sono dato dello stupido perché la soluzione era sempre stata lì, sotto i mei occhi!
“Faccio la mia strada verso il centro
camminando velocemente
le facce passano
e sono diretta a casa…”
Il nostro protagonista all’inizio del film torna verso il suo appartamento, dopo la seduta dallo psichiatra, attraversando il mondo che lo circonda, una realtà di puro degrado dove un manipolo di persone incita un poveraccio a buttarsi giù da un palazzo, dove un bambino imbraccia un mitragliatore puntandolo a casaccio in mezzo alla strada. La povertà e il disgusto aleggiano su ogni cosa.
“…con lo sguardo perso nel vuoto
fisso in avanti
mi faccio strada
mi faccio strada tra la folla…”
Con lo sguardo perso nel vuoto, Beau Wasserman cammina con la testa china dopo essere sfuggito ad un uomo con tutto il corpo tatuato che ha cercato di forzare la porta d’ingresso del suo condominio. Beau cammina verso l’ascensore malandato consapevole di essere scampato al pericolo che incombe al di là delle sue quattro mura, nelle strade del suo quartiere, popolate da cadaveri in decomposizione, tossici, prostituti, gente che cava occhi usando solamente i pollici e ballerini di salsa no stop. Beau si è fatto spazio tra la folla e ora si trova davanti alla porta del suo piccolo appartamento.
“…e ho bisogno di te
e mi manchi
e ora mi chiedo…
se io cadessi
nel cielo
pensi che il tempo
mi supererebbe?
perché lo sai io camminerei
per mille miglia
se solo potessi
vederti
stanotte…”
Le domande si diramano nella testa di Beau, in perenne conflitto con i suoi sensi di colpa nei confronti di Mona Wasserman, sua madre. Deve recarsi a casa per l’anniversario della morte del padre, ma una serie di imprevisti grotteschi lo costringono a rinchiudersi nel suo appartamento e perdere il volo. Si ritrova sul divano a rigirarsi tra le mani il regalo che ha preso per la madre, una piccola effige bianca di una donna incinta che si sorregge la pancia, e mentre cerca di spiegare a Mona quello che gli è successo, sente la delusione e il rimprovero arrivare come uno schiaffo sulla sua faccia e così chiede terrorizzato: “Mamma dimmi qual è la cosa giusta da fare”.
Ma una risposta non arriva, rimane il peggio, il silenzio.
E così Beau Wasserman cammina per mille miglia solo per poter arrivare da lei, vive la sua avventura più grande, solo per poter arrivare da lei e subisce le cose più terribili, solo per poter arrivare da lei.
“…ci sono sempre periodi come questi
quando penso a te
e mi chiedo
se tu pensi mai
a me…”
Nel suo incredibile quanto folle viaggio, Beau si interroga spesso su quello che sia stata Mona per lui, si chiede se l’amore sia stato reciproco, si chiede come mai lei lo faccia sentire sempre così sbagliato e, in questo lungo vagare, mette insieme i pezzi di una vita castrata fin dal principio, ricordando un amore perduto e sognando l’esistenza che avrebbe potuto avere se soltanto sua madre gli avesse detto la verità.
“…perché tutto è così sbagliato
e io faccio parte
della vita nei tuoi
preziosi ricordi…”
I ricordi sono le reminiscenze di un passato tormentato che delineano quello che è diventato Beau. Come un pezzo di argilla, tutta la sua esistenza è stata modellata dalla madre, una donna che fin dai suoi primi vagiti aveva avuto un attaccamento morboso nei suoi confronti e che in tutti i modi aveva cercato di dirottare la sua vita verso un perenne stato di paura. Mona Wasserman, che con una sinistra menzogna aveva delineato la vita del suo povero figlio rinchiudendolo in una gabbia fatta di ricatti.
Va bene, forse queste similitudini le vedo solo io, perché molto probabilmente ho ascoltato troppo questa canzone, però sono convinto di una cosa: nella pellicola il pezzo della cantante americana non può esserci finito per caso.
Mi piace immaginare Ari Aster mentre guarda il videoclip di A Thousand Miles e decide di raccontare la storia di un uomo che inizia a vagare inseguito da ogni forma di paura, un po’ come fa Vanessa Carlton mentre percorre con il suo pianoforte l’entroterra e le metropoli americane.
Beau Is Afraid è un film da lente d’ingrandimento, necessaria per notare tutti i piccoli dettagli disseminati qua e là che a una prima visione sfuggono. È un film che si discosta molto dai canoni della settima arte e che forse ne crea di nuovi. È un film unico, che nel bene e nel male verrà ricordato e nel bene e nel male farà scuola.
Il film di Ari Aster è la paura che prende vita ed esplode in tutta la sua selvaggia anarchia sballottando di qua e di là insieme a Beau Wasserman anche lo spettatore, perché mica solo lui ha paura, tutti abbiamo paura.