Il Musical Greco-Shakespeariano di Tim Burton: Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street

DI ALBERTO GROMETTO

Fermi tutti! Un Musical realizzato da TIM BURTON? Davvero è possibile? Sì, se ci sono tante gole tagliate, sangue che scorre a fiumi, un setting gotico-dark molto cupo e ovviamente quei meravigliosi interpreti che sono i due attori feticcio burtoniani per eccellenza: JOHNNY DEPP e HELENA BONHAM CARTER!!!  

Un Musical dal sapore shakespeariano, che rimanda alle grandi tragedie greche classiche in cui Vendetta chiama Vendetta, atroci delitti si sommano ad atroci delitti e il Sangue incontenibile si propaga a non finire. Il tutto narrato attraverso il filtro burtoniano: estetica gotica, ambientazione cupa, personaggi assolutamente sinistri. 

Burton nelle sue Storie parla di Morte, fantasmi, spettri, cadaveri, insomma: tutti temi molto dark, gotici, oscuri. Ma ne parla in un modo che, fateci caso!, non risulta mai essere spaventoso, orrorifico o troppo inquietante. E questo perché il nostro Tim non produce degli horror, ma piuttosto delle fiabe. Certo, fiabe cupe e oscure e gotiche, ma comunque fiabe. 

Nel caso però di questa sublime perla del 2007 le cose sono molto diverse. Perché non è una fiaba quella che vediamo andare in scena, ma una tragedia teatrale di epiche proporzioni in cui sono tutti colpevoli. E dunque, come del resto dicono nel corso del film, «tutti noi meritiamo di morire».

Tra le pellicole mai realizzate dal Maestro, questo è senz’altro il suo film più spaventoso. Ma non tanto perché sia, o meno, un horror. E del resto la storia raccontata non presenta alcun elemento favolistico o fantasy. Trattasi piuttosto di un film spaventoso perché offre in tutta la sua macabra grottesca essenza una fotografia ritraente i più reconditi meandri oscuri del perverso animo umano. E dimostra la più terribile, desolante, orrida delle verità.

Il Male che l’Uomo fa al suo simile, rende quest’ultimo malvagio tanto quanto il suo carnefice. Le vittime del Male diventeranno anch’esse colpevoli, così da poter restituire quel Male che han ricevuto a chi glielo ha fatto. Ma nel fare il Male ai malvagi, inevitabilmente si finirà per fare il Male anche a chi non c’entra nulla. Perché il Male attacca chiunque e può provenire da qualsiasi parte: è gratuito, spontaneo e innato nella natura umana. 

La Grandezza e l’Unicità di questo film stanno proprio nel fatto che sostanzialmente nessun personaggio presente è buono o luminoso. Tutto quanto e tutti quanti sembrano sporchi, fetidi, lerci, nauseabondi, cattivi. E poi in realtà scopri che non solo lo sembrano: ma lo sono. Il fatto che questa vicenda così cupa e macabra sia narrata, tra canzoni e balletti, sotto forma di Musical, genere che nell’immaginario collettivo è associato a sentimenti positivi e luminosi (basti pensare agli anni ’50 ad esempio), trasmette una sensazione di piacevole estraniamento che fa gridare al “capolavoro”!

La storia è quella di un barbiere che una volta era felice ma al quale poi, senza che nulla avesse fatto per meritarselo, fu portato via tutto. Perché? Non esiste un perché. 

È il Male, gente. E il Male non ha bisogno di perché o di per come. Il Male funziona così. Agisce semplicemente perché gli va di agire.

Il barbiere però ritorna. Non è più lui, però. Perché prima era una persona felice. Ora è come la maggior parte degli esseri umani: rabbioso, sanguinario, perfido, perverso, malvagio. E desideroso di restituire tutto il Male che gli è stato fatto, anche se questo significa che qualche innocente si farà male lungo il percorso. Ma del resto, guardando a questa raggelante e gelida umanità feroce e senz’anima, chi può davvero essere definito “innocente”? 

Riporto qui il dialogo tra due dei cattivi più cattivi che ci siano, due personaggi semplicemente magnifici nell’apparire sempre, comunque, e a prescindere come i più malvagi possibili, anche quando semplicemente passeggiano per strada. Gli interpreti sono quei fenomenali e magnetici attori che rispondono ai nomi di ALAN RICKMAN e TIMOTHY SPALL

Il personaggio di Spall è il lacchè e malefico tirapiedi del Giudice impersonato da Rickman, un giudice che nel momento in cui stanno parlando ha appena finito di condannare a morte un disperato e sventurato bambino.

Spall= Proprio la sentenza che aspettavamo!

Rickman= Ma era colpevole?

Spall= Anche se non lo era, avrà certo peccati meritevoli di impiccagione!

Rickman= E quale uomo non ne ha? 

Cala il silenzio.

Spall (dubbioso)= Come dite? 

Rickman esita per un paio di secondi.

Rickman= Non importa! 

(Timothy Spall e Alan Rickman, nel corso del film)

Ecco, in questo minuscolo momento è racchiusa l’essenza di un’intera opera. Il Giudice è perfettamente e pienamente consapevole di tutto quello che abbiamo detto finora: ogni uomo è colpevole al punto da meritare la morte, e questo vale anche per lui.

La Londra vittoriana dell’Ottocento, di cui ci viene offerto un ritratto a dir poco terrificante, diventa così il luogo del Male, l’epitome della più disperata depravazione umana, il manifesto della perfidia più perversa possibile: tutto quanto, dalle scenografie alla fotografia, passando per le interpretazioni attoriali di primo livello fornite da un cast assolutamente straordinario, senza scordarci dello sguardo da Maestro del regista, emana un senso di sporco atroce e desolante. «Un grande pozzo nero abitato dalla feccia del mondo la cui morale non vale lo sputo di un maiale», così viene definita questa città. E soprattutto la gente che vi dimora.

Il protagonista impersonato da Depp è un uomo che non ha fatto nulla per meritarsi il Male che ha avuto. Eppure lo ha avuto lo stesso. Ed è pronto a restituirlo a chi glielo ha fatto. E non importa se tante altre persone che non c’entrano nulla vi finiranno in mezzo. E così che devono andare le cose, a quanto pare. 

Ti vien fatto il Male senza che tu abbia colpe. E allora inizi a fare il Male tu, e nel farlo diventi colpevole. 

Tutti quanti sono cattivi, tutti quanti meritano il Male. Non è un caso se tutti quanti sembrano pallidi fantasmi incadaveriti. Finanche un personaggio ridicolo, ma alla fine anch’egli diabolico, quale lo sciocco pagliaccio buffonesco interpretato da quel genio brillante di comicità che è SACHA BARON COHEN, merita il peggio possibile.

Questa perla sublime è talmente curata in ogni suo singolo aspetto che davvero è impossibile rimanere indifferenti: molti lo ritengono l’ultimo vero grande film burtoniano per eccellenza. 

Cosa poter aggiungere ancora? Solo che l’Essere Umano si ritrova a mandare giù di tutto, anche quanto di più disgustoso e maleodorante possa esserci (come degli strambi pasticci di carne). Il punto è: perché lo fa? A volte per inerzia. Talvolta per adeguarsi alla massa. Altre volte però, come nel caso del barbiere, perché si ha talmente tanto sporco e tante ferite dentro, che si vuole restituire quel dolore a qualcuno. E altre volte perché si ha un cuore. E non potevo in conclusione non omaggiare quello che è il miglior personaggio del film, a mio modo di vedere. Nonché uno dei migliori personaggi burtoniani mai visti sullo schermo. Quello di MRS. LOVETT, impersonato da una divina Helena Bonham Carter in stato di grazia, un tempo compagna di vita di Tim, madre dei suoi figli e una dei suoi attori più gettonati. 

La Lovett ci insegna che spesso sono i nostri sentimenti e i nostri sogni, che sulla carta dovrebbero essere quanto di più bello e naturale e umano possa esserci, a renderci “inumani”. Lei è probabilmente la più diabolica e perfida e ambigua di tutta l’inquietante galleria di characters che ci offre il film, ma è allo stesso tempo “la più umana”. Lo so, sembra un controsenso pazzesco. Ma è l’Umano ad essere un controsenso pazzesco. 

Se il Giudice di Rickman fa quel che fa solo perché gli è permesso dalla sua posizione, se al vendicativo barbiere di Depp interessa solamente distruggere chi lo ha distrutto, e a tutti gli altri importa di fare il Male tanto per il gusto di farlo, lei agisce come agisce, compiendo quanto di più atroce si possa compiere, perché sogna, sogna come una ragazzina innamorata, sogna un futuro da condividere insieme a qualcuno, sogna un’esistenza felice e luminosa, anche se vive circondata dalle persone meno luminose e felici che ci siano e in un mondo che più cupo e grottesco non si potrebbe. E questo la rende a sua volta cupa e grottesca. Oltre che un’anima dannata e condannata. 

E così sì, è davvero possibile finire di sognare ogni giorno di trovarsi in riva al mare sposati e con dei figli, mentre intanto si cuociono cadaveri di persone affinché quel sogno così bello possa diventare realtà. 

Perché la nostra più grande condanna, la nostra più orrida dannazione, è proprio quello da cui non si potrà mai scappare: ciò che si ha nel proprio cuore.

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