The Killer

DI GIACOMO CAMISASCA

Attieniti al piano.

Non fidarti di nessuno.

Vietato empatizzare.

Parigi.

Un killer professionista su commissione (Michael Fassbender) è posizionato all’interno di alcuni uffici WeWork in ristrutturazione. 

Dalla finestra osserva – in attesa della sua preda – la vita che scorre al di sotto: un cameriere che pulisce il marciapiede, una ragazza che fa colazione, un uomo che ogni mattina apre il suo negozio.

La vita placida nel piccolo quartiere parigino non si è accorta minimamente dell’esistenza del killer, che si riposa il giusto, che fa yoga, che controlla i suoi battiti e che ascolta i The Smiths con le sue cuffiette.

Lui aspetta, aspetta il momento giusto.

La preda arriva, è un uomo, uno come tanti, uno che ha avuto la sfortuna di incrociare la strada del killer.

A lui non gliene frega un cazzo di chi ha davanti, uno vale l’altro ed è per questo che è uno dei migliori, uno che non sbaglia mai un colpo.

Attieniti al piano.

Respira.

Fai scendere i battiti.

Bisogna sfruttare il momento giusto, ora la preda è nel mirino, basta solo premere il grilletto.

Fuoco.

Il colpo però non va a segno, il killer sbaglia per la prima volta, una nuova sensazione mai provata prima.

E ora?

La nuova pellicola di David Fincher (Fight Club, Seven, Zodiac) si apre con un errore, il primo errore di un killer metodico, freddo, distaccato e con un pensiero nichilista che ci accompagna per tutte le due ore del film.

Quel singolo errore scatenerà una serie di eventi che metterà il killer dall’altra parte del mirino e lo catapulterà in un viaggio per il mondo alla ricerca di chi vuole ucciderlo.

Il film è esattamente come il suo protagonista, freddo e distaccato, si prefigge solo un unico obbiettivo, raccontare la storia e basta, senza troppi fronzoli, senza empatizzare minimamente con il pubblico.

Si può dire, in un certo senso, che l’intera pellicola scompare e noi spettatori ci ritroviamo soli con il killer, a vagare nei suoi pensieri, mentre lui come un camaleonte si sposta dalla Repubblica Dominicana fino a New Orleans, dalla Florida a Chicago, cambiando identità ogni volta, stando attento a non lasciare traccia e con un solo obbiettivo in testa, non commettere più un singolo errore.

Ma chi è il vero killer? Fassbender o Fincher?

(Il regista David Fincher durante le riprese del film)

Mi piace paragonare tutto questo ad una masterclass su come diventare i più letali dei sicari e Fincher si limita a darci le istruzioni, né più né meno, in fondo cosa ci aspettiamo da uno che toglie la vita per lavoro? Ci aspettiamo la misericordia? Ci aspettiamo una redenzione?

Assolutamente no.

Il regista americano ci mostra quello che per lui è la freddezza più assoluta, un esperimento in cui, come detto in precedenza, la pellicola si posa come un velo sul protagonista, si muove e si evolve con lui, diventando di minuto in minuto più aderente alla pelle del killer.

Michael Fassbender è perfetto in questo ruolo e il suo killer rimanda subito alla mente il Jef Costello interpretato da Alain Delon nel film Le Samouraï di Jean-Pierre Melville.

Perfino il look – spacciato per l’outfit di un turista tedesco qualunque – ricorda la pellicola del 1967.

Fassbender si attiene al piano di Fincher, rimane freddo, non si fida di nessuno e non prova empatia.

“Il bisogno di sentirsi sicuri è un terreno scivoloso. Il destino è un placebo, l’unico percorso della vita è quello dietro di te.

Se nel breve tempo che ci viene concesso non riesci ad accettare questo, forse non sei uno dei pochi, forse sei proprio come me, uno dei tanti”.

Se proprio vogliamo trovare una pecca in questa pellicola allora bisogna puntare la torcia verso un’immagine troppo digitalizzata e parecchi effetti speciali che risultano di scarsa fattura (vedi gli aerei di linea che sembrano appiccicati al cielo o le scene tra le nuvole), per il resto questo The Killer, presentato in concorso all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, rimane una pellicola diversa dalle altre opere di Fincher, e sicuramente, per alcuni, quella freddezza e quel distacco avranno l’effetto di un muro invalicabile in cui sarà impossibile trovare un punto d’appiglio che ci agganci al protagonista o a qualsiasi altro personaggio.

Se siete in cerca di una pellicola emotivamente coinvolgente, che vi faccia strappare una lacrima oppure una fragorosa risata, allora questo film non fa per voi.

Se invece volete entrare nella mente di un killer che ascolta i The Smiths, allora… 

Attenetevi al piano.

Non fidatevi di nessuno.

Vietato empatizzare.

Ci vediamo su Netflix.

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Se pensi di essere un killer… beh, non so cosa dovresti fare nel caso, però intanto leggiti questo articolo!!!

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