Challengers – Due racchette, una pallina e l’altro

DI ALBERTO GROMETTO

Non esiste uno sport più duro del tennis. Non dico sia il più difficile o complicato. Sostengono che il gesto tecnico sportivo più complesso al mondo sia il salto con l’asta. A seguire lo swing nel golf. Ma in termini di pressione, è davvero arduo trovare qualcosa di “peggiore” del tennis. 

Nel tennis siete tu e l’altro. Punto. Il giudice di sedia, i giudici di linea, i raccattapalle, il pubblico… sì, ci sono, e ti guardano, il che non fa altro che aumentare la tensione. Ma prima di qualsiasi altra persona, ci siete tu e l’altro. E non esiste pareggio. Uno sarà il vincente e l’altro il perdente

E quando si vince o si perde, non esiste un modo per “trionfare di più” o “farsi sconfiggere di meno”. O sei quello che vince oppure quello che perde. E non conterà un cazzo quanto ti sei sforzato, il sudore che hai versato, il punteggio che sei riuscito a strappare, se quel giorno ti è morto il gatto, o l’infortunio che ti ha spezzato il ginocchio. No. Conterà solo se hai vinto oppure perso. È questo quello a cui la gente guarda. Questo e nient’altro. Alla fine ci si ricorda di chi ha portato a casa il match point.

La Vita funziona così, e LUCA GUADAGNINO ce lo sa raccontare talmente bene che ancora adesso, mentre vi sto scrivendo di questo film qua, i brividi mi corrono lungo la schiena. La pellicola in questione si intitola «CHALLENGERS». Il titolo ha un duplice valenza. Da una parte fa riferimento a quei tennisti che giocano il cosiddetto Challenger Tour. Dall’altra deriva dal sostantivo “challenge” che significa “sfida”, conseguentemente sarebbe traducibile come “gli sfidanti”. 

(Luca Guadagnino)

E in effetti tutta la pellicola è costruita intorno ad una sfida, una partita, un match. Pur muovendosi in lungo e in largo nel tempo e nello spazio, fuori e dentro il campo da gioco, ritraendo una sfida che nei fatti nasce e cresce e si evolve per tredici anni a suon di sconfitte, vittorie, infortuni, scopate, tradimenti, litigi e urla rabbiose, tutto quanto si riduce ad un unico incontro di tennis. Il film parte da quello, finisce con quello e torna sempre a quello. Un match che vede due sfidanti al centro di tutto, e solamente uno dei due sarà quello che vincerà, mentre dell’altro… che ne sarà? Il nulla cosmico. 

I due sfidanti sono Art e Patrick. Patrick e Art. “Il ghiaccio e il fuoco” vengono soprannominati, anche se non ci dicono chi sia cosa. Ma lo si può intuire. Il film ci fa credere ci sia pure un terzo sfidante in gioco, che guarda dagli spalti: la bella quanto ferocissima e spietatissima TashiDuncan-InatorDuncan. Ma a dire il vero, forse, alla fin fine, lei non fa parte di questa partita come potrebbe sembrare. «Il triangolo, no, non l’avevo considerato» cantava Renato Zero. Perché è un triangolo quello attorno al quale ruota il film: due uomini e una donna. Ma non può certo essere definito il classico triangolo quello che ne viene fuori.

I due duellanti che combattono questa sudatissima partita sono sicuramente Art e Patrick. Ma che gioco gioca Tashi in tutto questo? Quale è il suo ruolo? Oggetto della contesa? Oppure sadico soggetto che manovra i fili? Pallina da tennis che rimbalza tra due racchette? Oppure sono le due racchette che si agitano intorno alla pallina che le fa muovere a suo piacimento? O magari entrambe le cose? Forse funziona come in una vera partita a cui partecipano giocatori di pari livello: ogni tanto sei tu a condurre il gioco e ogni tanto è il gioco che conduce te. Ogni tanto hai la situazione in mano e ogni tanto ce l’ha l’avversario. E ogni tanto semplicemente è la partita stessa che decide al posto dei suoi giocatori. Funziona come nella Vita.

(Mike Faist nei panni di Art)

Art è impersonato da un notevolissimo MIKE FAIST, capace di tratteggiare un personaggio che sperimenta il tumulto e il caos interiore in ogni sua forma rimanendo però sempre controllato, sempre riservato, sempre apparentemente imperturbabile. Insicuro, convinto di perdere, tendente alla resa… ma al tempo stesso pronto ad approfittare della prima occasione buona per sfruttare le debolezze altrui a suo piacimento e vincere. Anche se non si sentirà mai un vincente vero.

Il compito di incarnare Patrick spetta invece ad un magistrale JOSH O’CONNOR, fenomenale nel fornirci il ritratto di uno spavaldo arrogante consapevole di esserlo, e per questo tutto sommato veramente simpatico, con tutte le carte in regola per vincere ma che alla fine non risulta abbastanza motivato, non gli importa abbastanza di vincere perché riesca a vincere. Ma sa essere tanto tagliente, e le sue palle ad effetto sono tanto spietate, al punto da non sapere mai cosa aspettarsi da lui.

(Patrick, impersonato da Josh O’Connor)

Due perdenti, insomma. Due perdenti diversi ma simili, che non è che perdono, ma piuttosto “non vincono”. In due maniere differenti ma somiglianti. Due perdenti che provano un affetto straordinario l’uno per l’altro, talmente grande da risultare sfaccettato, ambiguo e quasi indefinibile. Tanti anni prima questi due perdenti vincono, insieme, in un doppio. Ma poi arriva lei, tutto cambia, il tempo trascorre e uno si ritrova “dalla parte giusta” della rete della Vita e l’altro da “quella sbagliata”. Fin quando le loro strade, e così le loro racchette, non si rincrociano sul campo “di battaglia”. Pardon: “di tennis”. 

Ora: qual è il fatto? Il fatto è che questa partita al centro del film, nella quale si ritrovano a guerreggiare l’uno contro l’altro, non è la finale di Wimbledon. E nemmeno il match del secolo. Lo è per loro che lo giocano, per lei che li guarda. Ma in realtà siamo al Challenger Tour. Cioè dei tornei di “seconda categoria”. O “seconda fascia”. Una sorta di “Serie B”. I due perdenti dovrebbero rappresentare gli archetipi opposti del tennista: uno dei due ha avuto successo, l’altro solo fallimenti… eppure si ritrovano tutti e due lì, su quel campo, e non si sa davvero chi alla fine vincerà. Né nel tennis né, in realtà, soprattutto… nella Vita. E del resto c’è lei, lì, che li sta guardando con sguardo severo.

Lo sport del diavolo”. Il tennis è anche chiamato in questo modo. Perché? Perché basta un niente, un soffio di vento, qualcosa che non avevi calcolato… che tutto quanto cambia all’improvviso. E mai avresti potuto prevederlo. È uno sport che picchia duro. Come del resto la Vita stessa. Sarà la quattrocentesima volta in questo articolo che paragoniamo il Tennis alla Vita, e viceversa. Perché? 

(Zendaya, che interpreta Tashi)

E qui parliamo di lei. Tashi. Che è portata in vita da una ZENDAYA sempre sfavillante e luminosa. Lei dovrebbe essere, potrebbe essere, vorrebbe essere una vincente. Se gli altri due in fin dei conti vivono il tennis come un gioco, lei lo vive come vita. Perché per lei il tennis e la vita sono nei fatti la stessa, identica cosa. Noi parliamo solo di tennis tutto il tempo, le dicono in continuazione nel corso del film. E lei risponde sempre: Di che altro dovremmo parlare? Né Patrick né Art, pur avendo la stoffa per esserlo, saranno dei vincenti, perché a nessuno dei due frega abbastanza. Non come a lei. Però a lei viene preclusa la possibilità che hanno quei due, e cioè vivere in nome del Tennis. E così lei finisce, più o meno consapevolmente, per essere la vera motivazione che spinge quei due perdenti su quel campo da tennis, in quel campionato di cui non importa niente a nessuno, a versare sangue, sudore, fatica e lacrime, rovinandosi e distruggendosi vicendevolmente, pur di poter essere “il vincente”.

Una sfrenata corsa adrenalinica ricca di tensione al cardiopalma certamente non esente da difetti: alcune scene potrebbero essere ritenute troppo kitsch o esagerate o lente, e il continuo salto avanti e indietro nel tempo potrebbe confondere molti (anche se io vado pazzo per queste cose)… ma l’originalità, la freschezza e la sorpresa proprie di questo gioiello sono encomiabili! 

Ma la morale qual è? La morale è che il Tennis e la Vita… e lo so che rimarrete sorpresi da quanto sto per dirvi… non sono per niente la stessa cosa! 

Ce lo insegna il finale nel quale… dopo aver visto di tutto e di più, ed esserci persi nelle vite di quei tre… noi ci ritroviamo dentro quel match. Fino a quel momento, pur parlandone tutto il tempo, avevamo visto molto poco Tennis. Avevamo visto invece tanta Vita. Ma, giunti alla conclusione, ci ritroviamo dentro la sfida, e non come inermi spettatori. Ma da dentro. E non pensiamo più a nient’altro. Non ce ne frega nemmeno più di perdere. Tutto quello che di faticoso e terribile è stato affrontato nei tredici anni precedenti (per loro, i personaggi) o nelle due ore di visione precedenti (per noi, gli spettatori), s’annulla. Scompare. Non esiste più. La Vita se ne va e lascia spazio al Tennis. Rimane solo la Passione, quella vera. Non la Passione di vincere, ma quella di essere su quel campo. E a quel punto essere solo con l’altro è quanto di più bello e meraviglioso possa esserci. Sapete cos’è il Tennis?, vien chiesto nel film. È una relazione, è la risposta. Una relazione tra i due giocatori, che per quei quindici secondi di vero Tennis non sono più lì. Li vedi, ma loro sono da un’altra parte. E sono insieme. Bastano due racchette, una pallina e… l’altro sfidante.

Noi siamo andati a vederlo nel nostro cinema del cuore ❤️, il solo posto nel quale mai avremmo potuto vederlo, IL REPOSI DI TORINO IN VIA XX SETTEMBRE 15: ANDATECI ANCHE VOI!!!

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