Quando è ora di dire basta – Women Talking

DI ALBERTO GROMETTO

Parlare non serve a nulla. A questo mondo è mai servito qualcosa a qualcuno parlare? No, mai! E, dico io, forse è per questo che viviamo in un mondo di merda? Sì, m’avete capito bene. Magari buona parte degli errori commessi nell’arco della nostra Storia, tutte le guerre, i brutali assassini, gli efferati orrori del genere umano… forse, MA DICO FORSE, si sarebbero potuti evitare parlando? Semplicemente parlando? Dite di no? Però provarci, anche solo provarci, non costa nulla… no? Magari può servire a qualcosa, no? Beh, in effetti, però, dire che parlare non costa nulla è sbagliato. Profondamente sbagliato. Oltre che ossigeno, tempo, fatica ed energie parlare è molto difficile perché vi sono delle volte in cui sembra che sia tutto inutile, volte in cui è dolorosissimo toccare taluni argomenti, volte in cui pensi che forse è meglio lasciar perdere perché così è più facile. Vedete, io sono una persona che ha consacrato la sua Vita alla Parola. Amo la PAROLA in ogni sua forma: scritta, parlata, registrata… tutto quello che è PAROLA io lo amo. E pensare che con le parole non si possa cambiare il mondo, mi distrugge. “Contano solo i FATTI e non le belle parole”, mi hanno sempre detto. Persino la rivista settecentesca illuminista «Il Caffè», fondata dai fratelli Pietro ed Alessandro Verri insieme al massimo dei filosofi Cesare Beccaria, periodico che raccoglieva tutta l’intellighenzia del paese, nel suo motto affermava: «Cose e non parole».

Dunque, davvero le parole valgono nulla? Chissà, forse hanno ragione. Forse è vero. Ma io devo vivere pensando che invece la parola giusta possa davvero cambiare le Sorti del Mondo. E io credo che in passato vi siano state delle storiche occasioni in cui la parola ha fatto ciò che andava fatto. Devo crederci perché vivo di quello, grazie a quello e per quello. E, se non ve ne siete accorti, ho parafrasato le parole finali di uno dei più straordinari e gloriosi esempi di comunicazione che mai essere umano abbia realizzato. Mi riferisco al «Discorso Di Gettysburg», tenutosi nel pomeriggio del 19 Novembre 1863. Chi lo ha scritto, redatto e pronunciato in quella storica storica storica giornata fu il mio idolo Abraham Lincoln, 16º Presidente degli Stati Uniti D’America, per me “Assoluto Imperatore Incontrastato Della Parola. E lui ce l’ha fatta, a cambiare il Mondo, con le sue sole parole. Perché Egli fu il protagonista di quello che per me è l’atto storico più importante di tutta la vicenda umana qui su questa Terra: per la prima volta da quando esiste il mondo, una Nazione dichiarava, indipendentemente da qualsiasi condizione (colore della pelle compreso), ogni uomo libero e uguale di fronte alla Legge. E sì, ci fu la guerra, la morte, e il sangue. Ma alla fine si arrivò a questo risultato. E non ci si sarebbe mai arrivati, senza quelle sue parole. Grazie, Abraham. 

Una lezione di questo tipo ce la dà il film di cui adesso parleremo. Abbiamo citato Lincoln, ma tanti altri personaggi sono stati capaci di mutare il nostro Destino attraverso il potere della Parola: il Dr. Martin Luther King Jr, il Presidente John Fitzgerald Kennedy, il Mahatma Gandhi, il Presidente Nelson Mandela e, ovviamente, Emmeline Pankhurst. Lei fu e sarà sempre un incrollabile esempio indelebile per tutte e tutti noi: a guida del Movimento delle Suffragette nel Regno Unito ha fatto sì che le donne ottenessero il diritto di voto e ha mostrato al mondo intero per la prima volta un’immagine di donna completamente diversa da tutto quello che era stato fino ad allora, modellando le menti, i cuori e l’immaginario collettivo di ognuno. Ed è proprio di Parole e Donne che parla «WOMEN TALKING», questa sensazionale perla firmata nella Regia e nella Sceneggiatura dalla brillante artista Sarah Polley, che dimostra di essere una Potenza Invincibile proprio in fatto di parole.

Fresco vincitore del Premio Oscar come Miglior Sceneggiatura Non Originale (il tifo, in questa categoria, di tutto il nostro illustre Comitato di Redazione era proprio per questa pellicola), credo che la parola migliore per poterlo definire sia… eccezionale. Anche se talvolta, questo bisogna riconoscerlo, non esistono parole per descrivere la vera bellezza. (E se lo dico io, che sono un fervido fan della parola, un motivo ci sarà!). È la storia drammatica e eternamente attuale di un gruppo di donne facenti parte di una cupa e chiusa comunità mennonita retrograda e maschilista e, in realtà, pure perfidamente crudele e spietata e feroce. Perché, maschilismo a parte, vi sono dei limiti che se superati, non possono che portare ad una domanda: Ma questi sono esseri umani? I maschi di questa comunità sembrerebbero proprio non esserlo e, cosa peggiore, con le loro azioni sembra abbiano tolto l’umanità anche alle Donne, rendendole bestie da macello. Fino al giorno in cui il Male diventa troppo e loro si rendono conto di non essere bestie da macello, ma Esseri Umani che parlano e possono prendere decisioni. 

Bellissimo ma anche terribilmente inquietante che gli uomini vengano sempre citati nel corso della pellicola come “Gli Uomini”. Tutto questo li disumanizza ancora di più. Ebbene, le sofferenze e i dolori e i tormenti che “Gli Uomini” infliggono alle Donne giungono ad un livello abissale: viene fuori che molti di loro, somministrando loro pesanti tranquillanti per vacche, le hanno stuprate nel sonno, rendendo molte di loro madri. I colpevoli vengono presi e arrestati e tutti gli altri Uomini della colonia accorrono in aiuto dei loro “simili” (sì, simili… perché per loro le Donne non sono dei “simili”), lasciando le Donne sole per due giorni. E così loro parlano. Parlano perché è chiaro che si debba fare qualcosa. Quello che di terribile è successo fa capire alle Donne che loro non possono più scendere a compromessi per il quieto vivere, per il terrore di fare qualcosa di sbagliato agli occhi di Dio, o perché sono state abituate ed educate in questo modo. È ora di dire basta. Ma non tutte sono d’accordo. E anche se la maggioranza sa che non si può andare avanti così, non c’è accordo sul modo di fermare la barbarie. Rimanere e combattere? Oppure andarsene? Ma andarsene non equivale a fuggire vigliaccamente? E se si combatte, che si fa? Si redige una sorta di “Dichiarazione D’Indipendenza”? E se dicono di no? Si ammazzano? Che fare? Così loro parlano. Parlano perché è chiaro che sia necessario fare qualcosa. Ma cosa? 

Stiamo parlando di Donne cresciute nella sofferenza fisica, emotiva ed intellettuale, che gli Uomini hanno volute analfabete e mansuete, e che ora finalmente vedono come stanno le cose. Le vedono come mai le avevano viste prima. O forse le vedono come mai prima le avevano volute vedere. La Regia è empatica, umana, toccante. La fotografia suscita una malinconica tristezza molto dolce, per quanto, soprattutto riflettendo su certe sequenze, dolorosa e scioccante. I dialoghi dimostrano quanto anche una sceneggiatura cinematografica possa essere considerata un capolavoro letterario. E infatti questo film è tratto dall’omonimo romanzo del 2018 scritto da Miriam Toews.  Le interpretazioni sono a dir poco memorabili, indimenticabili ed eterne.

Uno dei miei colleghi di visione cinematografica, nonché mio carissimo amico personale, tale signor Paolito, a cui questo articolo è dedicato, dopo aver sottolineato e ribadito l’assoluta necessità di scrivere su tale film tanto era entusiasta, ha aggiunto che per lui meritava non un 10 ma bensì un 10+… e se lo meritava per come ogni personaggio rappresentasse un diverso modo di approcciarsi al tema della violenza sulle donne. Io dirò di più: a mio modo di vedere, ogni personaggio della pellicola incarna un modo diverso di approcciarsi ad un problema, specie se si tratta di un problema delicatissimo e che ha radici così profonde. Da una parte c’è il personaggio interpretato dall’impareggiabile Frances McDormand, cioè colei che non vuole sentir parlare del problema e che dice che le cose sono sempre state così e pertanto sempre dovranno rimanere così, forzando anche la decisione delle persone vicine a lei, e decidendo anche di andarsene subito, pur di non sentir parlare della cosa. Dall’altra c’è la combattente Claire Foy che desidera combattere e ammazzare piuttosto di lasciare che sua figlia subisca ancora quello che ha subito. Poi la calma e riflessiva Rooney Mara, anch’ella vittima, come tutte, ma capace di riflettere con imparzialità, giudizio e buonsenso, evitando di farsi influenzare dalle emozioni. E ancora abbiamo la pacata ma tanto fragile Michelle McLeod, che è quella che più assomiglia alla Mara, pur non avendo la sua forza di carattere e il suo temperamento. Abbiamo l’anziana che cerca di tenere insieme il gruppo, nonostante le terribili divisioni. Abbiamo le bambine che ridono delle discussioni delle grandi che tanto parlano, ma nulla fanno… al punto che poi si incazzano anche, quando è il caso. E c’è anche Melvin, che una volta era una donna di nome Nettie, ma che adesso desidera essere un uomo. Forse anche perché l’hanno portata a rifiutare la sua vecchia sé. Ma, poco importa, ora vuole essere un maschio e sente di esserlo.

E poi abbiamo anche il personaggio di Mariche, reso vivo e vero di fronte a noi da quella che, a mio parere, è destinata ad essere tra le più grandi attrici della sua generazione, un’interprete che ad ogni performance dimostra di possedere un talento “alla Meryl Streep e che sulla carta è Destinata a rimanere, siccome già con quel che ha fatto è rimasta. Quell’attrice è Jessie Buckley. E il suo personaggio non è d’accordo con le altre, lei vorrebbe che le cose rimanessero così, che fossero in grado di perdonare gli Uomini. Ma non se ne va, anche quando la discussione la fa arrabbiare. Rimane. Rimane per parlarne. Rimane perché in realtà non vuole che le cose rimangano così. Di tutte lei è quella che più urla, più strepita, più grida. A costo di sembrare feroce, spietata, crudele. E cattiva. Ma è tutto tranne che cattiva. È una persona che deve fare la cattiva solo per poter sopravvivere. Che fa quello che fa perché sua madre le ha detto che era giusto così. E allora lei l’ha fatto perché non le è mai stato insegnato altro. E del resto vi è un momento in particolare del film che deve essere celebrato. Quando ci si chiede se anche gli Uomini, in un certo senso, non siano vittime quanto le Donne, dato che anche a loro sono stati inculcati certi ideali, anche a loro sono stati insegnati certi comportamenti, anche loro sono stati cresciuti ritenendo giuste cose che non lo erano. Anche a loro nessuno ha mai detto di fare altro. Ma se le Donne, o molte di loro comunque, sono arrivate dopo tanto tempo a capire che qualcosa non va e che il momento di dire basta è giunto, forse allora anche gli Uomini lo capiranno. Se non tutti, almeno qualcuno di loro. E in questo senso merita di essere ricordato il personaggio interpretato da uno stratosferico Ben Whishaw: il solo uomo che sta dalla parte giusta dimostrando un’umanità tenera e sofferente, che sa quello che è giusto e quello che è sbagliato e, anche se non è forte, lui lotta come può. E magari lui, insegnante della colonia, può educare i ragazzi, futuri Uomini, e cambiare il loro modo di vedere le cose.

Altre Parole, per quanto io le ami, credo che ora non servano. Tranne quelle immortali di una delle più Grandi Donne che abbiano mai solcato il nostro mondo cambiandolo e plasmandolo per sempre. Sto parlando della First Lady Eleanor Roosevelt. Alcuni direbbero: “Lei è la moglie del Presidente Franklin Delano”. Io dico: “Lui è il marito di Eleanor Roosevelt”. Ebbene, Lei disse quanto segue: 

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Un gruppo di studiosi e appassionati di cinema, teatro, discipline artistiche e letterarie, intenzionati a creare uno spazio libero e stimolante per tutti i curiosi.

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