La Sposa Cadavere – Finché c’è Vita, c’è Morte… ecco perché c’è speranza!

DI ALBERTO GROMETTO

Da che mondo è mondo, appena si nomina il cinema d’animazione, il primo di tutti i riferimenti è la DISNEY. 

Che la si ami oppure la si odi, la THE WALT DISNEY COMPANY è il modello numero uno nel momento in cui si parla d’animazione. La visione, la forza, l’immaginario e la capacità di guardare sempre avanti del caro Walt hanno fatto sì che la sua creatura diventasse immortale. Nessuno mette in discussione il Genio del signor Disney, ed è innegabile quanto il suo modo di fare cinema sia stato capace, volenti o nolenti, di imprimersi a fuoco nell’immaginario collettivo storico globale.

(Ci manchi Walt)

Ma non siamo qui per parlare della Disney, pur volendo parlare d’animazione. E infatti non dobbiamo mai dimenticare che per ogni grande marchio, per ogni grande casa di produzione, per ogni grande autore, vi è comunque uno stile, dei personaggi e una narrazioni alternativi.

Per ogni Coca-Cola, c’è una Pepsi. 

Per ogni McDonald’s, c’è un Burger King. 

Per ogni prodotto Disney, c’è un film d’animazione che porta avanti un’idea tutta sua di fare cinema.

Ed è bello, ed è giusto, ed è sacrosanto che sia così. 

E questo chiunque, appassionati disneyani o acerrimi nemici, dovrebbe pensarlo.

Di sicuro la pensa così TIMOTHY WALTER BURTON, meglio noto come TIM. Lui in gioventù lavorò per la grande casa californiana, furono Topolino & Amici a farlo partire grazie ad una borsa di studio che il futuro cineasta, allora diciottenne, riuscì ad aggiudicarsi. Dopodiché? Dopodiché soffrì atroci patimenti. Fu ad esempio uno degli animatori dietro «Red e Toby – Nemiciamici»: film che odierà per tutta la vita.

In quel tipo di pellicole c’è luce, candore, splendore… e quelle «graziose bestioline ammiccanti», per citare le stesse burtoniane parole. Lui invece vuole raccontare fiabe, sì, ma nei loro aspetti più oscuri, gotici, macabri, grotteschi e dark. Lui vuole raccontare dei freak strambi che nessuno vuole avere intorno, quei personaggi che vengono lasciati indietro perché ritenuti troppo strani, Tim vuole far luce su quei solitari ma meravigliosi emarginati che altrimenti son sempre relegati nell’oscurità. Soprattutto desidera affrontare temi complessi e difficili quali la Morte, la Tristezza e appunto la Stranezza senza dover adottare uno stile colorato e vivace e sempre allegro come quello disneyano. 

E così che fa Burton? Si prende la sua meritata rivincita! E anche in più di un’occasione. Ma ai miei occhi, tra tutte le soddisfazioni che si è preso, la più grande è questa di cui sto per narrarvi: il primissimo film d’animazione della storia a vedere il nostro Tim (produttore, oltre che autore del soggetto) alla regia, affiancato dall’animatore MIKE JOHNSON.

(Mike & Tim)

E per l’occasione, il Maestro Burton compie vere e proprie meraviglie rivoluzionarie: il suo «LA SPOSA CADAVERE» fu il primo film animato in stop-motion ad essere girato in digitale, ad essere ripreso con camere fisse, ad utilizzare nuove tecniche per quanto concerne i pupazzi… e chi più ne ha, più ne metta!

Ne esce fuori un capolavoro del visivo, in cui l’estetica, insieme visionaria e sognante, dei personaggi tutti uno più bello dell’altro e delle ambientazioni squisitamente burtoniane dimostrano come non esistono limiti alle potenzialità del mezzo animato e di come si possano sempre trovare nuove Storie e pure nuovi modi di raccontarle.

Okay, ma la storia? La storia grida “Tim Burton” in ogni fotogramma, presenta i suoi stilemi e le sue ossessioni, risultando uno dei suoi migliori film in assoluto. Come nella pellicola che lo ha lanciato, quel «BEETLEJUICE» di cui ora è in procinto di realizzare un sequel a distanza di più di trent’anni, anche nel caso del suo primo film animato in qualità di regista, il nostro ribalta totalmente qualsiasi tipo di legge ultraterrena, regola cosmica e stereotipo per raccontare quanto tutto quello che pensiamo di sapere sulla Vita e sulla Morte sia sbagliato!

Perché non è mica vero che finché c’è vita, c’è speranza… sapete? È anzi piuttosto vero il contrario: fin quando si muore, allora la speranza che qualcosa di più bello di questa faticosa e travagliata Vita ci attenda c’è!

In questa perla straordinaria targata 2005 Burton racconta di un mondo freddo e grigio di Vivi tristi e grigi, al contrario di quello vivacissimo e colorato dei Morti, tutti allegri e intenti a far baldoria. Chi è defunto, adesso può ballare e cantare anche tutto il giorno, se lo desidera! Mentre invece chi vive deve ad esempio stare a pensare ai soldi e preoccuparsi di averne, così da poter campare. Ecco spiegata una delle ragioni per cui campare è un problema! E poi ci sono i timori che qualcosa possa andarti storto, i matrimoni combinati per evitare la bancarotta, quella fastidiosissima tosse che continua a tormentarti. E che a questo punto si spera che peggiori, così arriva la morte tua… ma soprattutto di tutti i tuoi problemi!

Dunque il discorso inaugurato da Burton nella pellicola che gli fece da trampolino di lancio, è portato in questo caso ad un livello successivo: la Morte è molto meglio della Vita, è più divertente e spensierata, e dà meno grattacapi e dilemmi e fastidi e preoccupazioni. Se sei morto, i problemi di quando eri in Vita non ti tangono più.

O forse, dopotutto, alcuni dei tormenti che avevi in vita, anche una volta morto, non sono morti?

Perché sì, cose come la salute o la fame o avere abbastanza soldi in tasca da poter vivere non sono fatti di cui devi preoccuparti una volta che sei nell’aldilà.

Ma dove le metti le sofferenze dell’anima? E l’Amore? E il dolore, l’infelicità, i sentimenti?

Tim fa incontrare (o forse sarebbe meglio dire: “scontrare”) il macabro mondo dei Vivi e quello lieto dei Morti attraverso l’unione di due anime: un vivo e una morta, un promesso sposo fresco fresco e una promessa sposa che fresca non è per niente, il timido e impacciato Victor e l’emotiva e irrequieta ma tanto dolce Emily. I loro cammini si intrecciano per una casualità del fato, e se in un film Disney anche solo il pensiero dell’unione in matrimonio tra una morta e un vivo era qualcosa di inimmaginabile, qui Burton ci fonda il suo straordinario gioiello.

Se a queste tematiche, questi personaggi e questa cura per l’estetica aggiungete anche i nomi del cast, capite che allora quello che dicevamo prima su quanto questa pellicola urli il nome di Burton risulta vero come non mai? Esatto, il cast: chi potevano essere gli interpreti (vocali ovviamente) di Emily e Victor se non… loro, i suoi due attori feticcio per eccellenza? HELENA BONHAM CARTER e JOHNNY DEPP!!!

(Victor & Emily; Johnny & Helena)

Ricordiamo anche i nomi di EMILY WATSON, ALBERT FINNEY, RICHARD E. GRANT, MICHAEL GOUGH, CHRISTOPHER LEE e… nella parte del basso Napoleone… l’Umpa Lumpa burtoniano (sì, ha fatto «La fabbrica di cioccolato»)… DEEP ROY. E chi altro poteva essere lo scheletro canterino musicante se non lo storico collaboratore di Burton e suo compositore di colonne sonore DANNY ELFMAN?

(Danny Elfman in questo film: certe voci di corridoio dicono sia dovuto dimagrire apposta per questa parte…)

Perché sì, è un musical questo film, proprio come le pellicole Disney… anche se nessun film Disney è accostabile ad una pellicola di questo tipo, un’opera che unisce risate e allegria e spensieratezza con macabro e grottesco e dark, ma pure anche con una malinconica commozione di fondo.

Perché i Morti se la godranno molto più dei Vivi, ma alla fine il dolore e le sofferenze ce li abbiamo tutti per il solo fatto di essere (o essere stati) umani. E le differenze tra te che respiri e il cadavere che spunta da sottoterra si annullano. Perché quando ti rivedi davanti tuo nonno, non ti importa che sia uno scheletro o uno zombie o un morto che cammina. Ti importa solo che sia tuo nonno. E così, quando vi vedete e rincontrate, vi abbracciate teneramente. 

Essere esplosivi e fantasiosi e macabri e vivaci e commoventi insieme… è una qualità rarissima, che appartiene solo ai film più grandi. Considerato tra le più grandi e straordinarie pellicole di tutta la Storia del Cinema D’Animazione, successone globale al punto di essersi portato a casa oltre 118 milioni di dollari a fronte di un budget di 40, «La Sposa Cadavere» ci insegna che non vi sono limiti, nemmeno la Morte, quando provi vero amore.

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