DI ALBERTO GROMETTO
Johann Wolfgang Von Goethe.
Nato il 28 Agosto.
Vissuto a cavallo tra ‘700 e ‘800.
Scrittore, teatrante, drammaturgo, romanziere, saggista, poeta, filosofo, pittore, umanista, musicologo, critico d’arte, teologo, scienziato, ottico, botanico, anatomista, mineralogista, astrologo, zoologo, meteorologo… e che altro? Ah sì, un uomo di cultura! Qualora non si fosse capito, trattasi di un uomo di cultura. Direi tra le massime espressioni di cosa sia la vera Cultura.
Voglio essere sincero: non posso affermare di conoscerlo bene. Conosco però una persona che si crede la sua reincarnazione, sapete?
Si chiama Eleonora, non parla una parola di tedesco e ha cominciato ad abitare questo mondo verso la fine del XX secolo. Quindi non so se è proprio lo stesso che conoscere Goethe. Fatto è che, non si sa come e non si sa perché, è la sua reincarnazione. Lo so per certo perché è stata lei stessa a dirmelo.
D’altronde sono nati lo stesso giorno, loro due. Ma che altro li unisce? Potevo io non chiederle? Del resto avevo già in mente di scrivere questo pezzo, quando glielo domandai. Le risposte ricevute, a mia detta per nulla esaurienti, mi lasciarono però insoddisfatto.
«Non sempre c’è una spiegazione. È quello che chiamano AFFINITÀ!».
Affinità? No, non mi convinceva. Doveva esserci dell’altro. E così continuai a chiedere, chiedere e chiedere ancora. Dopo essere stato mandato… non vi dico dove… ed essermi portato a casa qualche epiteto colorito che non so se Goethe avrebbe mai lanciato a qualcuno, ho lasciato perdere.
Ma oggi non siamo qui per parlare di questo. E benché io mi consideri uno dei massimi esperti della reincarnazione di Goethe anziché di Goethe stesso, è ora mia ferma e assoluta intenzione parlarvi esclusivamente di lui, di chi sia stato e cosa abbia fatto. Ebbene, più che qualche parola in qualche trafiletto sui libri di scuola, lo ammetto, nel corso della mia vita non ho mai avuto modo di approfondirne la figura. Poi mi sono ritrovato questo articolo tra le mani. E nel buttarmi in tale audace impresa ho avuto modo di apprendere per davvero cosa egli avesse fatto.
Abbiamo detto che è un Genio e, ancor più importante di questo, un Eterno Curioso la cui sete di sapere e voglia di conoscere non hanno risparmiato quasi nessun ambito dello scibile umano. La sua curiosità però, tra le altre cose, va a interessare un tema che non può essere studiato come in un saggio o indagato attraverso esperimenti scientifici. Un concetto che egli ha inseguito disperatamente, che è impossibile da spiegare e probabilmente pure da capire, che sfugge alla Ragione, qualcosa che non può essere compreso razionalmente. Una materia intangibile, la definirei.
Per tutta la sua vita da letterato e storyteller, Goethe ha messo la sua originale brillantezza, il suo sguardo innovatore, la sua profonda acutezza al servizio di una missione delle più impervie: cercare di comprendere e decifrare quell’assurdo, complessissimo puzzle di tumultuose emozioni e inestricabili sentimenti che è l’Animo dell’Essere Umano. Porsi certe domande, il perché di questo e quello, specie quando magari incontriamo una persona che ci interessa a tal punto da voler capire come è fatta, è intrinseco nella natura dell’uomo.
Prendete il mio stesso caso, ad esempio! Il Vostro Affezionatissimo Sottoscritto si era ritrovato a cercare di capire come mai la reincarnazione di Goethe fosse la reincarnazione di Goethe. Volevo comprendere. In origine Eleonora s’era convinta che Johann Wolfgang dovesse essere (cito testualmente): «Du palle… Ma cubiche!». A quell’epoca, mi spiegò, gli avrebbe detto di andarsene in cuffia. Sì, quando la reincarnazione di Goethe manda a quel paese qualcuno, come pure lo stesso Goethe, spesso si ritrova a mandarlo “in cuffia”. Posto migliore di dove vengo mandato io solitamente.
Tutto però cambiò. Quella testina a rondone dovette ricredersi quando si imbatté in uno dei romanzi più importanti del Maestro e di cui ora parleremo, lasciando definitivamente da parte qualsiasi discorso su presunte “reincarnazioni”. Il titolo? «I Dolori Del Giovane Werther». Lo scrisse quand’era molto giovane. Potremmo dire che fu uno di quei capolavori che segnò il passaggio dall’Illuminismo al Romanticismo e potremmo spendere ore intere a disquisire sulla sua indubbia bellezza, sulla sua trama, sulla sua qualità stilistica. Ma quel che davvero colpisce e rende immortale quest’opera è come lui s’addentri con coraggiosa lucidità in un tema che di lucido non ha proprio niente: i Sentimenti Umani.
I Sentimenti Umani sono cosa strana. Trascorrere il tuo tempo con una persona che fino ad un certo punto della tua vita neanche conoscevi, ma che poi hai incontrato e da allora non sei più stato capace di ricordare come dovevi essere molto più vuoto e triste senza di lei. Starci insieme e volerci stare insieme. Anche se ti manda in cuffia.
Sì, mi prendo ancora un momento per parlarvi della questione “reincarnazione”, ma solo perché mi manda ai matti! Un poveraccio, magari insistente e volutamente molesto… lo confesso… che però si interessa e cerca di capire, viene mandato in cuffia per questa ragione! Lo capite che è veramente uno scempio?
Casa natale di Goethe a Francoforte
Quantomeno ella scelse di narrarmi quando andò in visita alla casa natale di Goethe a Francoforte. L’esperienza lì vissuta e le sensazioni provate la portarono a stabilire un legame straordinario. Il fatto che si emozioni per davvero ogni volta che lo racconta è evidente: si mette a gesticolare forsennatamente, un suo marchio di fabbrica. La sua marcata gestualità, dovete sapere, è un piccolo capolavoro. A lei non diteglielo mai, ma la maggior parte dei suoi gesti non la capisce nessuno. Fanno eccezione i gestacci ovviamente, quelli li capisco sempre.
Perché senti questa affinità?, le chiesi. Che ti devo dire?, mi rispose lei. È stato un colpo di fulmine letterario, continuò. Lo sai che sono la sua reincarnazione, no? Ma m’ha preso forse per un Pagliaccio?, pensai. Lo ben so che sei la sua reincarnazione!
Ma torniamo a noi, ché altrimenti perdo il filo del discorso!
Quando si parla di Goethe, non si può non parlare della sua creatura più celebre, uno dei massimi capisaldi di tutta la Letteratura Umana Mondiale, nonché opera goethiana preferita di Eleonora, e cioè il dramma teatrale FAUST.
Goethe ci ha dedicato sessant’anni della sua vita. La storia è quella del Dottor Faust, scienziato e alchimista talmente assettato di conoscenza da essere disposto a vendere la propria anima a Mefistofele pur di avere Sapere, Ricchezza e Potere. Oltre che l’Amore, ovviamente. Quello non manca mai.
Scienza, Cultura, Teologia, Teatro, Sentimenti: tutta quella che è l’essenza goethiana è racchiusa in queste pagine. Ma l’aspetto che forse personalmente m’affascina più di tutti è il cosiddetto «Streben». Curiosa espressione tedesca che sta ad indicare l’insoddisfazione perenne propria dell’uomo. Faust vedrà realizzarsi tutti i suoi desideri, Mefistofele è sempre lì pronto a dargli quello che vuole, ma il nostro non riuscirà mai davvero ad essere contento. È impossibile essere felici in questa vita?
Alla fin fine, fateci caso, Goethe parla sempre di anime insoddisfatte nelle sue opere. E questo perché parla di esseri umani. Ce n’è tanta di infelicità a questo mondo. Io stesso tremo quando penso a tutte le volte in cui mi sono imbattuto in un paio di occhi tristi. Come spenti. E allora tutto quello che vorresti fare è poterli riaccendere. E non sai cosa daresti perché accadesse. Probabilmente saresti anche disposto a stringere un patto con Mefistofele, solo per poter vedere quegli occhi, luminosi, sorridere. Vivi perché sorridano.
Ma allora qual è la soluzione? Smettere, forse, di amare? Anche in questo caso Goethe ci dà una risposta, nella poesia «Compiango Voi, Infelici Stelle». Si rivolge alle Stelle, ne esalta la bellezza e la luce, ma infine le compiange amaramente perché loro non possono amare né conoscere l’Amore. E questa è la peggiore delle sorti. Meglio amare e soffrire che non amare affatto. Vedete, la Verità è questa:
Ognuno ha le sue ragioni per essere triste. Si è tristi per le cose importanti. E quasi sempre le cose importanti sono persone. Ma dovete sapere che, allo stesso modo, ognuno ha le sue ragioni per essere felice. E anche in quel caso quelle ragioni sono sempre persone.
Pure io ho i miei giusti motivi per cui svegliarmi ogni giorno ed essere immensamente, infinitamente grato di essere vivo e vivere la mia vita, sapete? Le mie ragioni per essere felice. E quando tutto sembra buio e triste, io m’aggrappo a quelle, luminosissime, ragioni di felicità.
Una di queste “mie ragioni” intercala spesso in toscano, non mangia desserts ma fa eccezione con gianduiotti e profiteroles, è sempre impegnata verso le 15:00 di ogni pomeriggio, dà dei bacini sulle guance che hanno il potere di farti sciogliere come neve al Sole, ritiene «Arancia Meccanica» il suo film preferito, segue improbabili band di discutibili individui stonati dai capelli multicolore, stravede per il prosecco, odia tutti i pesci, è solita mandarti in cuffia, è molto dolce pure quando non lo è, fa strane liste su cui sorvoliamo, pensa di saper gesticolare anche se non è così, ha la risata più bella che sentirai mai in tutto il mondo, e infine si crede la reincarnazione di Johann Wolfgang Von Goethe.
Perché questa sarebbe una “mia ragione”? Beh, la risposta non è difficile. È molto semplice, in realtà. Semplicissima. E la risposta è che non sempre c’è una spiegazione. È quello che chiamano “affinità”. Io non ci capisco niente in fatto di rapporti umani, sia chiaro. Tutto quello che so è che non esiste una sola, unica cosa che io non adori di questa “mia ragione”. Ogni minuscola cosa, pregi e difetti compresi. All in. E il solo fatto che questa “mia ragione” esista e faccia parte della mia Vita è quanto di più meraviglioso mi sia mai capitato.
Sapete, fu proprio Goethe a sdoganare il termine “affinità”. Coniò l’espressione “affinità elettive”. Cioè: affinità di anime e di intelletto. Uno dei suoi libri più importanti si intitola così. Ma che significa? Ce lo spiega lui in questo romanzo.
«Non c’era bisogno di sguardi, di parole, di gesti, di contatti: solamente il puro stare insieme».
Il puro Stare Insieme. Il poter stare con Qualcuno, e non pensare a nient’altro, davvero a nient’altro, se non stare insieme a quel Qualcuno. È la sensazione migliore che ci sia. E non esiste niente di più bello, importante e prezioso. Me lo ha insegnato Goethe. O comunque qualcuno che gli assomiglia molto.
Credo abbiamo finito. Non sono nemmeno così precisamente sicuro di aver parlato veramente del Maestro in questo pezzo realizzato apposta per celebrarlo nel giorno del suo genetliaco.
Oh, beh, oramai è fatta!
Che poter dire ancora?
Solo che questo articolo è dedicato a Te, Johann Wolfgang!
A te… e a tutte le tue reincarnazioni.