DI ALBERTO GROMETTO
«… all’inizio tutto è possibile, a metà le cose divengono probabili, alla fine tutto diviene necessario».
Il filosofo statunitense Nelson Goodman
Io son sempre stato dell’idea che il 51% di una storia lo faccia il suo finale. Il finale è quello che ti porti a casa, la sensazione che ti rimane dentro, il motivo di quel sorriso che ti resta piantato in faccia anche una volta che sono terminati da un pezzo i titoli di coda, oppure la ragione di quella lacrima trattenuta a stento e che ancora non vuole sapersene di andare anche se il sipario è calato da parecchio.
Quante volte capita che una storia scazzi sul finale? Perché è così difficile centrare il finale giusto? Ma poi, quanti tipi di finali esistono? Non c’è un manuale?
Se guardassimo ai manuali, troveremmo scritto che esistono diverse tipologie di finali. Come i finali cosiddetti “aperti” oppure “chiusi”. In sostanza il finale aperto è quello che non ti racconta per filo e per segno cosa accade ai personaggi, ma in un certo senso arriva “prima” di conoscere il loro destino. Mentre quello chiuso ti spiega quello che ne sarà di loro.
Ecco, questa cosa dei finali aperti e di quelli chiusi… è un’immane pagliacciata senza senso! Perché i finali chiusi o aperti o quelli che volete… NON esistono! E non esistono perché a noi conoscere il destino esatto dei personaggi di cui leggiamo non deve interessare! O non dovrebbe interessarci.
Una Storia, quando raccontata bene, finisce nel momento in cui deve finire. E cioè quando ha finito di dire tutto quello che aveva da dire. Che il finale sia aperto o sia chiuso… poco ci deve importare. Non importa capire quale destino sia riservato a quel personaggio nel momento in cui leggiamo la parola “FINE”. Quel che importa è se la Storia è arrivata al cuore della questione intorno alla quale è stata costruita. E quando arriva al cuore, allora… stop, nient’altro, fine. Fine.
La fine della vita di Ulisse/Odisseo non corrisponde alla fine della sua storia. La sua storia finisce nel momento in cui fa ritorno a casa. E questo perché a Omero (che in teoria non esiste, ma io sono di quelli che a lui crede a prescindere, un po’ come si crede a Babbo Natale) interessava raccontare il suo ritorno, e null’altro. Duemila anni dopo arrivò Dante che sulla carta narrò sempre di Ulisse/Odisseo, ma in realtà raccontò ben altro. E cioè a lui interessava raccontare della sua sete di conoscenza. Nemmeno nel caso di Dante però, la storia dell’astuto eroe termina con la sua fine naturale, ma “finisce dopo”. Il Sommo Poeta nella sua «Divina Commedia» infatti racconta della dannazione eterna del nostro, racconta di quello che è stato di lui anche dopo la sua esistenza.
Si può fare? Certo che si può fare!
Non esistono regole per scrivere i finali di una Storia. Se per questo non esistono nemmeno regole quando si tratta di scrivere Storie! Tutto è concesso, limiti non ne esistono, il limite è il Cielo! La sola cosa che ti devi ricordare è che per ogni Storia esiste un solo finale: il suo.
E torniamo alle parole con cui abbiamo aperto il pezzo, chiudiamo il cerchio, e doniamo a questo articolo un “finale circolare” (ma, lo abbiamo già detto, etichettare i finali è un’attività non molto utile!).
Quando una Storia comincia, hai il Mondo nel palmo della tua mano. Puoi fare QUALSIASI cosa. Geppetto è un falegname solo che vorrebbe riempire la sua solitudine. Allora che potrebbe fare? Contattare un wedding planner? Andare a prostitute? Affittare un amico perché stia insieme a lui? Suicidarsi? Beh, può fare qualsiasi cosa, la Storia è appena cominciata, ogni cosa vale!
Quando però arrivi a metà della Storia, le cose diventano probabili. Pinocchio è appena stato raggirato dal Gatto e la Volpe: è probabile che lui passerà il resto della sua esistenza a cercarli per vendicarsi e ucciderli? Non molto, perché ormai Pinocchio lo conosciamo a questo punto della Storia: sappiamo che è un brighella monellaccio, ma non un tipo cattivo o vendicativo. E più si andrà avanti, più scelte l’Autore (e i personaggi con lui) prenderà, più le possibilità si ridurranno.
Fino a quando non giungi a QUELLO, il benedetto finale. Finire col finale. Può davvero essere che la vicenda di Pinocchio abbia un finale diverso da quello in cui la Fata Turchina lo trasforma in un bambino vero? Non so, non potevano tutti gli altri diventare burattini? No, la verità è che prese tutte le scelte del caso, intraprese tutte le strade che andavano imboccate, alla fine si arriva al miglior finale possibile, il più forte e necessario, quello a cui è impossibile rinunciare.
Ma allora perché si sbaglia nel finale? I motivi sono tanti. Ansia da prestazione, ad esempio. O ragioni economiche che nulla hanno a che vedere con la Storia. Oppure può anche essere che un Autore è talmente calato dentro la sua Storia, che non riesce a vederla bene, col giusto distacco, un po’ come un quadro impressionista, che va sempre ammirato a debita distanza per poterlo comprendere. Talvolta si ha solo paura. Paura per quei personaggi che hai amato, a cui magari non vorresti che nulla di male capitasse a loro, ma capita e tu non puoi impedirlo. Non fare questa scelta!, vorresti loro gridare.
Ma alla fine un Autore è come il Dio raccontato dalla Bibbia: sembra che decida tutto, e infatti ha deciso Lui in autonomia di concedere ai suoi Figli il Libero Arbitrio… ma questo, come conseguenza, lo ha anche limitato. Le Storie, le trame, i personaggi sono come gli uomini: hanno bisogno di crescere, ed è in parte terrificante e meraviglioso vederli scegliere indipendentemente da Te che li hai generati. Ma devi accettarne anche le conseguenze più tristi. Come imboccare una precisa traiettoria dolorosa. Tu li potrai accudire, aiutare, esserci sempre per loro. Ma la decisione spetta sempre e comunque a loro.
E nel tuo caso? Quale sarà il tuo finale?
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