DI ALBERTO GROMETTO
Quando si parla di Storie, siano esse Cinema o Letteratura oppure Televisione, è necessario confrontarsi con la cosiddetta DIFFERENZA DEI SAPERI.
Il COSA SI SA all’interno di una Storia è fondamentale. Cosa sa il protagonista, cosa non sa rispetto ad un certo personaggio, cosa sanno invece certi personaggi rispetto ad altri, cosa sanno e cosa no i lettori/spettatori… Insomma, vi sono numerosi attori in gioco e ognuno ha il suo sapere. Chi sa tutto, chi niente, chi a metà. Ed è nella differenza tra i vari saperi che possiamo rintracciare il perché e il per come delle emozioni che una data Storia è in grado di farci sperimentare e sentire. Trattasi di una faccenda davvero molto grossa.
Esempio. Se io vedo un signore mettere una bomba dentro il bagagliaio di una macchina e poi andarsene via, quando arriverà l’automobilista io saprò quello che lui non sa: che nell’auto c’è una bomba ed è pronta ad esplodere. Qualora invece mi trovassi dall’inizio con l’automobilista e lo vedessi semplicemente entrare in macchina, quando quella bomba esploderà io rimarrò molto sorpreso, come anche il povero malcapitato. La scena dovrebbe essere la stessa sulla carta: un uomo sale sulla propria macchina senza sapere che c’è una bomba ed esplode in aria. E invece trattasi di due tipi di emozioni, sensazioni e narrazioni totalmente e completamente diverse, al punto che io direi che si tratta addirittura di due scene differenti. Nel primo caso io per tutto il tempo sento l’ansiogena suspence, proprio perché mi aspetto il fatale BOOM. Nel secondo io sono tranquillo e sereno… fino a quando in un attimo non cambia tutto e rimango sconvolto.
Ecco. Questa faccenda determina inoltre l’essenza stessa di un personaggio e della sua intera storia. Si tratta di CONSAPEVOLEZZA, signore e signori. Quanto un personaggio sia consapevole di sé stesso o della realtà in cui vive rispetto agli altri protagonisti e al pubblico. Se Cappuccetto Rosso fosse stata consapevole di quanto il Lupo fosse cattivo, non gli avrebbe mai raccontato di star andando a casa della Nonna, giusto? Se la Grande Balena Bianca Moby Dick avesse saputo dell’ossessione nei suoi confronti del Capitano Achab, magari lo avrebbe cercato per provare a discutere, chiarire e venirne a capo insieme, no? La consapevolezza determina tutto. E qui a questo punto guardiamo a quella che di tutte le Arti è una tra le più nobili, e che esiste dall’alba dei tempi e continua ad esistere in molte forme e modi: il TEATRO.
Tre opere teatrali delle più straordinarie, capostipiti, sono state prese in esame con l’obbiettivo di affrontare un piccolo viaggio proprio dentro il tema della CONSAPEVOLEZZA e della DIFFERENZA DEI SAPERI.
Iniziamo da UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO di Tennessee Williams. Una meraviglia di opera, targata anno 1947, e di cui nel 1951 Elia Kazan realizzò l’omonimo adattamento cinematografico. Film che vanta semplicemente alcune delle più stratosferiche interpretazioni nella Storia della Recitazione tutta: Kim Hunter, Karl Malden e poi ovviamente Marlon Brando. E poi soprattutto nella parte della protagonista c’è LEI, L’ATTRICE PIÙ GRANDE DI TUTTI I TEMPI (e non c’è possibilità di replica), COLEI CHE INCARNA L’ESSENZA STESSA DELLA RECITAZIONE: VIVIEN LEIGH!!! Trattasi di una performance attoriale talmente SOVRUMANA E INSUPERABILE che conseguentemente ad oggi quasi più nessuno, per timor di confronti, porta in scena a teatro quest’opera.
Or bene, la protagonista è Blanche DuBois. E la sua consapevolezza è ridotta ad uno schifo. Lei non si rende più conto di nulla, nemmeno di chi sia. Certo, noi del pubblico questo non lo sappiamo, all’inizio. Così come nemmeno gli altri personaggi. Ma il punto focale della vicenda sta proprio in questo: rendersi conto a poco a poco, man mano, gradualmente che Blanche non si rende più conto di niente. Venire a sapere, noi del pubblico insieme agli altri personaggi in ballo, della terribile verità dietro la storia di Blanche. Tutta l’opera è un diventare consapevoli dell’inconsapevolezza di Blanche.
Scegliamo di muoverci come i gamberi e facciamo un salto di due secoli indietro nel tempo. Siamo nel 1761. Prima abbiamo visto un esempio di personaggio inconsapevole che rimane con lo stesso grado di consapevolezza per tutta la vicenda, quando invece gli altri protagonisti e il pubblico acquisiscono a poco a poco un nuovo sapere. In questo caso invece abbiamo a che fare con quel mattacchione del Maestro Carlo Goldoni che dalla sua Venezia tanto fece ridere e sganasciare. E parliamo di una trilogia. Tutti conoscono trilogie cinematografiche quali «Il Signore Degli Anelli» e «Ritorno Al Futuro», ma sono esistite anche nel Teatro. E questo è il caso di: LA TRILOGIA DELLA VILLEGGIATURA.
Abbiamo a che fare qui con tutta una serie di personaggi che sono perfettamente consapevoli di chi sono e cosa vogliono. Il loro grado di consapevolezza e sapere è praticamente al massimo. Si rendono perfettamente conto di quelli che sono i loro difetti, i loro desideri e i loro problemi. Poi se ne fregano, ma ne sono consapevoli. Ah, certo non sono onesti. Sono tutti personaggi esclusivamente interessati alle apparenze, al mettersi in mostra, all’ostentare di stare alla grande per ottenere stima e ammirazione dagli altri. La società descritta da Goldoni è quella dei ricchi borghesi che vogliono farsi vedere più ricchi di quello che sono davvero. Risultano pertanto ridicoli, e pure falsi: ad esempio si parlano con affetto e decoro e reciproco rispetto, ma in realtà si detestano come non mai. Però, anche se mentono in continuo tra loro, sono perfettamente consapevoli di come stanno le cose. Merito di una strepitosa invenzione tutta teatrale detta “A PARTE”. Gli “A Parte” sono tutte quelle battute dette dai personaggi direttamente al pubblico e in cui riportano il loro vero, autentico pensiero. Amica Mia!, esclama una. Amoruccio Mio!, ribatte l’altra. Poi la prima si gira verso il pubblico e dice: Vorrei si rompesse una gamba! Anche l’altra si volta in direzione della platea e afferma: La odio, non la sopporto! Invenzione geniale e veramente spassosa, che dà il significato a tutta la trilogia goldoniana, oltre che agli stessi personaggi.
Ancora gamberi. Ancora un salto di due secoli. Siamo al biennio 1591-1592. Siamo nella Londra di Shakespeare. Esatto, Lui, il Grande Bardo, l’affettuoso Zio Billy! Egli, William Shakespeare, Mio Idolo, Mia Guida, Mio Faro. È il Teatro per antonomasia, lo sappiamo. E tra le sue perle, indubbiamente uno dei gioielli più preziosi è e rimane RICCARDO III. Il povero sfigato Riccardo, zoppo e brutto, che nessuno considera un pericolo… perché uno così che ambizioni può avere? Che cosa potrà mai fare? Risposta: di tutto e di più. Riccardo stesso non è ancora consapevole di cosa sia capace. Ancora non si rende conto di quanto sia assettato di Potere, di come desideri più di ogni altra cosa contare ed essere importante, di quali azioni possa spingersi a compiere. Poi v’è una scena tra le più belle di tutta la Storia del Teatro, mi verrebbe da dire. Da una parte Lady Anna, a cui Riccardo ha ucciso il suocero e l’amato marito. Dall’altra lui. Lei lo odia, lo maledice e con il pianto negli occhi, accanto ai due cadaveri, gli urla in faccia che è un mostro peggiore del demonio. Al termine di quella scena lei, lusingata e affascinata, accetterà il suo anello come pegno d’amore.
Ma come è possibile una trasformazione di questo tipo? Beh, vi è tutto in quella scena, talmente vera e potente da assomigliare alla Vita, e in realtà superarla. Quella che viene messa in atto è una trasformazione del Sapere. Avviene un cambiamento della Consapevolezza. La consapevolezza ha in questo caso ha a che fare con la domanda “Chi è Riccardo?”. Anna perde consapevolezza su chi egli sia realmente. Sapeva che era un mostro, eppure se lo dimentica. Riccardo, che riesce a rigirarsi come vuole una persona che prima lo odiava e adesso accetta di amarlo, acquisisce consapevolezza su chi lui sia davvero, e su cosa possa realmente fare ed essere. Non un perdente, ma un uomo che vuole essere potente. E il suo voler essere potente lo rende potente. Se ho conquistato una donna di questo tipo, si chiede in uno dei monologhi teatrali più belli della Storia, allora posso diventare un uomo bellissimo! Questo è il senso delle sue parole. Datemi uno specchio!, esclama. Per tutta la vita Riccardo è stato un loser, un perdente, una nullità. Questo lo pensavano tutti di lui. E lo credeva anche lui. Ma ora si rende conto che così non è. È che in realtà lui è uomo capace di qualsiasi cosa. Anche di diventare bello, senza esserlo mai stato.
Cosa poter dire, in conclusione?
Fare Teatro significa possedere consapevolezza. Narrare attraverso il Cinema significa possedere consapevolezza. Scrivere una Storia significa possedere consapevolezza. Questo non significa che non vi sia però anche un certo grado di non-sapere. Sia per quanto riguarda chi quella Storia la racconta, sia per chi ne fruisce. Ma essere consapevoli che è nella misteriosa Bellezza della vera inconsapevolezza che si nasconde il Significato dei Significati, ecco, quello sì che è un sapere prezioso.