Infine, il lieto Fine – Rubrica di Loris il Meta Me-rcuziano

DI LORIS MARTINO

Come tutto ebbe inizio

Ogni storia, in un modo o nell’altro, da qualche parte deve pur iniziare, e possibilmente in un momento definito; soprattutto se non si parla della Terra di Mezzo o di “tanto tempo fa in una Galassia lontana lontana“, e se la storia è la mia. Quindi, c’era una volta… un mondo non molto magico, ma sempre più tecnologico e complesso da gestire, ambientato qualche anno dopo la fine di un secolo movimentato, per dirla così. Lungo le coste di quella terra abbastanza provata dal nome Italia, precisamente a Sanremo (IM), nasceva in quel periodo Loris Martino.

La sua infanzia si conformava allo standard di vita che un bambino dovrebbe avere, almeno secondo la realtà semi-distopica in cui cresceva. In particolare, anno dopo anno spuntavano diversi adulti i quali tentavano alla meno peggio di istruirlo e, se rimaneva tempo, magari anche di educarlo.

Nonostante tutto, a dargli maggior filo da torcere non erano loro, quanto i suoi coetanei, anche se ai suoi occhi qualche anno mentale di differenza doveva esserci. Forse perché sentiva questa esigenza perenne di dover comprendere, di spaccare il capello in quattro, e poi in quattro alla quarta. Fatto sta che mentre gli altri fanciulli giocavano spensierati, lui si arrovellava sulla fisica quantistica, sotto lo sguardo dei grandi. I rapporti instaurati con tutti loro gli passavano dinanzi svanendo rapidamente nel tempo, senza poter fare nulla per trattenerli.

Non stupisce quindi che il nostro eroe avesse varcato le porte dell’adolescenza portandosi dietro la solitudine, insieme ad un bagaglio culturale simile ad un fardello. Difatti, il problema principale legato a tali convinzioni era la fiducia totale riposta in esse, a causa dello scarso pensiero critico attraverso cui le aveva fatte proprie, mai coltivato da chi di dovere. La stessa con la quale, ad esempio, rifiutò le verità religiose di alcuni gruppi da lui frequentati in favore della propria “gaia scienza“, alla “veneranda” età di undici anni.

La scienza potrà spiegare come funziona persino un buco nero nello spazio, ben poco però aveva da da dire su quello che trascinava Loris dentro di sé. Una singolarità gravitazionale composta da questioni a cui non aveva ancora trovato risposta, concentrate in un’unica domanda di densità tendente all’infinito: Il mio fine? C’è? E se c’è, qual è? E se non c’è, che senso ha tutto ciò?

Grande stupore fu ammettere che in questo la razionalità stentava ad aiutarlo. Decise allora di seguire una volta le emozioni, e partì verso nuovi orizzonti alla ricerca del suo Sacro Graal, ovvero dei posti dove conoscere uno straccio di qualcuno che lo considerasse veramente. E li avrebbe trovati, ma il viaggio sarebbe risultato assai impervio. Una terribile maledizione avrebbe colpito di lì a poco il suo mondo, i cui equilibri erano già stati a lungo scossi da un’umanità inconsapevole: la prima pandemia della storia.

Lo sventurato si trovò rinchiuso diversi mesi, anche se, in fondo, non gli dispiaceva, dato che non doveva pensare a conformarsi alle aspettative altrui. Quasi fosse veramente sull’orlo dell’orizzonte degli eventi, il tempo si dilatava enormemente, avendo a disposizione oggi ore e ore per interrogarsi, domani e dopodomani pure. Decise perciò di caderci veramente nel buco nero; quanto avrebbe trovato dentro non se lo sarebbe mai immaginato.

Incominciò a leggere libri, a guardare documentari, film, informarsi su internet; il proprio fine doveva trovarsi lì da qualche parte, e lui lo avrebbe cercato anche nella più banale delle situazioni incontrate. Scoprì un nuovo universo di significati prima a lui sconosciuto, come lo erano stati a lungo gli svariati saperi umanistici e artistici, prima considerati di scarso interesse pratico-scientifico.

Mentre il periodo peggiore della sciagura volgeva al termine, Loris tornava negli ambienti conosciuti poco prima della quarantena, narrando dei meandri dello scibile in cui aveva viaggiato. La ridente Sanremo gli offriva solo alcuni spazi di aggregazione fantomatici, gestiti da educatori per supportare i giovani utenti, in linea teorica. Almeno, lo ascoltavano, e lui ci parlava.

Gli parlava del concetto di benessere, nell’accezione della psicologia positiva e del pensiero neo-aristotelico, in cui sosteneva si celasse il fine intrinseco alla natura umana. Del problema fondamentale individuato nella società, da cui avrebbe avuto origine il suo dolore, ovvero la scarsa educazione, nel duplice senso di coltivare e far emergere le capacità altrui. E ancora, dell’altra passione, ritrovata nel cinema ad ogni nuova pellicola vista, analizzando i significati dietro le varie scene.

A sentire le sue teorie, i responsabili dei centri da lui frequentati ricambiavano l’entusiasmo in misura decisamente minore rispetto a quanto si sarebbe aspettato. Lo invitavano, anzi, a decostruirle sulla base del contesto storico-culturale in cui erano state formulate, in perenne mutamento. “Guarda la moltitudine delle correnti filosofiche alternative“, gli dicevano, “ognuna si attribuisce la conoscenza della realtà, allo stesso modo in cui fanno le tue“.

Ragionamenti simili non erano sbagliati, ma mancava il passaggio successivo: la ricostruzione del senso. Dalla loro prospettiva, tutta la filosofia si dissolveva nel relativismo, nichilismo e dubbio più totale, tanto che ad un certo punto Loris si chiedeva per quale motivo tentassero di convincerlo, se tanto ogni posizione contava quanto quella antitetica. Percepiva qualcosa di incoerente nel negare l’utilità del discutere, salvo poi crearci simposi sopra, a maggior ragione se a sostenerlo fosse gente tenuta a dare l’esempio.

Appellarsi alla corrente filosofica contemporanea del postmodernismo era la loro strategia, chiamando meramente “interpretazione” o “costrutto sociale” la  “verità” di Loris, quasi fossero gli stessi pensatori Derrida e Foucault a rispondere. In effetti una linea di pensiero simile non costituiva per lui solo una bella gatta da pelare, ma un vero e proprio mostro, il quale minacciava di annientare la nuova dimensione di idee a cui aveva avuto accesso.

Se si vuole sconfiggere un nemico, il primo passo è conoscerlo quanto un amico, viene spesso ribadito. Addentratosi nella proverbiale tana del Bianconiglio, il giovane cercatore ne individuò le contraddizioni interne, alcune delle quali erano già state intuite. L’affermazione secondo cui bisognerebbe dubitare di tutto la renderebbe essa stessa oggetto di dubbio, citandone una.

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Inoltre, doveva esserci un modernismo, affinché si potesse circoscrivere un movimento post-. Eccome se esisteva, si rese presto conto, era il modello mentale, il paradigma, in cui era cresciuto, impostato sul cercare la certezza e il positivismo, fra cui l’ostentazione del metodo scientifico. Sarebbe stato il protagonista del dibattito relativo ai grandi interrogativi fino a circa la metà del secolo precedente.

Qua arriva il bello. Se negli ultimi decenni si era dibattuto sul postmodernismo, in tempi ancora più recenti, intorno alla nascita di Loris, avrebbe visto la luce anche – indovinate? – il post-postmodernismo. Un termine generico contenente svariati approcci accomunati dal ritorno della narrazione, tutta letteratura prima buttata all’aria. Senza ignorare, però, quanto appreso dal decostruzionismo. Fra essi ve n’era uno maggiormente indagato: il metamodernismo, vero mentore della storia, faceva la sua entrata trionfale.

Meta Me

Paradigma in sviluppo durante l’epoca del protagonista, nonché ultimo traguardo nel nostro progresso, tale parolone racchiudeva una visione complessa, interrelata, gradualista nelle diverse discipline. Già solamente il prefisso meta- derivava dal greco antico metaxy, ovvero “un’oscillazione fra due poli opposti che li supera“. A simboleggiare i due lati del pendolo erano precisamente modernismo e postmodernismo, due estremi della medesima gamma, nella quale entrambi si esprimevano in termini assoluti, sostenendo o screditando, appunto, gli assoluti.

Oltrepassare la concezione postmodernista attraverso il metamodernismo non voleva dire affatto contestarne la critica alla certezza, al contrario, biasimare l’essere stato fin troppo certo. Bisognava andare oltre, relativizzare persino il relativismo, dubitare pure del dubbio, come era descritto nel libro Metamodernism: The Future of Theory. La mostruosa creatura venne indebolita sfruttando il suo vizio di mordersi la coda, finché non risultò facile domarla.

La pace nel mondo interiore di Loris finalmente regnava sovrana, ora bisognava impedire ad ulteriori pericoli di infierire. Temeva che prima o poi le teorie in cui credeva, modificate dopo la vittoria, sarebbero state ugualmente lasciate indietro da nuove avanguardie, magari un postmodernismo 2.0. Infatti, capì che sarebbe stato così, ma qualsiasi cosa fosse arrivata, probabilmente non avrebbe potuto prescindere dal percorso già tracciato, costituendone un’evoluzione. Secondo la teoria del caos, applicata al metamodernismo dal pensatore Hanzi Freinacht, più ci si muove verso il futuro, maggiormente ognuno dei paradigmi risulterebbe simile al precedente. Nessun altro Uroboro in vista, dunque.

Ad ogni modo, tutta l’epicità degli svarioni finora narrati rimaneva completamente estranea alla sua vita guardata dall’esterno. La gente riteneva costruisse unicamente castelli per aria, e lui, a furia di elevarsi dal parere comune, si era rinchiuso in una torre d’avorio. Osservava dall’alto, estraniandosi da tutto, quasi fosse il sole che sorge all’alba nel cielo, da solo.

Immagine sul punto di diventare un simbolo personale, dei progetti portati avanti nel prossimo futuro al fine di diffondere le convinzioni in cui credeva. L’ultimo centro culturale frequentato nella città natale lo aiutò a creare la versione originaria del suo blog, dove all’inizio esclusivamente scrivere articoli allo scopo di far conoscere la cultura olistica da lui esplorata.

Sarebbe presto giunto il momento di partire alla volta di Torino per studiare, una nuova città, una nuova meta esistenziale, ricca di opportunità da cogliere nel diffondere il progetto. Meta Me, proprio così lo aveva nominato, in onore del metamodernismo, della volontà di spingersi oltre, di quel lungo viaggio a tappe che era stato fino ad ora vivere.  

A Torino, Loris conobbe fin da subito numerose, numerosissime persone, quasi tutte delle rapide meteore, nuovamente, in una perenne incostanza, una delle uniche costanti del suo periodo storico. Grazie alle molteplici conoscenze aveva altrettante possibilità di portare avanti gli obiettivi, perlomeno.

Realizzò articoli pubblicati su blog locali, puntate di un podcast, cortometraggi assieme a differenti troupes, partecipò a mostre in cui esporre la sua poetica… e la lista potrebbe continuare, ma la frase è già troppo lunga. Soprattutto, era lì per seguire il fine a cui le attività firmate Meta Me miravano.

Durante una lezione glielo avevano spiegato: l’obiettivo è un tratto di mare già percorso da qualche antico navigatore in barca, il fine è la Stella Polare che indica la direzione. Solo il primo possiede veramente una fine, cambiando accezione del termine, in quanto delimitato; il secondo è un valore astratto, mai raggiungibile. Quello in grado di muovere Loris, in acque spesso tempestose, era lo stesso motivo grazie al quale si trovava quel giorno fra tanti all’università, imparando la scienza, la filosofia, l’arte dell’educare. 

Un disgusto viscerale provato nei confronti della realtà intorno, disinteressata ad applicare una pedagogia efficace per migliorare, diventava in lui quasi palpabile, oramai. Non avrebbe voluto immaginare nessuno ritrovarsi ancora nella condizione da lui subita per troppo tempo, senza un’identità, senza nulla. Per giunta accompagnata da una scarsa volontà altrui di aiutarlo, e nessuno in grado. 

Lo studio corroborava certe sensazioni, offrendogli al contempo la prospettiva speranzosa di chi desidera agire meglio in confronto ai predecessori. Amava vedersi pedagogista nel futuro, contribuire a sviluppare le capacità dei suoi utenti, magari in un luogo realizzato apposta per impiegare metodi innovativi; al medesimo livello di quanto detestasse il modus operandi attuale.

Quale fosse “il nord” specifico di Meta Me, viceversa, non gli era così ovvio. Doveva diffondere la cultura post-postmodernista, certo, eppure arrivato a quel punto trattava sovente argomenti collegati al metamodernismo in modo debole. Alcune volte era il primo autore, od uno dei primi, a trovare il nesso. Chiarire questo punto lo avrebbe aiutato ad identificare un filo comune che unisse il materiale prodotto, al di là del fare bella figura a presentarlo.

La soluzione era racchiusa nella parola protopia, in cui trovare gli elementi in comune tra le parecchie tematiche affrontate. Sì, ve lo starete sicuramente chiedendo, è una nozione metamoderna, fondamentale sul piano etico.

Utopia e distopia asserivano concezioni moderniste applicate alla collettività, quali un modello universale di felicità statica, perfetta, e, parallelamente, la sua totale negazione. L’approccio protopico, invece, poteva essere visualizzato alla stregua di un asintoto in matematica. La curva indica il progredire umano, in perenne avvicinamento alla prosperità, ovvero la retta del grafico, senza mai realmente toccarla. 

Già gli scritti del “collegaPaulo Freire anticipavano il concetto, trattando la formazione delle classi sociali oppresse in un’ottica emancipatoria, per il bene dell’intera comunità. Sarebbero stati ripresi da Jason Josephson Storm, autore del libro citato precedentemente, nella Felicità rivoluzionaria, la quale avrebbe revisionato il suo punto di vista etico.

Al posto di limitarci a contemplare le virtù per un giovamento individuale, comportamento enfatizzato da Aristotele, ecco che bisognerebbe perseguire l’intento di migliorare esponenzialmente la civiltà umana. Affrontare compassionevolmente le sfide odierne in una logica perfettibile, nonostante inevitabilmente ne spunteranno di ulteriori.

La pedagogia ed il resto erano la versione personale del grande Fine, maiuscolo, espresso dagli argomenti e valori preponderanti del blog. La cultura di oggi per un domani migliore” diventava lo slogan ufficiale di Meta Me.

(Gli uffici nonché studi di registrazione di “Mercuzio and Friends”)

Fu sull’onda di cambiamenti del genere che il sito del blog venne ampliato, grazie anche al credere in collaborazioni tra realtà locali. Così, che sia stato voluto dal Destino, oppure dalle leggi probabilistiche dell’universo di Loris, egli conobbe quella di Mercuzio and Friends. Fu incoronato Meta Me-rcuziano – chissà perché – dopo un incontro quasi mistico col suo Augusto Direttore; e poi Sommo Consigliere dello stesso, ormai, caro amico.

Sempre Egli, trascorse mille peripezie in nome di Arte, Cultura e Bellezza, propose al suo consigliere di realizzare materiale firmato M&F anche tenendo una rubrica sul sito che state leggendo. Grato e felice della richiesta, non poteva rifiutare.

Il lieto Fine

Arrivato fin qua, cosa dovrei scrivere nello spazio di un sito dedicato a me, che non sia Meta Me? Ci ho pensato a lungo, e infine… il Fine! Certo, il lieto Fine, alla cui ricerca ho dedicato la mia esistenza. Il finale positivo che vorrei per la mia vera storia, al pari della fiaba in cui ho sconfitto il male grazie ai miei ideali

Credo proprio di continuare, nei prossimi articoli, ad inventare storie di narrativa, ambientate in mondi disparati e portatrici di vari sensi allegorici. Valori e credenze metamoderne li accomuneranno, alcuni già affrontati oggi. Dei racconti, quindi. Buon 2060 e Formiche, pubblicati sul mio sito, rappresentano gli episodi numero 0, di fantascienza cyberpunk e transumanista.

È risaputo, una storia non deve per forza concludersi bene, perfino il viaggio dell’eroe caratterizzato da un “e vissero tutti felici e contenti” è dominato dall’impermanenza. Come non so in che modo arriveranno i titoli di coda per il sottoscritto, compreso Meta Me. Io non sono stato portato via da Obi-Wan Kenobi per addestrarmi nelle vie della Forza, né ho ricevuto la lettera da Hogwarts. Ho cercato un lieto fine, che probabilmente non sarà epico, di sicuro non come quelli che scriverò nella rubrica, ma forse ho trovato il mio Fine, altrettanto lieto. 

(La rubrica è dedicata a mia mamma; ad Enrico Venditti, regista “pazzo”; e a Mercuzio and Friends, specialmente all’Augusto Alberto. E al Responsabile delle Risorse Umane Rocco De Gilio, che forse non avrà ancora capito cosa sia il metamodernismo.)

Va a consultare immediatamente l’imperdibile sito del Meta Me-rcuziano LORIS MARTINO, autore di questa rubrica e Sommo Consigliere dell’Augusto: META ME – IL BLOG DI OGGI PER UN DOMANI MIGLIORE!!!

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Mercuzio and Friends è un collettivo indipendente con sede a Torino.

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