DI ELODIE VUILLERMIN
Sette personaggi si incontrano in una locanda. Ognuno ha la sua storia da raccontare. Il loro punto in comune: il mare.
PERSONAGGI MOLTO INUSUALI
Abbiamo il pittore Plasson, le cui tele restano ostinatamente bianche perché dipinge utilizzando acqua di mare al posto dei colori. Poco importa se sulla tela non si vedrà mai nulla, l’opera vale per ciò che rappresenta: un ritratto del mare fatto con il mare, con l’essenza stessa del mare. Così si ottiene un ritratto del mare vero, non di un suo simulacro. Sulle tele di Plasson c’è la verità. E nessuno meglio di lui può fare questo compito. Lui, che dipinge stando nell’acqua, che si circonda del mare, che ne diventa parte integrante.
Abbiamo Elisewin, figlia di un barone; tutto potrebbe ucciderla (colori, suoni, perfino emozioni troppo forti) e il mare potrebbe essere la sua unica salvezza. Poi il professor Bartleboom, uomo di scienza desideroso di scrivere un’enciclopedia dei limiti, tra cui quelli del mare; per lui la perfezione sta nella logica e nella natura limitata delle cose. Poi Padre Pluche, accompagnatore di Elisewin, un prete sempre in dubbio sulla sua fede e scrittore di peculiari preghiere, che dice sempre un’altra cosa al posto di quello che sarebbe meglio dire. E Ann Deverià, spedita dal marito in riva al mare per “guarire” dal suo adulterio. E Adams (in realtà si chiama Thomas), un africano alto e robusto con lo sguardo di un animale a caccia della sua preda, desideroso di vendetta contro Savigny, l’uomo che ha ucciso la sua amata.
Infine c’è un misterioso settimo ospite, che sta tutto il tempo in una stanza chiusa. Nessuno l’ha mai visto, c’è ma è come se non ci fosse. Si scoprirà essere un uomo che voleva scrivere il mare e che racconta una storia su come una volta un prete benedisse il mare stesso, gesto che ora nessuno potrà più fare perché la magia di quell’uomo è andata perduta.
La caratterizzazione di questi personaggi è eccentrica, folle, fuori dagli schemi. Basti pensare a Bartleboom: pretende di scoprire per quanto si estende e dove finisce il mare, qualcosa di vasto, in perenne movimento e dai confini mutevoli; inoltre scrive lettere alla donna amata, lettere senza indirizzo che conserva in una scatola e non spedisce mai, e tutto ciò per una donna che non esiste ancora, ma lui è certo che saprà amarla appena la incontrerà. Oppure a Thomas, che sembra essere stato in ogni parte del mondo (inclusa Timbuktu) e parrebbe comunicare con le persone attraverso la telepatia. Eppure ci piacciono proprio per questo, per la loro stravaganza.
Alcuni già si conoscono, gli altri trovano inaspettati punti in comune tra di loro. Per esempio Plasson e Bartleboom sono entrambi affascinati dai confini del mare, nello specifico cercano il punto in cui inizia e dove finisce; oppure Elisewin e Ann Deverià soffrono entrambe di qualcosa che è trattato al pari di una malattia e cercano nel mare la loro cura, il modo di tornare a vivere.
Ogni personaggio percorre la sua strada, ma tutte finiscono per incrociarsi grazie al mare, e sempre per merito suo tutte raggiungono la propria fine. Alcuni conquistano un lieto fine, altri incontrano sventure e tragedie sul proprio cammino.

IL NAUFRAGIO
Il secondo libro, forse il più importante, ci parla dell’Alliance, una fregata francese naufragata per la disattenzione del comandante, e dei giorni di inferno dei 147 uomini abbandonati a sé stessi su una zattera malmessa, mentre il resto dei passeggeri fuggiva a bordo delle lance. È un racconto con due punti di vista che si alternano tra loro: quello del medico Savigny e del marinaio Thomas. Un racconto di dolore e disperazione, di un mare che sparpaglia corpi e li trascina alla deriva, della ragione che cede il posto al caos. Il senso di abbandono e la paura della morte fanno emergere la parte bestiale dell’umanità, che uccide per sopravvivere. E in tutto ciò emerge il vero nemico dell’uomo: sé stesso. Urla, buio, freddo, corpi infilzati, sforzi per tenersi aggrappati alle corde, acqua che sommerge, gente che si suicida, cibo che scarseggia, zuffe, sangue, omicidi, cannibalismo: Baricco restituisce tutte queste sensazioni con un’esattezza così cruda da far venire i brividi.
I primi paragrafi, quelli di Savigny, cominciano con un elenco di parole e a ognuno si aggiunge una nuova parola fino a creare un elenco sempre più lungo, come un accumulo progressivo di disgrazie, una discesa lenta nella follia e nella disperazione. Le frasi perlopiù sconnesse di Savigny, che rispecchiano il panico e la paura dei naufraghi sulla zattera, fanno da contraltare ai pensieri ordinati e razionali di Thomas, il quale cerca di capire la logica e gli schemi dietro tanta follia senza però trovare una spiegazione. Ma entrambi, a un certo punto, guardano il mare e ritrovano sé stessi, vedono la natura umana in tutti i suoi pregi e difetti. E resta la consapevolezza che, anche se sopravvivranno al naufragio, non saranno realmente salvi: le atrocità vissute non spariranno, resteranno sempre lì nella memoria. Finché l’uomo ricorderà, soffrirà. E finché soffrirà, non sarà mai davvero al sicuro.
STILE NARRATIVO
La scrittura rispecchia quella già vista in altre opere di Baricco: surreale, a volte ricercata, con molte ripetizioni e associazioni di parole a volte prive di contesto. Le frasi sono perlopiù sconnesse, anche dal punto di vista della punteggiatura: abbiamo lunghi periodi con molte virgole, battute fatte solo di lunghi puntini per sottolineare i silenzi o le pause di riflessione, frasi lunghe una pagina intera intervallate da barre oblique o trattini, dialoghi a due strutturati come battute di una pièce teatrale, ecc. A volte i personaggi fanno discorsi che si perdono in digressioni senza senso (almeno per i lettori), oppure ci sono numerosi dialoghi a più persone dove non si capisce chi stia parlando. Prevalgono i discorsi diretti, ma non mancano le parti narrative.
Il tempo è tutto fuorché lineare, fluisce continuamente tra passato e presente. Stesso discorso per la locanda Almayer, l’ambientazione principale, un piccolo mondo situato ai confini tra oceano e terra, tra sogno e realtà, che esiste nell’immaginario collettivo ma nessuno sa dov’è fisicamente; il suo personale è formato da bambini, che sono la nostra guida nei momenti più difficili dell’esistenza, perché la saggezza sta nella gioventù ed è compito nostro far sì che non si perda con il passare degli anni; un luogo che alla fine scompare nel nulla, come se non ci fosse mai stato, portando con sé tutti i segreti delle persone che vi hanno alloggiato.
IL MARE COME LA VITA
Quando Savigny guarda il mare dopo la tragedia e si riconosce in esso, tutto diventa mare. Perfino noi umani ne diventiamo parte, così come il mare entra a fare parte di noi. Il mare è metafora dell’esistenza, e in quanto tale non è solo gioia. La vita è pietà e crudeltà, salvezza e morte, bellezza e orrore, dono e fatica. Lo dimostra questo estratto:
Il mare. Sembrava uno spettatore, perfino silenzioso, perfino complice. Sembrava cornice, scenario, fondale. Ora lo guardo e capisco: il mare era tutto. È stato, fin dal primo momento, tutto. […] C’era lui nelle mani che uccidevano, nei morti che morivano, c’era lui, nella sete e nella fame, nell’agonia c’era lui, nella viltà e nella pazzia, lui era l’odio e la disperazione, era la pietà e la rinuncia, lui è questo sangue e questa carne, lui è questo orrore e questo splendore. Non c’è zattera, non ci sono uomini, non ci sono parole, sentimenti, gesti, niente. Non ci sono colpevoli e innocenti, condannati e salvati. C’è solo il mare.
Il mare è il vero protagonista del libro, colui che riunisce tutti gli altri personaggi, il luogo attorno al quale si concentrano le loro vicende e in cui tutti cercano il senso della propria esistenza. Un mare che per qualcuno è cura, per altri è maledizione, per altri ancora un mistero. Mare che affascina o che suscita paura. Un mare vivo, con i suoi movimenti, una voce, una volontà propria. Molti cercano di studiarlo, di catturarlo, di limitarlo. Ma lui è troppo grande, non ha confini, è anche oceano, oceano mare. È libero e non abbiamo alcun controllo su di esso. Capire ogni parte di esso è impossibile e dobbiamo accettarlo.
La vita è così: qualcosa di grande, in eterno movimento, che passa e cancella. Non puoi fermarla, puoi solo seguire la corrente sperando che ti porti nella direzione giusta. Come un naufragio, spesso può essere ingiusta, coglierci di sorpresa e metterci alla prova. Bisogna avere il coraggio di sopravvivere alle disgrazie e andare oltre. Ma non tutti sopravvivono al mare, così come non tutti possono salvarsi dalle disgrazie della vita: Thomas e Savigny l’hanno imparato nel peggiore dei modi; ciò che hanno passato li rende degli eterni insoddisfatti, naufraghi anche sulla terra, senza un appiglio sicuro o una via di fuga.


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