About Schmidt

DI GIACOMO CAMISASCA

Cari lettori,

Vorrei parlarvi un pochino di Warren Schmidt, ex attuario di un’impresa assicurativa di Omaha (Nebraska) andato in pensione da poco e sposato da 42 anni con la dolce Helen Schmidt.

I due hanno una figlia, Jeannie, che abita a Denver (Colorado) e che sta per sposarsi con Randall Hertzel, uno che non ha l’aria molto sveglia, oltre ad avere dei baffi e un pizzetto davvero orribili.

(Sì, quei baffi e quel pizzetto sono davvero orribili!!!)

Warren si trova, improvvisamente, ad avere del tempo a disposizione e certe volte è un bene – penserete voi – ma da un lato ti costringe a fare i conti con la realtà e la vita che ti circonda e di cui, magari, non ti eri minimamente accorto.

Come, ad esempio, accorgersi che alcune abitudini di tua moglie sono davvero fastidiose, tipo spendere soldi per collezionare statuine inutili che accumulano solo polvere, o semplicemente il modo in cui si siede sul divano.

Warren si stava rendendo conto che quella che aveva accanto – quella donna anziana – era diventata in tutto e per tutto un’estranea. 

E poi c’era la sua dolce Jeannie, la sua unica figlia, bella, intelligente, destinata a fare grandi cose ma che stava per finire dritta tra le grinfie di quel buono a nulla di Randall; Warren era disperato, voleva scuotere la sua bambina e dirgli che meritava decisamente di meglio.

Per distrarsi da un destino oramai segnato, il buon vecchio Warren Schmidt aveva iniziato a scrivere diverse lettere, allegando un assegno mensile di 22 dollari, ad un bambino africano di nome Ndugu tramite un’associazione di adozioni a distanza.

In quelle lettere Warren raccontava al piccolo Ndugu tutte le sue paure e le sue perplessità, quella corrispondenza era, in tutto e per tutto, una valvola di sfogo, come se quel bambino lontano chilometri e chilometri fosse l’unica persona sulla terra disposto ad ascoltarlo.

E all’improvviso ecco che la vita di Warren cambia in un batter d’occhio

Helen, la sua dolce metà, muore, lasciandolo vedovo e solo.

Dopo la baraonda che è il funerale, Warren scopre – mettendo in ordine l’armadio della moglie – che pure Helen conservava delle lettere, lettere di un amore tenuto nascosto agli occhi del marito per un suo caro amico… Questa è la scintilla che lo accende.

In sella al suo gigantesco camper, Warren decide di partire verso Denver, un viaggio di 541 miglia, per aiutare sua figlia con il matrimonio ma intenzionato in realtà a persuaderla dallo sposarsi con quell’inetto di Randall. 

Ma arrivato a metà strada, Jeannie gli comunica – senza troppi giri di parole – che la sua presenza non è gradita in quel momento e che deve aspettare due giorni prima delle nozze per presentarsi a Denver, come da programma.

Così Warren Schmidt inizia il suo viaggio on the road attraverso l’entroterra americano passando per il Kansas, il Nebraska e l’Oklahoma, un’odissea alla scoperta di quegli Stati Uniti meno conosciuti in cui si respira quel senso di avventura pioneristica che sembra ormai perduta.

Una terra, però, conquistata con la forza e sottratta ad un popolo, quello dei nativi, relegato ai margini.

Oltre al viaggio vero e proprio, c’è anche il viaggio nascosto, quello interiore in cui è facile perdersi ma che ridà al nostro protagonista una fiducia in sé stesso che sembra poter durare in eterno.

Warren ripercorre la sua infanzia, trovando la casa di quando era piccolo, diventata un negozio di pneumatici, torna in quello che era il suo college scoprendolo più frenetico e distaccato e ogni volta che si ferma cerca il dialogo con perfetti sconosciuti e si rende conto che è difficile essere presi in considerazione.

Durante una delle sue soste in un’area camper, Warren conosce una coppia di viaggiatori come lui, John e Vicki Rusk. 

Dopo essere stato invitato a cena, Warren si intrattiene in una conversazione con Vicki, convinta che dentro di lui ci sia tanta rabbia e frustrazione inespressa.

Warren scambia le sue parole dolci e confortevoli in un invito da parte della donna e dopo aver cercato di baciarla viene cacciato via dal camper.

Quel momento è come un click nella sua testa, come svegliarsi di colpo da un incubo e rimanere per un attimo con il fiato corto cercando di capire se era tutto vero oppure no, Warren capisce che perfino l’amore che credeva di provare per la sua defunta moglie, ora, è in bilico ma nonostante questo decide di perdonarla per il suo tradimento, rendendosi conto che il matrimonio è una cosa che si fa in due e che anche lui ha le sue colpe come marito e come padre.

Tornato sulla strada, Warren si dirige finalmente a Denver, deciso nella sua missione di far cambiare idea alla sua dolce Jeannie.

Viene ospitato dalla madre di Randall, Roberta Hertzel, una donna che è l’opposto di Warren e che, come dice lei, è sessualmente attiva e predisposta al sesso in una maniera primordiale.

Il matrimonio si avvicina e Warren fallisce nel suo intento di sabotarlo ed è costretto a vedere la sua unica figlia sposare quell’imbecille di Randall, in una cerimonia che ai suoi occhi appare grottesca e invasa da trogloditi, ovvero tutti i familiari dello sposo.

Ma Jeannie è felice, questo è quello che conta, o perlomeno è questo che dovrebbe pensare Warren.

Tornato a casa, Warren Schimdt non fa che piangersi addosso, dandosi del fallito, credendo di non aver combinato nulla nella sua vita, consapevole di aver perso oltre a sua moglie (che molto probabilmente non lo amava più) pure sua figlia, che ora si è sposata e si trova a più di 500 miglia da lui.

Warren è solo, o forse no?

Nella posta trova una lettera, è Ndugu, o se vogliamo essere precisi è la suora che si prende cura del piccolo che non è ancora in grado di leggere e scrivere, la quale informa Warren che Ndugu riceve sempre le sue lettere e che è dispiaciuto del fatto che si senta così solo ma crede che presto passerà.

In allegato alla lettera c’è un disegno fatto dal bambino, che raffigura lui e Warren che si tengono per mano, dietro un cielo blu, un sole che sorride e una piccola casa in un angolo.

Warren capisce, attraverso quel disegno, che non sarà mai solo.

Ed eccoci, cari lettori, alla fine di questo viaggio (questa tappa) con il terzo lungometraggio di Alexander Payne, presentato in concorso al 55° Festival di Cannes nel 2002.

Un film che si avvicina a quel concetto di viaggio dell’eroe, un personaggio che non è per nulla l’archetipo dell’eroe classico ma è un pensionato pieno di rabbia che cerca di non rimanere solo.

La narrazione viene portata avanti dalle lettere che Warren scrive al piccolo Ndugu, raccontandogli la sua vita e quello che gli sta accadendo.

About Schmidt viene elevato da quel mostro che è Jack Nicholson, dalle sue espressioni facciali che comunicano molto di più rispetto ad un monologo di qualunque altro attore.

Jack Nicholson con quella sua aria sorniona che nasconde la sua rabbia in piccoli gesti delle mani e degli occhi, una prova attoriale che gli è valsa la candidatura come miglior attore protagonista ai Premi Oscar del 2003.

Candidatura che arriva anche per Kathy Bates, che interpreta la madre di Randall, un personaggio che diventa iconico nonostante lo scarso minutaggio (ricordo su tutte la scena dell’idromassaggio, capirete).

Alexander Payne ritorna ancora una volta nella sua Omaha, nel suo Nebraska, il suo mondo, dove poter far vivere i suoi personaggi, personaggi che ancora una volta sono l’anima del film.

È questo che dovrebbe fare un buon regista, ma soprattutto un buon sceneggiatore, far prendere vita ai suoi personaggi e in questo Alexander Payne è un maestro.

Riesce a farti rimanere incollato allo schermo con storie semplici, ordinarie, ma è lì che risiede la magia, in quei racconti così veri e autentici che ci parlano e ci colpiscono al cuore.

E mentre in una scena del film il camper di Warren Schmidt sfreccia davanti ad un cinema, per un secondo, scorgiamo quella che sarà la prossima avventura… Sideways.

(Si trova al minuto 59: che chicca!!!)

Bene, siamo arrivati ai saluti, spero che con questo lungo racconto vi abbia messo un briciolo di curiosità riguardo al signor Warren Schmidt e vi ricordo che il 30 novembre si avvicina, data in cui potremo assistere all’ultima fatica di Alexander Payne, ovvero The Holdovers, con un Paul Giamatti in gran forma.

Ah… se amate Paul Giamatti e soprattutto se amate il vino non perdetevi la prossima tappa, vi aspetto!

Buona vita,

Giacomo.

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