Di cosa scriviamo quando scriviamo di scrittura

DI ALBERTO GROMETTO 

Le Storie sono dappertutto intorno a noi. Dappertutto. Nel film che andiamo a vedere al cinema, nello spettacolo a cui abbiamo assistito a teatro, nel libro che abbiamo accanto a noi sul comodino, nella striscia di fumetto letta sul giornale, persino nel cartellone pubblicitario davanti al quale passiamo tutti i giorni, oltre che nelle chiacchiere da pub davanti ad una bella birra gelata.

Noi viviamo sullo Storytelling. E tutti, dall’artista più artista che esista fino ad arrivare all’ingegnere più quadrato e realista che ci sia, dobbiamo arrenderci all’unica e sola grande verità sulle Storie. E cioè: tutto quello che succede a questo mondo è SOLO quello che viene raccontato.

Se qualcosa non viene raccontato, quel qualcosa non è mai accaduto.

Ma facciamo un passo indietro e arriviamo alle radici della Grande Domanda: PERCHÈ SCRIVIAMO O PERCHÈ VOGLIAMO SCRIVERE?

Quello che stiamo per dire adesso… rimanga tra noi, non raccontatelo in giro. 

Se un giorno mi imbatterò in una storia e sentirò come mio compito quello di scriverla, io non dovrò dimostrare quanto sia bravo, non è questo il punto. E non è nemmeno voler sostituire James Joyce, William Faulkner, Fëdor Dostoevskij, o anche William Shakespeare! Quella storia non può essere trasformata in un palcoscenico sul quale mettere me stesso e raccontare a tutti quanto sia talentuoso. La storia che ho ereditato deve essere l’oggetto della mia ASSOLUTA dedizione! È la MIA causa e la devo proteggere ad ogni costo. Nel tempo della Scrittura per me esisterà solamente quella Storia. Perché quella Storia è molto più importante di me, che quella Storia la scrivo. E non esiste nulla di più importante di quella Storia. E se qualcosa in quella Storia non funziona, non è colpa della Storia. Se quella Storia esiste è perché ha in sé qualcosa di straordinario. La colpa sarà solo mia. O comunque di quello che la sta scrivendo.

(L’Uomo-Chiamato-Teatro: William Shakespeare, il Grande Bardo!!!)

Il punto non è sentirsi dire “FAVOLOSO!”, il punto è vedere la gente che urla, ride o piange. È preferibile l’odio all’indifferenza. Cose come “Carino” oppure “Mi piace” o “Ben scritto” è ciò che i narratori veri non vogliono sentirsi dire. È qualcosa di fastidioso. L’obbiettivo è ANDARE OLTRE. J. D. Salinger diceva che gli autori non sono grandi quando gli vuoi telefonare per dirgli che sono bravi, ma quando vuoi sentirli per chiedere loro come affrontano la vita e come pensano debba essere affrontata.

Il punto per i narratori è AMARE, ma di un amore fisico, la Storia che raccontano. 

Quando arrivi alla fine di un film, esistono solo due possibili reazioni. Una è questa: scorrono i titoli di coda e la gente è già al cellulare oppure parla di dove andare a mangiare. L’altra è il suo opposto: scorrono quei titoli e tutti stanno fermi e immobili. Sì, magari qualche pirla che parla c’è. Ma in linea di massima stanno tutti zitti ed escono dal cinema nel silenzio più totale. Uno dei più grandi Eroi della Scrittura secondo «Mercuzio And Friends», il colosso Raymond Carver, l’incontrastato e celestiale Re dei Racconti Brevi, li chiamava: i due o tre minuti in cui si pensa al tipo di esperienza vissuta. L’intensità di una storia ha a che fare con il fatto di far vivere a chi la ascolta un’esperienza di qualche tipo. E questo non c’entra con lo stile di uno scrittore: qui noi stiamo parlando dell’esperienza della vita. 

(Lui, il Maestro!, Raymond Carver)

Trattiamo la teoria dell’iceberg del celeberrimo Ernest Hemingway. Come dell’iceberg noi vediamo solo la punta uscire dall’acqua, così in una buona Storia quello che vediamo è infinitamente meno di ciò che ci dice in realtà. Il sentimento che ci trasmette una Storia è il vertice della piramide, il quale per esistere ha però bisogno di tutto quello che c’è sotto l’acqua, e cioè il duro lavoro artigianale di scrittura, controllo, modifiche, scelte stilistiche… E ora diremo qualcosa che il mondo là fuori potrebbe ritenere una follia: lo scrittore o sceneggiatore che scrive di getto la sua opera non esiste. Quella magia, quell’emozione, quell’intensità… è tutta costruita. Non c’è nulla di spontaneo. Il poeta portoghese Fernando Pessoa scrisse in una nota e celeberrima poesia: «O poeta é un fingidor». Il poeta è un FINGITORE. E continua affermando: «Finge così completamente che arriva a fingere che è dolore il dolore che davvero sente». Questo è quello che è un narratore. Producendo immagini, arriva a sentire quello che scrive e immagina talmente bene il dolore di cui scrive al punto da sentirlo completamente, tanto il coinvolgimento è mostruoso, pazzesco, micidiale. «Io nel pensier mi fingo» disse un altro celeberrimo Maestro di Poesia quale era Giacomo Leopardi nel suo «L’Infinito». Però dopo aver finto di provare quel dolore al punto da provarlo sul serio, lo scrittore deve poi fare anche il contrario, e cioè fingere che non sia suo così da poterlo controllare al meglio e rendere quel suo sentimento il sentimento che altri sentiranno. 

Ed è qui che subentrano concetti quali l’empatia e la capacità del sapersi immedesimare, e cioè arrivare a provare quel che prova un’altra persona. È solo così che si possono mettere in comunicazione sensibilità molto diverse facendole reagire in modi molto simili. E sì, è possibile che il cuore di pietra iper-razionale che tende ad esaminare tutto dal punto di vista analitico e il tenerone romanticone possano arrivare a commuoversi per lo stesso libro. E questo è possibile perché esiste una forza trascinante molto più forte di entrambi. La domanda è: cosa lega il tenerone al cuor di pietra? Quello che lega tutti noi indipendentemente dall’età, dalle esperienze di vita, dal luogo di provenienza. Che cosa lega tutti noi? La risposta a questa domanda è quella di cui un Autore ha bisogno per poter procedere senza annaspare alla ricerca di un qualcosa che non sa cosa sia. È la ragione per cui esistono le Storie. Cosa abbiamo tutti noi in comune? Il fatto che viviamo, e che dunque siamo UMANI. È l’umanità, la dimenticata umanità, ciò che ci permette di confezionare Storie. Cogliere l’umanità. Cesare Pavese diceva che la Scrittura è un dialogo tra un essere umano e un altro essere umano. Non tra un umano e un foglio. La tecnica va bene, ma è necessario andare al cuore delle cose, in profondità.

La scrittrice Flannery O’Connor diceva che è un talento che ciascuno di noi può e deve ESERCITARE, quello di andare in profondità. La parola d’ordine è una sola: MERAVIGLIA. Coloro che scrivono devono abituarsi a provare una meraviglia assoluta, uno stupore senza fine per quello che scrivono, perché se a loro in primis non sembra, nel momento in cui la stanno scrivendo, che stiano scrivendo dell’esperienza più importante che ci sia al mondo… non avranno nemmeno il desiderio di andare in profondità. E questo vale anche per i lettori. E uno potrà avere uno stile bello, usare un aggettivo indovinato, preoccuparsi dell’incipit… ma se non c’è un cuore pulsante che batte in quella cosa che sta scrivendo, se non gli sembra ciò che di più bello ci sia nell’Universo, tutta la tecnica acquisita non basterà. Il punto è andare in profondità e sentire. I narratori devono lavorare sulla meraviglia, la capacità di sentire e solo dopo viene la tecnica, che è importante, ma che servirà a scatenare quello che vogliono scatenare. E questa capacità, questo sentire, non è una cosa che hai o che non hai, ma è qualcosa che abbiamo tutti noi in quanto esseri umani. 

(La grande Flannery O’Connor!!!)

Prendiamo in esame «Questa È L’Acqua» di David Foster Wallace. Non è un racconto, non è un saggio, ma è un discorso che il Signor Wallace ha tenuto nel 2005 all’università Kenyon College in occasione della laurea degli studenti dell’ultimo anno. Questo discorso è oggi considerato il manifesto-simbolo del significato e dell’importanza di avere una formazione umanistica. Parte con una storiella. Vi sono due giovani pesci che stanno nuotando, quando ne incontrano uno più anziano che chiede loro «Com’è l’acqua?». I due giovani pesci proseguono e uno dei due domanda all’amico: «Che cavolo è l’acqua?». Quei due non sanno nemmeno cosa sia l’acqua, pur vivendoci dentro. In questa storiella il pesce anziano, quello che invece sa cosa sia l’acqua, incarna il vero narratore. E l’acqua è metaforicamente la vita e noi dobbiamo smettere di essere quei pesci che non sanno di esserci dentro. 

Per questa ragione tutto quello che è dentro una Storia deve essere NECESSARIO, il che significa che dentro una Storia tutto ciò che compare deve essere ESSENZIALE, non abbiamo tempo per le divagazioni inutili o i divertissement pittoreschi. Ogni parola deve essere IRRINUNCIABILE. Se in quel bosco, mentre vi sono un padre e un figlio che camminano, comincia a piovere… vuol dire che è necessario che piova e che quella pioggia non è solo pioggia, ma significa qualcos’altro.

Il più grande GENIO secondo me in fatto di STORYTELLING, e cioè il regista e sceneggiatore Paul Thomas Anderson, alla fine del suo «Magnolia», fa piovere rane, e tutti dicevano che era pazzo. Ma lui quelle rane sapeva di doverle fare piovere, solo così il film avrebbe avuto un senso. Un Autore vero non prende delle decisioni perché “preferisce così”, ma perché “serve così”. Perché era assolutamente necessario e fondamentale.

(Tu, PTA, sei il più Grande tra i Grandi)

Dunque, in conclusione, sento di non poter non citare le parole di un altro discorso di un altro asso della comunicazione. Parole dentro le quali è racchiuso il grande perché dietro le Storie.

«Perché, in ultima analisi, il legame fondamentale che unisce tutti noi è che abitiamo tutti su questo piccolo pianeta. Respiriamo tutti la stessa aria. Abbiamo tutti a cuore il futuro dei nostri figli. E siamo tutti solo di passaggio».

Presidente John Fitzgerlad Kennedy

Se ami la Scrittura, leggiti questo articolo di narratologia!!!

Se sei convinto che attraverso le Storie si possa cambiare e forgiare l’Universo, questo è il pezzo che fa al caso tuo!!!

Se ritieni che narrare serva a dare un senso e un significato a quello che nella Vita vera forse un significato e un senso non ha… allora devi leggerti questo pezzo qua!!!

Mercuzio and Friends è un collettivo indipendente con sede a Torino.

Un gruppo di studiosi e appassionati di cinema, teatro, discipline artistiche e letterarie, intenzionati a creare uno spazio libero e stimolante per tutti i curiosi.

Scopri di più →

Carrello Close (×)

Il tuo carrello è vuoto
Sfoglia negozio
GO TO TOP