La Perfetta Imperfezione della Geometria Irregolare del Cinema di Wes Anderson

DI ALBERTO GROMETTO

Esiste la Perfezione? E se sì, sarebbe davvero tutta questa meraviglia? Secondo me no. La perfezione è noiosa, scadente, ferma, immobile e finanche mortale. Se tutto fosse perfetto, non ci sarebbe niente su cui indagare, nulla su cui interrogarsi nel cuore della notte, nessun quesito esistenziale da porsi. Sarebbe sempre tutto uguale, soprattutto. E non ci sarebbe nemmeno la Felicità. Perché è nella bellezza mutevole delle imperfezioni che si nasconde la vera Felicità. La Felicità è tale proprio perché è imperfetta, perché esistono le imperfezioni a questo mondo. Senza il Dolore e la Sofferenza, la Felicità non esisterebbe.

Ecco, quando si pensa al Cinema del SOMMO MAESTRO WES ANDERSON, si pensa alla Perfezione. Il regista e sceneggiatore texano, parodiato e imitato in tutto il Mondo, ha un modo di fare film tutto suo, ogni sua singola pellicola è contraddistinta dal suo solito timbro immediatamente riconoscibile, al punto che diversi critici hanno dichiarato di averne le scatole piene di lui, accusandolo di realizzare film tutti uguali tra di loro, “fatti con lo stampino” per così dire. Hanno detto la stessa cosa nel caso di molti altri Autori. Se per questo anche dei film Marvel. Hanno ragione o torto?

Beh, come sempre sta ad ognuno di noi trovare la sua risposta. Una cosa la posso però dire su Wes Anderson e le sue perle: il suo modo di fare Cinema è assolutamente AUTORIALE. Che piaccia o meno, che sia amato oppure odiato, Wes è un AUTORE vero con la A MAIUSCOLA, capace di raccontare Storie alla sua maniera e senza doversi adeguare ai dettami di nessun altro ma rimanendo fedele a sé stesso e alla sua identità. 

Egli ha un modo di riprendere e costruire le immagini assolutamente peculiare e completamente diverso da quello di qualsiasi altro cineasta. È impossibile guardare un film di Wes Anderson e non capire che è suo. Pure chi non se ne intende affatto di Cinema o Montaggio o Regia, comunque non può non riconoscere immediatamente le caratteristiche assolutamente e totalmente personali delle pellicole andersoniane. E questo perché le inquadrature e la loro composizione “parlano” al nostro subconscio, ci colpiscono tutti a livello emotivo, anche lo spettatore che nulla sa delle inquadrature e della loro composizione. Qua sta la Magia del Cinema, quando fatto come si deve. Per farsi stregare, bisogna solo essere disposti a guardare.

La domanda è: perché Wes Anderson decide di raccontare le sue Storie come le racconta? 

Iniziamo col dire quanto segue. Il suo Cinema è tutto costruito su geometrie regolari e perfette. Il suo è uno stile assolutamente GEOMETRICO. Il Cinema ha un infinito numero di possibilità combinatorie. Lui sceglie di muovere la macchina da presa dall’alto al basso e viceversa, da destra a sinistra e viceversa, perpendicolarmente o orizzontalmente, seguendo linee rette perfette, rigorose e precise. Simmetria e Prospettiva sono i principi cardini su cui Wes fonda i suoi film e costruisce sia la singola inquadratura sia i movimenti della cinepresa. La sua organizzazione degli spazi e della posizione dei personaggi davanti alla telecamera è meticolosa e attenta. Musiche, scenografie, costumi: tutto è combinato perché ci venga restituita un’idea di ordine che parrebbe essere “perfetto”. Persino i colori pastello, tipicamente andersoniani, sono organizzati secondo una palette scrupolosa e accurata. 

Eppure qualcosa di imperfetto c’è, eccome se c’è. Quando parliamo di un film e della sua composizione, dobbiamo riflettere su molteplici aspetti: visivo, sonoro e narrativo. L’architettura di una pellicola è fatta di elementi diversi. Se abbiamo finora lungamente disquisito sull’essenza dell’impianto visivo dei gioiellini di Wes, e se a proposito delle sue colonne sonore possiamo dire che anche le musiche (originali o meno che siano) sono sempre fortemente caratterizzanti nei suoi lavori, relativamente all’aspetto narrativo diciamo che regna il Caos. Nel senso più bello e meraviglioso del termine.

Mi spiego meglio: i temi di cui narra il Cinema di Wes Anderson hanno sostanzialmente sempre a che fare con folli e impacciate famiglie disfunzionali o gruppi di individui goffi e fuori luogo abbandonati a sé stessi e al loro disordine mentale. Le trame delle sue pellicole sono costruite all’insegna dello scompiglio e della baraonda. Lo Squilibrio è ciò che interessa al Maestro. Confusionari e confusi, i suoi personaggi portano subbuglio e soqquadro, al punto che ad un primo impatto sembrano delle comiche macchiette ironiche che si ritrovano a vivere storie surreali e stralunate. Sarcasmo e divertimento sono pietre angolari delle vicende e delle situazioni portate in scena, eppure sempre, man mano che si procede nella visione, subentrano sentimenti quali malinconia e nostalgia e tenerezza e rimpianto e dolore.

Tra tutti i suoi film, la pellicola che lo consacrò e lo fece conoscere al mondo intero è sicuramente senza ombra di dubbio quel capolavoro sacro e immortale che è I TENENBAUM (2001). Il suo primo vero successo, costato appena 20 milioni ne ha incassati 71, ed è diventato sulle note di quella meraviglia assoluta di «Ehy Jude!» dei Beatles un CULT, nonché una delle più straordinarie pellicole mai realizzate. Una famiglia, tema molto caro al Maestro Anderson, è al centro della narrazione. L’Avvocato Royal Tenenbaum e la moglie archeologa Etheline dovrebbero essere la classica ricca coppia di successo che ha avuto in dono tre straordinari bambini prodigio: un mago della Finanza, una drammaturga dal profondo talento, un falconiere nonché giovane stella del Tennis!

Ma la vita non va sempre come si è sognato, nemmeno quando sulla carta parrebbe essere “perfetta”. Ancora quella parola. Sembrava la famiglia perfetta, quella dei Tenenbaum. Ma basta che un solo elemento sia “fuori posto” e tutto crolla. Quell’elemento è il capofamiglia, Royal, che sceglie sostanzialmente di abbandonare quel ruolo prediligendo un altro tipo di vita. Cinico, sarcastico, politicamente scorretto, amorale, divertente e ironico, il suo personaggio portato in vita da un fenomenale GENE HACKMAN in stato di grazia è straordinario proprio per quanto riesca ad essere stronzo eppure adorabile insieme. Si renderà conto tanti anni più tardi di aver distrutto la vita di tutta la sua famiglia, e alla fin fine anche la sua. Ma forse si può sempre rimediare? 

«Uno non può essere stronzo per tutta la vita e poi riparare al danno?»

Questo si chiede quel gran stronzo di Royal. Due decenni di disastri, fallimenti e tradimenti possono davvero essere cancellati con un colpo di spugna? La madre impersonata da una divina ANGELICA HOUSTON, forte e insicura al tempo stesso, ancora amata da sua marito e di lui ancora innamorata, può forse perdonarlo di tutto quel dolore? E che dire dell’iracondo e nevrotico primogenito Chas, un BEN STILLER magnifico, che dichiara ad ogni secondo di odiare suo padre? E l’ambigua e depressa figlia adottiva (che Royal ricorda sempre essere “adottiva”) Margot, interpretata da una luminosa GWYNETH PALTROW? Oppure il figlio prediletto, un sorprendente LUKE WILSON, silenzioso e cupo e disperato? 

Menzione speciale la merita il personaggio di Eli Cash, uno stratosferico e sensazionale OWEN WILSON, l’amico di famiglia. Solo amico però, non familiare. Scrittore di successo, la sua vita potrebbe davvero essere esempio ideale di trionfo, eppure lui guarda ai Tenenbaum e tutto quello che desidera e che ha sempre desiderato è di essere uno di loro. Loro, che sono così goffi, disastrati, fuori di testa. Loro, che hanno una vita pasticciata e confusionaria e stralunata. Eppure lui, che ha trascorso tutta la sua esistenza in Casa Tenenbaum, con ogni fibra della sua anima vorrebbe farne parte. 

«Ho sempre voluto essere un Tenenbaum».

Questo è quello che dice Eli ad un certo punto del film. E il fatto più sconcertante è che siamo talmente catturati da quel mondo geometricamente perfetto che racconta però di personaggi disordinatissimi, tutti sostanzialmente dei perdenti pieni di difetti e immaturi e con i loro traumi e fantasmi da affrontare, che alla fine pure noi sentiamo il desiderio di portare il nostro casino in quella famiglia ed essere un Tenenbaum.

Il quesito rimane: perché Wes Anderson fa i suoi film in questa sua maniera?

Se ne potrebbero citare a bizzeffe di sue perle maestose, tutte esteticamente e narrativamente “wes andersoniane”. Come ad esempio quella piacevolezza di GRAN BUDAPEST HOTEL (2014) che racconta una storia d’avventura talmente indiavolata e divertente e ironica che quando d’improvviso subentra la malinconia del tempo che fu, ne rimaniamo spiazzati. Oppure ancora LE AVVENTURE ACQUATICHE DI STEVE ZISSOU (2004) che racconta di un uomo eccentrico e stravagante oltre ogni limite, un perdente nato che affronta la vita con una ridicolaggine senza pari e che nonostante sia predisposto a fallire e a umiliarsi si trova circondato da persone che lo seguono malgrado tutto e che sono la sua famiglia: anche se non lo sono, però lo sono. Merito anche della performance in questo caso di quel meraviglioso maestro di bravura e talento che è BILL MURRAY. E ancora si potrebbe citare RUSHMORE (1998) che racconta la vita di un ragazzino che ama far parte di una comunità, la sua scuola, e che ne organizza l’esistenza con una precisione e una cura e una meticolosità maniacali ed eccessive ed esagerate! L’esagerazione eccessiva, si sa, è strettamente correlata a tutti i personaggi di Wes. Il ragazzino, le cui idee verranno sconvolte dall’arrivo di un altro tipo di amore, quello romantico per una donna, è uno straordinario character interpretato da un magistrale attore che ci ha regalato in questo caso la miglior performance della sua vita: JASON SCHWARTZMAN

Un altro talento impareggiabile di Wes sta proprio nell’individuare gli attori giusti per i ruoli giusti: i suoi cast sono sempre di un livello sovrumano e pazzesca è la sinergia che viene a crearsi tra i vari personaggi in gioco. È nel descrivere le relazioni umane tra bislacchi esempi di umanità, ognuno con le sue imperfezioni ma anche meraviglie, che vi è parte integrante della sua forza. Citerò da ultimo un altro suo monumentale capolavoro: IL TRENO PER IL DARJEELING (2007). 

La storia è quella dei tre Fratelli Whitman: pazzi, folli, eccentrici, sopra le righe, fuori di testa. Ce ne innamoreremo seduta stante e saremo anche noi con loro su quel treno ad affrontare un viaggio assurdo solo per poter fondamentalmente ritrovare quella cosa che loro hanno perduto e non volevano più avere. Ma che invece amano. La Famiglia. Lo stare insieme. A loro manca come non mai. E così anche se c’è un fratello che si è sempre ritenuto il preferito del padre (Adrian Brody), quello timido timido ma che rimorchia (Jason Schwartzman) e l’altro che fa il capetto e vorrebbe comandare e decidere lui ed è manipolatorio e ossessivo all’ennesima potenza (Owen Wilson), alla fine si amano. E noi amiamo loro.

Ancora Geometria e allo stesso tempo Disordine. Ma perché lui fa così? Questa è la spiegazione che mi sono dato io.

Le vite dei personaggi che Wes racconta sono talmente strane e sregolate al punto tale che lui con il Cinema tenta di “raddrizzarle”, di ricondurle ad una situazione geometrica e regolare. I suoi movimenti di camera sono tutti dritti, sviluppati secondo linee geometriche rette quali diagonali, verticali ed orizzontali. È quasi come se il mondo fosse un gran casino e lui per esplorarlo decida di studiarselo con la squadra e il filo a piombo a portata di mano. Chissà se è così. Magari no. Nessuno lo sa, forse nemmeno lo stesso Wes Anderson.

Una cosa è certa: il suo modo peculiare e molto personale di filmare costituisce un’evidente dimostrazione di come esistano infinite possibilità di scelta quando si parla di composizioni di sguardi e di modi diversi di rapportarsi a loro. Perché, come ci insegna lo stesso Wes, il Cinema è, prima di qualsiasi altra cosa, Sguardo. Non è la Storia che tu racconti, ma è il modo in cui la guardi quel che fa di un film il tuo film.

Se vuoi leggere di un altro film che parla di Famiglia, allora clicca qua!!!

Se desideri invece saperne di più sulle critiche mosse alla Marvel in merito alla cosiddetta questione dei “film fatti con lo stampino”, questo è il pezzo che fa per te!!!

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