Flex Mentallo (1996): Quando ero giovane io…

DI PIETRO BERRUTO

A volte mi capita, quando navigo su Internet, di scovare un cartone animato della mia infanzia lontana e di indagare su di esso anche cercandone clip o episodi. Dopo aver trovato (o meno) quello che cercavo, arriva una breve reminiscenza nostalgica del mio passato e, alla fine di essa, probabilmente dopo qualche lacrimuccia, posso tornare alla mia vita di tutti i giorni, un po’ più triste di quella dei miei ricordi. La vita degli adulti è, in effetti, più grigia rispetto a quella in cui eravamo bambini spensierati, il cui problema più grande allora era colorare correttamente dentro ai bordi di un disegno. La nostalgia è comunemente categorizzata come un difetto, una debolezza dell’animo che non riesce a vivere nel presente e per tale ragione deve rifuggire codardamente in un passato che sembra più dolce, ma lo è solo nell’immaginazione del nostalgico. E ciò è vero, ma relativamente.

Grant Morrison scrive la miniserie Flex Mentallo nel 1996, spin-off su uno dei personaggi da lui introdotti nella sua run su Doom Patrol. Per quanto sia uno spin-off, non serve conoscere troppo della serie originale per capire questa mini: sappiate solo che Flex è un supereroe della Golden Age pensato da un ragazzino di nome Wallace Sage, il quale ha il superpotere di materializzare le proprie idee. Flex, perciò, ora vivo, vaga per il mondo intento a compiere imprese eroiche, quasi completamente nudo, con l’eccezione di un paio di mutande leopardate, nello stile dei forzuti dei circhi dei primi del Novecento. Flex ha un carattere semplice, ma buono: non è stupido, non è un genio, bensì una persona che ha solo il desiderio di fare del bene al mondo, anche grazie al suo superpotere, ovvero accedere al “mistero muscolare”, la bizzarra capacità di piegare la realtà nel processo di piegare i propri muscoli. Morrison decide di dedicare perciò alla sua creatura questa miniserie, che è disegnata da Frank Quitely, suo collaboratore storico.

La storia di Flex Mentallo segue due piani narrativi, quello di Flex, che cerca come un investigatore tracce di un suo amico scomparso, chiamato il Fatto, e quello di Wally Sage, che da bambino aveva creato Flex con i suoi superpoteri, ma ora, da adulto, è pronto a suicidarsi usando un cocktail di droghe e nel frattempo telefona ad un misterioso interlocutore, allo scopo di parlare con qualcuno prima di morire; Wally non racconterà direttamente la sua storia (che però sarà intuibile dal lettore durante la narrazione) bensì rimuginerà sul suo rapporto con i fumetti durante la sua crescita. Il mondo dei due è messo in pericolo da vaghe minacce di Apocalisse, che si presenterà sotto forma di una bomba annichilitrice. Inoltre, escludendo Flex, vi è una quasi totale assenza di supereroi nel senso stretto del termine, ma c’è una sovrabbondanza di avvistamenti e di visioni di essi, vissuti principalmente da personaggi ritenuti come pazzi dal resto della popolazione. La vicenda viene narrata facendo riferimento a fasi specifiche della vita dei personaggi, parallele fra loro: mentre Wally pensa alla sua infanzia, preadolescenza e adolescenza, Flex riflette sulla Golden, la Silver e la Dark Age. Con il passare del tempo la trama si fa sempre più cupa per entrambi i protagonisti: la bomba, inizialmente sferica, come quelle dei cartoni animati, si evolve in un fantascientifico ordigno al cobalto ed infine in una bomba atomica. Lo stesso Wally si ricorda quando la sua cupa e pessimistica concezione del mondo gli sia venuta in mente ai tempi dell’adolescenza, contemporaneamente al risveglio della sua sessualità e alla sua presa di coscienza politica. La stessa cosa si applica agli scrittori di fumetti, incupitisi nella scrittura intorno agli anni ’80. Wally è inoltre tormentato da un misterioso ricordo di quando era piccolo, ossia l’essere stato portato in un castello con altri bambini da un ignoto individuo. Il viaggio prosegue sublimando il passato dopo avere preso coscienza di esso e proietta, nel quarto numero, la storia verso un futuro speranzoso. 

(Frank Quitely & Grant Morrison)

Il fumetto sembra almeno apparentemente mettere in opposizione realtà e finzione, il mondo degli umani che leggono i fumetti e quello dei supereroi all’interno dei fumetti. È, il primo, un universo deprimente, rappresentato da un tossicodipendente morente che sogna di un periodo migliore. L’universo di Flex Mentallo è però identico a quello di Wallace Sage: un luogo deprimente e oscuro dove anche i supereroi vivono una vita misera, come per esempio una parodia di Billy Batson/Shazam che pulisce i corridoi di una scuola abbandonata e che si vuole liberare della parola maledetta che lo fa trasformare. I due mondi ci vengono descritti in puro stile Morrison, in maniera lievemente complessa e criptica, non facendoci veramente capire quando ci si trovi da una parte o dall’altra, ma in realtà, proseguendo nell’intreccio, ci si accorge che i due universi sono lo stesso e che in effetti i supereroi sono reali, ma sono pochi e molto poco eroici, essendo la maggior parte di loro inesistenti o scomparsi nel nulla, come il Fatto o la Legione delle Legioni. Il tema dello sfondamento della quarta parete (diegetica o extradiegetica), per quanto verrà ripreso numerose volte all’interno della carriera di Morrison, come in Multiversity (in cui il numero Pax Americana è sempre disegnato da Quitely), qui raggiunge nel suo articolato svolgimento la sua più pura esemplificazione: l’uomo e l’arte sono irrimediabilmente interconnessi, nel male, ma, soprattutto, nel bene, e nessun filone lo è più di quello supereroistico, che da ottant’anni accompagna i bambini nella loro crescita. Morrison e Quitely però esprimono in questa mini un forte senso di nostalgia verso un tempo infantile, più sereno e fantastico rappresentato dall’ingenua Golden Age e dalla fantastica Silver Age. Al contrario della nostalgia più comune, quotidiana, i ricordi dei due autori fanno davvero riferimento ad un periodo diverso artisticamente e tematicamente: la loro tesi è che con il superamento degli ideali fantastici del mondo immaginario, tentando di raggiungere un ideale di realismo, si abbia rovinato il concetto originale di supereroe, luminoso e ottimista, per renderlo una derelitta parodia gonfiata da temi “maturi”; non c’è da stupirsi che lo stesso Flex Mentallo sia una parodia del supereroe “forzuto” della Golden Age, come Superman e Capitan Marvel (oggi noto come Shazam o come, semplicemente, “Il Capitano”). La loro tesi è di natura reazionaria: si possono facilmente riconoscere all’interno della storia “frecciatine” ad autori contemporanei a Morrison, come Frank Miller, Rick Veitch e soprattutto Alan Moore, che già in passato Morrison aveva criticato per la scrittura di Watchmen. Per Morrison questi temi non sono altro che adolescenziali, nati da tempi bui e da menti buie, incapaci ormai di usare l’immaginazione per divertire. E Morrison non risparmia nemmeno sé stesso da questa critica, riconoscendo i “temi maturi” anche nelle sue stesse opere, passate e future: tra questi risulta, per esempio, il tema del terrore delle bombe atomiche (ritrovabile in serie come New X-Men, sempre del duo Morrison-Quitely), ispirato in lui dal proprio padre, attivista contro l’energia atomica. Flex Mentallo, però, non è solo reazionario, ma anche rivoluzionario, perché per quanto critichi molto questo tipo di fumetto realistico, che parla di sesso, malattia e dolore unicamente allo scopo di ostentare millantata sicurezza, non smentisce l’importanza del fumetto che sappia parlare della parte migliore dell’essere umano, che è comune sia all’adulto che al bambino, rimanendo sempre nel campo del realismo, nel suo senso più ottimista. Il piano del duo di artisti britannici però supera anche questo concetto.

Al costo di rivelare un’eccessiva quantità di informazioni sulla storia, dirò ora che Wally alla fine dell’opera scopre che l’ignoto individuo che lo aveva contattato da bambino è in realtà uno dei supereroi della sua infanzia, Lord Limbo, che gli rivela che per salvarsi da una minaccia nota come “l’Assoluto”, si sono dovuti far trasportare in un mondo delle idee di platonica ispirazione, in attesa che persone, come lo stesso Wally, potessero pensarli e riportarli nel mondo reale. È quando Wally capisce questa cosa che comprende che la sua vita non è cupa come immaginava, che non è davvero andato in overdose, che può ancora amare ed essere amato, che non si deve arrendere mai e che la pioggia finisce ad un certo punto, lasciando spazio ad un’alba luminosa. Flex Mentallo vuole dirci che, anche se siamo tutti adulti e dobbiamo pagare le tasse, fare la spesa e riempire di benzina il serbatoio della macchina, la vita può non essere triste e ciò lo dobbiamo anche all’arte, per quanto “infantile” o leggera che sia. 

Non dobbiamo vergognarci perciò di quello che ci piaceva da piccoli e che ci piace ancora adesso: in un modo o nell’altro, la nostra infanzia, oltre alla nostalgia, ha un valore forte nelle nostre vite, perché plasma le persone che siamo adesso. 

Per questo a Grant Morrison piace pensare alle avventure di Jimmy Olsen, nelle quali per qualche bizzarra ragione si trasforma in un essere superumano diverso in ogni numero, e per questo a me ogni tanto piace pensare a quanto gioiosamente scemi fossero La Compagnia dei Celestini o Hamtaro e non me ne vergogno, perché per quanto la mia vita da adulto possa alle volte essere insoddisfacente, non vuol dire che io debba rendere tutta la mia vita insoddisfacente per alcuni momenti di tristezza. Grant Morrison e Frank Quitely hanno creato un manifesto per i sognatori e per gli artisti che lavorano in ambiti che, bistrattati perché troppo infantili, non sono felici di dover introdurre temi crassi all’interno delle loro storie. Flex Mentallo è stato scritto nel 1996 e sono passati quasi trent’anni da allora e le cose si sono evolute in modo peculiare per l’industria: dopo gli anni ’90 arrivarono gli “eXtremi” anni 2000, con i loro universi Ultimate, riempiti di sangue e sofferenza, e poi gli anni ’10, confusi e strani, come nel New 52, nell’ascesa degli Inumani e nella costretta “sinergia” con i film in uscita nelle sale. Infine, quasi a metà degli anni ’20 possiamo vedere, anche solo parzialmente, realizzato il sogno di Morrison: storie come l’Età Krakoana degli X-Men o il Dawn of DC non sono altro che il grande ritorno della speranza nei cuori degli scrittori, dei lettori e dei personaggi. Queste storie sono state pensate per i ragazzi e, per quanto grandi fumetti siano stati scritti con ambientazioni “adulte”, è bene che anche i ragazzi del futuro abbiano delle belle storie a cui pensare con nostalgia quando saranno grandi come noi. E magari questi bambini, quando saranno loro a scrivere, potranno portarci in nuovi mondi, ancora sconosciuti, ma pieni di luce.

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