DI ELODIE VUILLERMIN
“Il futuro non è scritto, il futuro dipende da tutti noi.”
Anche una regione piccola e circondata dai monti, con una sola grande città, come lo è la mia Valle D’Aosta, ha i suoi tesori. E la Saison Culturelle di quest’anno ne ha dato una dimostrazione. Il 24 novembre, il Teatro Splendor di Aosta ha ospitato We Will Rock You, il musical scritto da Ben Elton insieme a Roger Taylor e Brian May, nella versione di Claudio Trotta per Barley Arts.
La storia si svolge in un futuro post-apocalittico, su un pianeta Terra (ormai chiamato Mall) devastato dalla crisi climatica e dove la Musica è morta. Ma una profezia, connessa ai Queen, potrebbe riportare in vita l’Arte perduta.
Il nucleo dell’opera è la Musica, quella dei Queen soprattutto, perciò non mancano le citazioni al mondo musicale, sparse ovunque (nei discorsi dei personaggi così come nelle loro identità) e sempre azzeccate per il contesto in cui sono usate. I brani sono coinvolgenti, ti risuonano nel petto e fanno venire voglia di scatenarsi anche da seduto. Brani che, oltretutto, non erano registrati, ma suonati dal vivo, grazie all’operato di sei bravi musicisti, i quali si mostrano al pubblico solo verso l’ultimo atto. Gli attori coinvolgono molto il pubblico e chiedono la sua partecipazione, come quando parte We will rock you e tutti battono il tempo con le mani e i piedi, o nella scena in cui i Bohemians commemorano star della musica che hanno lasciato questo mondo troppo presto.

Eccezionali la scenografia e gli effetti luminosi, che mi hanno permesso di calarmi nell’ambientazione. Le impalcature metalliche, dai colori freddi e spenti, ricalcano molto la sensazione oppressiva della dittatura di Killer Queen e riproducono un centro commerciale, come negli intenti di Claudio Trotta. Ma appena qualcuno si mette a cantare, ecco che luci di vario colore illuminano la scena, come a restituire vita a un pianeta prossimo alla morte: abbiamo quelle bluastre che accompagnano duetti romantici, fari che simulano quelli di elicotteri, luci verdi per emulare gabbie laser e rosso sangue mentre la perfida regina lobotomizza i prigionieri.
Ottima anche l’alternanza di registri. Ci sono scene in cui ti sganasci dalle risate, come quando Galileo comincia a citare frasi di canzoni senza rendersene conto e si fa prendere in giro da Scaramouche che lo accusa di essere pazzo, oppure quando il leader dei Bohemians, muscoloso e con l’aria da duro, afferma con convinzione di aver preso il suo nome da Britney Spears, “il più duro dei rocker mai esistito”. C’è poi la tenerezza dovuta alle interazioni tra i Bohemians, che si considerano tutti fratelli, o alle storie d’amore (già presenti o sul punto di nascere). Al contrario ci sono momenti di ansia per la situazione oppressiva e dittatoriale che governa il pianeta Mall, in aggiunta alla tristezza quando muore qualcuno (ebbene sì, succede).
Gli attori sono stati bravissimi, ognuno ben calato nel proprio ruolo. Galileo è un autentico uomo dei sogni, nel senso di protettore e custode (a sua insaputa) dei sogni e delle speranze dell’umanità ribelle. Un sognatore a occhi aperti, un vero Mercuziano, che parla con la voce dell’Arte Musicale. Damiano Borgi ci ha restituito la sua voglia di cambiare mista a frustrazione quando gli escono versi di canzoni nel bel mezzo di ogni discorso, come se fosse posseduto. Alice Grasso ha saputo dare corpo e anima alla bella ma tosta Scaramouche, ha fatto emergere chiaramente la sua amarezza di non essere capita dagli altri coetanei, il suo sarcasmo, la voglia di essere sé stessa e ritagliarsi un posto nel mondo. Stellare la sintonia tra Brit e Oz, riprodotta molto bene da Mattia Braghero e Alessandra Ferrari. Si vede la profondità del loro amore, la grande speranza di Brit che la profezia si avveri davvero, la paura di Oz di perdere il suo compagno.
Natascia Fonzetti ha saputo dare spessore alla figura antagonista di Killer Queen. I suoi sbalzi di umore da ragazzina viziata ad adulta crudele e dispotica sono qualcosa di incredibile. Impersona alla grande una donna che sembra folle ma in realtà è più scaltra di quello che appare. Killer Queen, infatti, sa ponderare bene le sue azioni e accompagna la sua crudeltà e i suoi deliri di onnipotenza con gesti eleganti. Sbraita nei momenti meno aspettati, ma sempre con classe, come una vera regina. Alla fine, in un certo senso, la adori. Così come il comandante Khashoggi (Paolo Barillari), completamente asservito alla sua padrona, uomo insignificante agli occhi dei più (tanto che lo chiamano “topo” per via del suo completo grigio), eppure astuto e capace di infondere terrore quando serve. Infine abbiamo Pop (Massimiliano Colonna), uomo un po’ folle e visionario, ma al tempo stesso geniale.

È facile trovare qualcuno in cui immedesimarsi. Io, per esempio, sono stata molto vicina a Galileo e Scaramouche, soprattutto quest’ultima: i suoi pensieri diversi dalla massa, il suo essere una ragazza un po’ speciale, la sua vita in mezzo a coetanei cretini e arretrati che non la capiscono e anzi la sminuiscono… tutto questo è stato la storia della mia vita, della sua parte più sofferta.
La recitazione è incredibile. Riprodotte benissimo le risate da pazzo, le grida di frustrazione, il senso di impotenza, il tono di un professore che da giocoso e ingenuo diventa glaciale e spietato. La modulazione della voce, le espressioni, le movenze: tutto è nella giusta misura, nulla è mai fuori posto. Reso bene anche il comportamento dei Gaga Boys e Girls, con risatine stupide e infantili e la fissa per i trend e la popolarità, comportamento che ricalca quello di tanti adolescenti moderni. Ottima interpretazione nelle parti cantate (soprattutto la voce di Killer Queen, molto sui toni del blues). Gran lavoro anche a livello di coreografie danzanti.

Si critica (in maniera piuttosto esplicita) la società odierna, basata sul consumismo, il controllo, l’individualità sacrificate in favore del bene comune che a conti fatti è tutto tranne che bene (in pieno stile Aldous Huxley). Una società dove siamo schiavi dei social, alla ricerca della popolarità effimera, dove sei qualcuno solo in base ai tuoi follower o agli hashtag che posti. Addio alla bellezza, sì al guadagno facile e alle visualizzazioni. Si rincorrono il denaro e quei cinque minuti di celebrità. Si sacrificano l’Arte, la Cultura e la Bellezza: un crimine che noi Mercuziani difficilmente avremmo tollerato, fossimo stati in quella situazione. La perfezione per Killer Queen sta nel controllo, nel condizionamento mentale, nella soppressione del libero arbitrio, nell’uniformare i pensieri e le azioni di tutti a un’unica volontà (la sua).
Ecco che il musical non è più una semplice storia di eletti e di profezie. È una storia di speranza, di resistenza al conformismo, di spiriti che mantengono la loro unicità, di sognatori che parlano con i versi della Musica Vera. È uno scontro di creatività contro materialismo, di Vera Arte contro canzoni commerciali: non a caso il pianeta Terra è chiamato Mall (cioè centro commerciale).
La creatività è l’unica speranza. La Musica, quella Vera, quella delle leggende del rock, quella dei grandi cantautori del passato, è ciò che separa l’uomo dall’automa. L’Arte non la fa un algoritmo, la fa una mente umana.
Non c’è Vera Arte senza libertà di espressione. Una società dove solo una persona si arroga il diritto di decidere ciò che è giusto, ignorando la volontà altrui, porterà tutti alla morte e distruggerà la nobile Musica, la libertà di espressione e pensiero, la libertà di amare, ballare, cantare: insomma, tutto ciò che i Bohemians incarnano. Nessuna musica può essere definita tale se commerciale. La Vera Arte nasce dall’amore. Va coltivata e rispettata, non controllata. I Bohemians lo sanno. Ecco perché non dimenticano Freddie Mercury, Ozzy Osbourne e compagnia bella. Loro mantengono in vita il passato, non cedono all’oblio. Continuano a suonare, anche con quel poco che trovano. Si considerano fratelli, addirittura si amano.
Volendo azzardare un paragone, dico questo: i Bohemians sono come i Mercuziani. Difendono la Vera Musica, quella nata dal sentimento, quella che un programma digitale non potrà mai replicare. Con loro puoi divertirti con poco, anche suonando una rudimentale chitarra ricavata da materiali di scarto. Puoi perfino essere donna e chiamarti Renato Zero, e a loro andrà benissimo. Killer Queen è la burattinaia e tutti sono controllati dai suoi fili. Ma i Bohemians no. Non si fanno manovrare. Camminano liberi, indipendenti, come uomini. E lottano perché chiunque altro possa fare lo stesso.
Non mi capita quasi mai di andare a teatro, ma quella sera ci sono andata più che volentieri, e non mi sono pentita affatto. We Will Rock You ha saputo trasmettermi forti emozioni, che solo chi è stato lì quel giorno potrà capire appieno. Ha saputo dare il giusto omaggio ai Queen, a 32 anni dalla scomparsa di Freddie Mercury.
Descrivere a parole il tutto si può fare, e l’ho fatto, ma non basta. Bisogna esserci.
Perché la Musica non è questione di semplice ascolto. Si fa. Si vive.


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