DI EDOARDO VALENTE
“C’è un quadro di Klee che si intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. […]”
Il 1920 fu un anno di svolta per il pittore tedesco Paul Klee: non solo perché ha tenuto la prima mostra interamente dedicata alle sue opere, ma anche perché è stato chiamato da Walter Gropius per entrare a far parte del Bauhaus come insegnante di pittura.
Tra i numerosi dipinti presenti in quella mostra così importante appariva anche l’Angelus Novus, uno tra i tanti suoi quadri raffiguranti creature angeliche, che si rifanno ad una visione metafisica della realtà, e che solo attraverso questa visione possono essere compresi.
Quella di Klee, infatti, è una visione della pittura molto particolare. Egli non desiderava ritrarre la realtà, ma la propria immaginazione. Non solo ciò che era in grado di pensare, ma anche lo stato fisico ed emotivo che quei pensieri gli inducevano.
È stata questa sua concezione dell’arte a renderlo uno dei principali esponenti dell’astrattismo: movimento artistico appartenente alle avanguardie, che aveva come obiettivo proprio quello di creare opere che non dipendessero direttamente dalla realtà osservabile.
Ma questo sguardo interiore, rivolto a ciò che non è concreto, indagatore dell’immaginario, è uno sguardo opposto rispetto a quello dell’Angelus Novus. In particolare, all’interpretazione di sguardo che viene offerta dal filosofo Walter Benjamin.
Benjamin acquistò il dipinto di Klee un anno dopo la sua realizzazione, per una cifra che oggi ci sembrerebbe ridicolmente irrisoria.
E il fascino che questo acquerello ha suscitato in lui ha fatto sì che ne traesse un’immagine unica e suggestiva.
Passano degli anni, e in Germania – dove si trovano sia Klee che Benjamin – il nazismo si è ormai imposto. Questa nuova condizione avrà, come si può immaginare, terribili ripercussioni sulla carriera e sulla vita dei due. Non solo perché uno era un artista e l’altro un intellettuale, ma anche perché Benjamin era ebreo, e Klee era considerato erroneamente tale, giusto per avere una scusa in più per perseguitarlo.
“[…] Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. […]”
Il 1933 è l’anno della svolta, ma questa volta in negativo.
Benjamin sa che, in quanto ebreo, non è più ben accetto in Germania, e così scappa a Parigi, città che sarà al centro di numerose sue riflessioni, e nella quale riuscirà per qualche anno a trovare accoglienza.
Klee, il quale aveva lasciato il Bauhaus per diventare insegnante a Düsseldorf, è costretto alle dimissioni, e le sue opere finiranno in quel grandissimo e insensato calderone che i nazisti hanno chiamato “arte degenerata”. È così costretto ad abbandonare la Germania, in favore della Svizzera.
Qui avrà modo di continuare a dipingere liberamente e a fare incontri con personalità di spicco quali Kandinskij, Picasso, Braque e Kirchner. Questo nonostante i primi sintomi di una malattia che lo porta ad una invalidità sempre maggiore, conducendolo, nel giugno del 1940, alla morte.
Tre mesi dopo muore anche Walter Benjamin.
Nell’ultimo anno di vita, però, si era dedicato alla stesura di quelle che sarebbero diventate note come le Tesi di filosofia della storia, nelle quali delinea le sue idee sul materialismo storico, procedendo tra citazioni letterarie e filosofiche e immagini suggestive. Una di queste è presente nella nona tesi, che si incentra proprio sulla sua peculiare interpretazione del dipinto Angelus Novus di Klee.
Tramite le sue parole, esso assumerà il volto dell’Angelo della storia.
La sua fuga dal nazismo, però, è costretta a proseguire anche in Francia, dal momento in cui viene invasa dall’esercito tedesco. Scappa in Spagna, da dove si sarebbe dovuto imbarcare per raggiungere gli Stati Uniti, dove già aveva trovato rifugio l’amico filosofo Theodor Adorno.
Ma il suo percorso si sarebbe fermato molto prima. Superato da poco il confine spagnolo, Benjamin teme di essere catturato dalla polizia e rispedito nella Francia ormai occupata dai nazisti. In preda alla disperazione si suicida.
Terminano così le vite di due uomini di cultura, legati da un acquerello raffigurante un angelo inerme di fronte alla catastrofe della storia.
Ed entrambi – l’angelo e l’acquerello, intendo – sopravviveranno ad entrambi – il pittore e il filosofo, intendo –.
L’Angelus Novus, che era stato abbandonato da Benjamin durante la fuga, viene recuperato dallo scrittore e critico letterario Georges Bataille, il quale lo spedisce a New York, da Adorno.
Cerco di immaginare che faccia deve aver fatto quest’ultimo: aspettava l’arrivo di Walter Benjamin, e al suo posto, oltre alla notizia della sua morte, arriva un dipinto di Paul Klee, con quell’angelo dalla bocca aperta e gli occhi spalancati.
Ecco, probabilmente deve essere stata questa l’espressione di Adorno, che con l’angelo condivide anche la condizione esistenziale.
“[…] Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo progresso, è questa tempesta.”
La visione metafisica e astratta di Klee, che gli ha permesso di immaginare e dipingere quell’angelo, ha suscitato in Benjamin una sensazione estremamente concreta, in accordo con il suo materialismo storico. Egli si identifica nell’Angelo della storia, in quanto vede il passato come quell’unica “catastrofe che accumula rovine su rovine”, in virtù della concezione marxista del materialismo dialettico.
La storia non va vista come una “catena di eventi”, ma va compresa nella sua interezza, attraverso il tempo attuale, o Jetztzeit, come lo chiama Benjamin.
È in questo tempo attuale nel quale “sono sparse schegge di quello messianico” che possiamo vivere e comprendere il passato, verso il quale dobbiamo attuare una redenzione.
Abbiamo un debito con il passato, è a lui che dobbiamo ogni nostro attimo di felicità. Ogni gioia della nostra vita dipende dalla catastrofe che ci ha preceduti, che osserviamo inermi, mentre una tempesta ci attira al paradiso, al quale volgiamo le spalle.
Ecco, è in questa ignoranza del futuro, in questo presente colmo di attimi messianici, che sta la redenzione da attuare nei confronti del passato. Dobbiamo assicurarci di donare un futuro migliore, per essere all’altezza del presente che ci è stato concesso e del passato che si è sacrificato per noi.
Se ami l’Arte e pure la Filosofia, allora pigia qui!!!
Se non sai che scegliere, scegli di leggere un articolo che scelga di parlare di scelte!!!