DI ALBERTO GROMETTO
Se c’è un film di cui si è parlato tantissimo prima della sua uscita e poi, una volta arrivato… boh, basta, più niente, scomparso in una nuvola di fumo… quello è senz’altro «MAESTRO».
Presentato al Festival di Venezia 2023, prima che sbarcasse al Lido era sembrato a tutti qualcosa di bellissimo fin dal primo secondo del trailer, financo dal primo pixel della copertina promozionale: l’eccitazione e l’entusiasmo erano alle stelle, si vociferava avrebbe sconvolto pubblico e critica, si annusava odore di Oscar da più di un miglio!
E poi, invece? Silenzio totale. Sì, è candidato a sette premi Oscar. E si tratta pure di sette nomination pesanti tra film, attori, fotografia, sceneggiatura, sonoro… e ora sembra che rischi di rimanere completamente a bocca asciutta. Forse potrebbe aggiudicarsi il Miglior Trucco, dato il lavoro straordinario che c’è stato dietro.
Ma la cosa veramente amara è che… nessuno ne parla! Sapete, anche «BARBIE» è una pellicola che rimarrà quasi del tutto a bocca asciutta (sembra vincerà solo Miglior Canzone, e che a portarsi a casa la statuetta saranno dunque Billie Eilish e il fratello Finneas O’Connell), però se n’è parlato e se ne sta parlando tantissimo! Di «Maestro» invece nulla.
Il punto è capire il perché.

E in effetti, ora che ci rifletto bene: come mai ho aspettato tanto prima di poter scrivere un pezzo al riguardo? Io ho avuto la fortuna e il privilegio di vedermelo in sala LUNEDÌ 11 DICEMBRE 2023 col mio carissimo amico e preziosissimo compagno d’arme mercuziano Antonio Maria Pirozzi, altrimenti detto “l’Impareggiabile”. Sono passati due mesi e mezzo da allora, e sto scrivendo questo pezzo perché ci tengo che MERCUZIO AND FRIENDS parli di tutti i film candidati al Premio Oscar. Perché non ne ho voluto parlare indipendentemente dagli Oscar? Perché, come successe invece ad esempio nel caso di «ANATOMIA DI UNA CADUTA», non ho voluto scriverci immediatamente un pezzo, ben prima che si sapesse se sarebbe stato candidato e per quali Oscar? Perché?
Appena si pensa a «Maestro», vengono in mente un nome e un cognome: BRADLEY COOPER. Quando invece questo dovrebbe essere il film su LEONARD BERNSTEIN, tra i più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi. Eppure si pensa immediatamente al buon vecchio Bradley. Che sia questo il problema?

Che il signor Cooper desideri da matti un Oscar è scontato. Ci si è avvicinato tantissime volte, senza però ottenerlo. E sì, si capisce che questo film… di/con/per Bradley… è stato fatto con quello scopo, portarsi a casa la statuetta. Questo è chiaro, evidente, lapalissiano. Tutto quanto reca la sua firma, del resto. Cooper lo ha scritto, Cooper lo ha diretto, Cooper lo ha interpretato e sempre Cooper lo ha prodotto.
L’idea, il soggetto e la sceneggiatura originale sono suoi e di JOSH SINGER. Tra i produttori, accanto allo stesso Cooper, figurano un paio di nomi che forse avrete sentito: STEVEN SPIELBERG e MARTIN SCORSESE. Insomma: aveva il vento in poppa dalla sua, possedeva tutte quelle caratteristiche per essere una pellicola “da Oscar”, destinata all’Oscar, fatta per gli Oscar. E forse è stato questo ciò che l’ha frenata, chissà. Il suo essere troppo da Oscar l’ha esclusa dagli Oscar già in partenza, al netto delle candidature che si è portata a casa.

Però qual è il fatto? Il fatto è che è un bellissimo film. Una pellicola biografica che non sarà certamente qualcosa di rivoluzionario, ma a livello di messinscena, regia, interpretazioni attoriali costituisce una “ROBA PAZZESCA” a mio modo di vedere! Stiamo parlando di 129 minuti che neanche senti, che ti tengono incollato, che volano.
Ma allora perché, mi chiedo io, tra tutte le pellicole candidate all’Oscar come Miglior Film questo è stato decisamente il film più snobbato, quello dimenticato, il titolo che “nessuno si caga”? Perché hanno improvvisamente smesso di parlare di un’opera che, stando alle premesse, avrebbe dovuto essere quantomeno sulla carta una meraviglia Acchiappa-Oscar e che invece probabilmente non si porterà a casa neanche mezzo premio? Perché io stesso non mi sono subito gettato a capofitto nella scrittura di un articolo al riguardo?
Perché è un film che presenta una struttura decisamente particolare. Talmente tanto particolare da risultare spiazzante, senza però che tu riesca a darti esattamente una spiegazione. Ma ora ci proviamo.

Trattasi di un biopic che gioca col Bianco-e-Nero da una parte e i Colori dall’altra solo in apparenza per raccontarti del cambio di un’epoca storica, ma in realtà per farti vivere e sperimentare innanzitutto il momento in cui la coppia al centro del film è all’apice della sua intesa e della sua felicità, e poi dopo quando tutto nel loro rapporto sembra crollare. Chi è quella coppia? Lo stesso Bernstein e sua moglie, l’attrice FELICIA MONTALEGRE. E il loro periodo gioioso si ricollega, contro-intuitivamente, al Bianco-e-Nero.
Il Bianco-e-Nero è il Passato, un periodo che vive nei tuoi ricordi e da nessun’altra parte, qualcosa a cui guardare con nostalgia. Mentre il Presente, con i suoi colori sgargianti, è quello che abbiamo adesso e che dunque ci delude, non ci basta, perché noi vogliamo e aspiriamo sempre a qualcos’altro. A qualcosa che non abbiamo. Qualcosa che speriamo un giorno di avere, che si trova nel Futuro e che dunque si traduce in Attesa. Oppure, appunto, qualcosa che è Passato, che avevamo e che, sul momento, non c’eravamo resi conto di avere, e che adesso è Memoria e nulla più.
Cosa ne esce dunque? Un film che delude, ma solo perché racconta a meraviglia cosa sia la delusione. Un film che la gente non ha apprezzato. Perché «Maestro» non è stato il film che ci si aspettava, questa è la verità. Nel momento in cui esce un biopic, che sia su un personaggio pop e famoso che tutti amano (tipo, che ne so, il film di Baz Luhrmann su Elvis Presley o “Bohemiam Rhapsody” sui Queen) ma anche su qualcuno che non esercita così tanta attrattiva (vedi «Oppenheimer» che si è rivelato un successo pazzesco in termini di incassi e spettatori, anche se il fisico Robert J. non era chissà quanto illustre), tutti quanti si aspettano di conoscere il perché quella persona si è meritata addirittura un biopic. Soprattutto poi se si tratta di un artista, come il direttore d’orchestra Bernstein che è stato rivoluzionario nel suo campo, la gente va in sala per vedere il motivo della sua fama.

Ma questo non è un film su Leonard Bernstein, il direttore d’orchestra. Questo è un film su Leonard Bernstein e sua moglie, su loro in quanto coppia sposata, e che potevano essere una coppia qualsiasi. E così il film scorre e sullo schermo vediamo passare anni, generazioni, epoche. E lui viene osannato e celebrato, ce lo dicono… ma noi non ne vediamo mai il perché. Il vero focus d’attenzione è su di Lui e su di Lei in quanto marito e moglie, non su di Lui in quanto Bernstein. Ci ritroviamo a vivere principalmente l’intimo e il privato di questa coppia. E non a caso il finale è tutto rivolto verso la moglie, che è del resto anche stato ciò di cui si è parlato nel primo secondo del film, quello che ha dato il “La” a tutto (“La” come la nota musicale, che bella battuta!).
Tutto questo è vero? Sì, che lo è, verissimo! Ma secondo me è proprio il motivo per cui questo film è interessante. Perché sì, è vero, si sta parlando di un grande artista, che sarà ancora più conosciuto grazie a questo film qua, ma quel che davvero è intrigante e affascinante è vedere quanto il suo carattere influenzi la sua vita e come per questa ragione sia impossibile non raccontare del suo privato, della sua relazione con la moglie e di come continuamente quel potentissimo legame si demolisca e poi si ricompatti e di nuovo si spezzi per poi venire ricostruito, a dispetto della vita e del suo lato più distruttivo e travolgente.
È uno scontro continuo, un saliscendi, una montagna russa in cui Felicia e Leonard si amano, poi si odiano e poi di nuovo ci riprovano, ma la Vita arriva e bussa alla porta. E vi sono troppe cose che si mettono in mezzo, perché la tristissima verità alla quale bisogna arrendersi è che l’Amore non basta a tenere in piedi una relazione, ma serve anche qualcosa che ha a che fare con la praticità della vita, con la sua funzionalità, è pure una questione di tempistiche. E alla fine, comunque sia, emerge il talento, la bravura e il carisma di Lui. Perché Lei ad un certo punto si convince che i loro problemi dipendano anche dal lavoro del marito. Che poi: sarà così bravo? Tutti dicono di sì ma, si sa, la gente spesso si sbaglia e tu sei bravo solo perché te lo dicono e non perché lo sei davvero. Poi però arriva quella scena in cui Lui dirige e Lei lo guarda emozionata e allora glielo dice che è straordinario. E Noi? A quel punto anche Noi capiamo e comprendiamo. E questo perché il film ha costruito e raccontato la fama di Bernstein attraverso la percezione dell’amore che la moglie prova per Lui, prima passando da quel sentimento e solo dopo mostrandocelo “all’opera” (perdonate quest’altra battuta, non ho saputo resistere).

A livello tecnico è esaltante, qualcosa di straordinario, come se una piccola pellicola intima che ti racconta di un matrimonio in crisi continua si fosse incontrata con un musical allegro e pomposo di quelli sontuosi e frenetici e vivacissimi. L’inizio ricorda proprio uno di quei musical, soprattutto rammento il pezzo in cui Lei e Lui sono a teatro e ballano, e non a caso quella parte che ricorda il musical dei tempi che furono e che è in Bianco-e-Nero costituisce il meglio del meglio per la loro coppia. E poi c’è quel piano-sequenza di una potenza fenomenale in cui lo vediamo per la prima e unica volta dirigere un’orchestra, quando anche la moglie nell’assistere si emoziona, una scena soavemente bella che però giunge quando oramai il film è quasi finito. E forse questo ha portato il pubblico a dire che avrebbe voluto vedere questa cosa lungo tutta la pellicola e non solo per un momento, quando oramai i titoli di coda sono quasi dietro l’angolo. Del resto fino a quel momento, per quanto concerne la sua vita professionale, ce lo avevano mostrato solo uscire dal palco ad esibizione conclusa o nel mentre che rilasciava interviste. E mai durante la performance. Perché?
Perché non poteva che accadere verso la fine. Perché non poteva che succedere dopo aver sperimentato il continuo ciclo di creazione e distruzione della relazione tra Lei e Lui. Perché noi dovevamo accorgerci di quant’era bravo solo nel momento in cui sarebbe servito, e cioè insieme a Lei in quella scena, quando la loro relazione vicino al suo termine ancora una volta invece miracolosamente si sarebbe rinsaldata.
Il saliscendi emotivo della coppia ha determinato il saliscendi narrativo del film. Ho parlato con numerosi ferventi cinefili a proposito di questa pellicola e tutti mi hanno detto la stessa cosa: Questo film ha una prima parte totalmente, completamente, assolutamente diversa dalla seconda. Dal Bianco-e-Nero iniziale del Passato si passa ai Colori sgargianti del Presente, e tutto quanto cambia e si rivoluziona. Il fatto è che il parere di quelli con cui ho parlato è nettamente discordante su quale parte sia migliore. C’è chi mi ha detto che la prima lo ha molto annoiato e che risultava superficiale e inconsistente, mentre invece quando il film prende colore cambia e diventa molto più profondo e intimo. E chi invece mi ha raccontato di aver trovato la prima parte bellissima mentre la seconda non all’altezza.


Chi ha ragione? Chi può dirlo!
Il fatto però su cui tutti concordano è che ci sia un disequilibrio in termini di ritmo, proprio in un film su un uomo che col ritmo ci lavora! Trattasi però di una sorta di disarmonia che, ai miei occhi, risulta la migliore possibile per come essa diventi specchio della disarmonia del Maestro al centro del film, personaggio che presenta due anime diverse, e dunque il film su di lui deve avere per forza due anime diverse. Ed è in questo disarmonico disequilibrio tra i pezzi della vita e dell’anima di un uomo, che per mestiere dovrebbe essere invece completamente padrone dell’armonia e dell’equilibrio, che si può rintracciare la vera equilibrata armonia di un’intera pellicola.
Se Bernstein, che pur aveva il controllo sulla sua orchestra, difetta di controllo nella vita privata, lo stesso non si può dire di Bradley Cooper: l’interpretazione che ci offre, pur essendo “orchestrata” (scusate per l’ennesima battuta, ma oggi sono un fuoco di creatività in tal senso!) con l’obbiettivo preciso di accaparrarsi l’Oscar, ha tanto cuore e tanta anima ed è la dimostrazione del pieno controllo che questo Maestro di Cinema ha sul personaggio che ha impersonato. In molti casi vi è bisogno di inquadrature e montaggio e fotografia per far arrivare al pubblico una certa emozione, ma qui basta invece la sola recitazione, attraverso la quale Cooper ti fa empatizzare come pochi. E a questo punto un applauso con tanto di inchino spetta ad un altro Maestro, e cioè a colei che interpreta la moglie, e che si rivela gigantesca e monumentale: CAREY MULLIGAN è tra le più straordinarie e stratosferiche interpreti del suo, così come di qualsiasi altro, tempo. E costituisce una delle ragioni imprescindibili per cui prendere visione di questo film.


Capite allora che tutto questo, recitazione e tecnica e fotografia e scrittura e montaggio e sentimenti, quando s’amalgama, si sposa e si fonde così perfettamente insieme, incastrandosi a meraviglia, non può che essere definito come la cosa più vicina possibile ad una forma di autentica armonia.
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Ti intrigano i biopic? Questo allora è decisamente l’articolo che fa per te!!!