DI ELODIE VUILLERMIN
Con Cenerentola inizia l’Epoca d’Argento della Disney, quella in cui lo zio Walt torna finalmente a fare film di successo, non paragonabili a quelli dell’Epoca d’Oro ma comunque destinati a rimanere nella memoria di tutti.
Se nello scorso capitolo vi siete divertiti (o inquietati) con Sleepy Hollow e storie di cavalieri con teste mozzate, sappiate che di arti tagliati, sangue ed elementi horror ne troverete anche qui. Ma andiamo con ordine.
Della storia di Cenerentola esistono tante versioni, si stima che ce ne siano 345 in tutto il mondo. In alcune è assente la figura della fata madrina, rimpiazzata da spiriti, animali o piante. In altre la scarpa è sostituita da un anello o un bracciale. Comunque sono mantenuti i punti chiave: la protagonista maltrattata, un aiutante magico o divino e un matrimonio con un principe. Ve ne citerò giusto qualcuna, perché altrimenti a elencarle tutte viene fuori una replica della Divina Commedia e non mi sembra il caso.
Secondo molti studiosi, l’archetipo letterario di Cenerentola più antico di tutti risale all’antico Egitto e vede come protagonista Rodopi, una bellissima schiava tracia. La fiaba venne citata per la prima volta da Erodoto, poi da Strabone e infine da Claudio Eliano.
Rodopi lavorava per un padrone egizio che era sempre gentile con lei, al contrario delle altre schiave che la maltrattavano perché era straniera, il tutto all’insaputa di lui. Una volta il padrone sorprese Rodopi a ballare da sola e, colpito da tanta bravura, le regalò un paio di pantofole di oro rosso, aumentando inconsapevolmente la gelosia delle altre schiave verso Rodopi.
Un giorno, il faraone Amasis (personaggio storico realmente vissuto tra il 570 e il 526 a.C.) invitò il popolo egizio a Menfi per una festa. Le altre schiave impedirono a Rodopi di partecipare assegnandole ogni sorta di faccenda domestica. Mentre la fanciulla era impegnata a fare il bucato, un falco (in realtà una personificazione del dio Horus) afferrò una delle pantofole, che Rodopi aveva steso ad asciugare, la portò fino a Menfi e la lasciò cadere in grembo al faraone. Interpretando il gesto come un segno divino, Amasis fece provare la pantofola a tutte le serve del regno; chi la calzerà sarà la sua sposa. Arrivato fino alla casa di Rodopi, lei provò a nascondersi, ma lui la pregò di provare a indossare la pantofola. Quando Rodopi riuscì a calzarla con successo, il faraone la prese in moglie.
In altre varianti della fiaba, Rodopi non era una schiava, bensì una cortigiana.

Esiste poi una versione cinese di Cenerentola: è la storia di Yeh Shen, raccontata da Tuan Ch’ing-Shih, risalente alla dinastia Tang (618-907 d.C.). La protagonista era bella, intelligente, capace di lavorare bene l’oro e il vasellame. Suo padre, dopo la morte della prima moglie, si risposò, salvo poi morire anch’egli poco dopo il secondo matrimonio. Così la matrigna cominciò a schiavizzare la fanciulla. Un giorno Yeh Shen trovò un pesce d’oro (reincarnazione della defunta madre) e lo portò a casa sua di nascosto, ma la matrigna lo scoprì e cucinò l’animale per poi mangiarselo. Disperata per l’accaduto, Yeh Shen fu avvicinata da un uomo dall’aspetto bizzarro, con abiti rozzi e capelli sciolti sulle spalle, che diceva di venire dal cielo; egli le consigliò di prendere la lisca del pesce, nasconderla nella sua stanza e rivolgerle una preghiera ogni volta le fosse capitato qualcosa. Yeh Shen obbedì e il metodo funzionò.
Un giorno venne organizzata una festa. La matrigna ordinò a Yeh Shen di restare a casa a lavorare, per impedirle di partecipare. Ma appena fu sola, la fanciulla pregò la lisca e questa le fece dono di un abito di seta verde e scarpette dorate, con cui giunse alla festa. Tuttavia, dopo qualche ballo, decise di scappare per timore di essere riconosciuta dalla famiglia e nella fretta perse una delle scarpette. Questa fu trovata da un uomo che la portò al re di un regno vicino che, affascinato dalla dimensione così ridotta del piede (avere i piedi piccoli è sinonimo di nobiltà nella cultura cinese), ordinò di cercare la proprietaria. Una volta trovata Yeh Shen e fattale provare la scarpetta, la portò con sé per sposarla, mentre matrigna e sorellastre furono uccise tramite lapidazione.

Anche i nativi americani hanno le loro versioni della fiaba di Cenerentola. Una di queste è The Rough-Face Girl, un racconto che ha origine nel folklore e nelle leggende della tribù degli Algonquin. Molto più tardi Charles G. Leland lo pubblicò all’interno di una raccolta di fiabe e racconti folkloristici, The Algonquin Legends of New England (1884). Anche Rafe Martin scrisse un libro su The Rough-Face Girl (1992), illustrato da David Shannon.
La storia narra di un grande guerriero, Vento Forte l’Invisibile (“The Invisible Being”), chiamato così per la sua capacità di scomparire alla vista degli altri e mescolarsi ai suoi nemici per carpire ogni loro segreto. L’unica che riusciva a vederlo era sua sorella, con la quale viveva in un villaggio nei pressi del lago Ontario, all’interno di una wigwam (ossia una tenda indiana) dipinta con immagini di sole, luna, stelle, piante, alberi e animali. Le sue grandi gesta affascinavano molto le fanciulle, al punto che tutte volevano sposarlo, ma la sorella asserì che solo chi l’avrebbe visto sarebbe stata degna di lui.
In quello stesso villaggio viveva un uomo povero con tre figlie. La minore era sempre maltrattata dalle maggiori, che la costringevano a stare sempre vicino al fuoco per alimentarlo, e a causa di ciò i suoi capelli erano rovinati dalla cenere, mentre mani, braccia e viso erano coperti di cicatrici e segni di bruciatura; per questo la sbeffeggiavano con il nomignolo di “Rough-Face Girl”.
Un giorno le due vipere andarono a chiedere al padre vestiti eleganti, mocassini di pelle e gioielli per portarli a Vento Forte e provare a sposarlo. Tuttavia, arrivate alla tenda del guerriero, vi trovarono solo la sorella, che chiese loro se fossero in grado di vedere suo fratello. Le due mentirono e dissero di sì. Al che la sorella chiese loro di cosa fossero fatti l’arco e la pista della slitta di Vento Forte. Loro risposero, rispettivamente, un albero di quercia e il ramo di un salice. Così la sorella capì che le due mentivano e le cacciò via.
L’indomani “Rough-Face Girl” fece un tentativo e chiese al padre se poteva avere le stesse cose che aveva dato alle sorelle il giorno prima, ma tutto quello che lui poté darle fu il suo stesso paio di vecchi mocassini e delle conchiglie rotte. La fanciulla ringraziò comunque il genitore e anche con poco riuscì a fare qualcosa di grandioso: usò le conchiglie per farsi una collana; ricavò un vestito dalla corteccia delle betulle; infine lavò i mocassini e li calzò con orgoglio anche se questi erano troppo grandi.
Anziché verso la tenda del guerriero, la ragazza andò in direzione del lago e riuscì a intravedere i contorni di Vento Forte nella terra e nel cielo intorno a sé. Proprio in riva al lago incontrò la sorella del guerriero, che le chiese se potesse vedere Vento Forte e le fece le stesse domande fatte ieri alle sorelle. “Rough-Face Girl” rispose che l’arco di Vento Forte era la curva dell’arcobaleno, mentre la pista della sua slitta era la Via Lattea che si estendeva in cielo. La sorella capì che la fanciulla diceva il vero, così la portò nella sua tenda, dove Vento Forte la accolse e la elogiò per la sua bellezza. La sorella del guerriero diede a “Rough-Face Girl” vestiti e gioielli preziosi, poi le fece fare un bagno nel lago che le guarì ogni ferita e cicatrice e la rese una donna nuova, bellissima. Dopodiché Vento Forte sposò “Rough-Face Girl” e punì le sue sorelle cattive trasformandole in pioppi che da quel giorno tremeranno sempre al vento.

La prima variante europea della fiaba è quella di Giambattista Basile, La gatta Cenerentola, pubblicata tra il 1634 e il 1636 all’interno de Lo Cunto de li Cunti. Qui Cenerentola si chiama Zezolla, è figlia di un principe e viene maltrattata dalla matrigna, però ha anche una confidente con cui si lamenta della sua condizione: la sua maestra sarta, Carmosina. Proprio quest’ultima le suggerisce di uccidere la matrigna e Zezolla non esita un istante a obbedirle: così fa cadere in testa alla matrigna il coperchio di una grande cassa, rompendole il collo; un forte contrasto con la personalità gentile e sottomessa della sua controparte disneyana. Purtroppo questo non cambia le cose, anzi. Dopo aver sposato il padre di Zezolla, Carmosina comincia a trattare la ragazza peggio di come faceva la prima matrigna, rivelando anche di avere già sei figlie, che finora aveva tenuto nascoste. In tutto questo il padre viene condizionato da Carmosina e finisce per ignorare e dimenticare Zezolla: così la nuova matrigna e le sei sorellastre proseguono indisturbate i loro maltrattamenti.
Ma un giorno Zezolla riceve proprio dal padre, di ritorno da un viaggio, una pianta di datteri, che come la lisca di pesce di Yeh Shen ha proprietà magiche: infatti, a furia di prendersi cura della pianta, Zezolla ne fa nascere una fata che le dona abiti principeschi per prendere parte a una festa organizzata dal re. Quest’ultimo perde la testa per lei appena la vede e la fa pedinare in varie occasioni. Sì, occasioni, al plurale. Perché Zezolla va a quella festa per tre sere di fila e solo la terza volta perde la scarpetta, in realtà uno zoccolo con zeppa. Grazie a esso il re trova Zezolla, le fa calzare la scarpetta e la sposa, mentre le sorellastre si rodono il fegato per l’invidia.
Poi c’è la fiaba raccontata dai fratelli Grimm, con la solita e simpatica dose di macabro, contenuta dentro le Le fiabe del focolare (1812). Per loro Cenerentola è orfana solo di madre, ma il padre ha la stessa utilità di un phon per Claudio Bisio, dato che non fa niente per impedire i maltrattamenti nei confronti della figlia. Comunque non è sola, ad aiutarla a svolgere i compiti più duri ci sono delle colombe e delle tortore.
Le sorellastre ne combinano di ogni alla poverina: le tolgono i bei vestiti e le fanno indossare un vecchio abito grigio, le buttano ceci e lenticchie nella cenere, la obbligano a dormire accanto al focolare e nella cenere anziché su un vero letto (ed ecco da dove viene il suo soprannome).
La matrigna è una figura molto presente e molto meschina, che si inventa ogni tipo di stratagemma per impedire a Cenerentola di andare alla festa. Versa un piatto di lenticchie nella cenere e le dice che potrà partecipare se in due ore riuscirà a raccoglierle tutte. Cenerentola ci riesce con l’aiuto degli uccelli, al che la matrigna le fa ripetere lo stesso compito. Ma siccome Cenerentola riesce ogni volta a portarlo a termine, alla fine si rimangia la parola e le dichiara chiaro e tondo che non verrà alla festa.
Non c’è una vera e propria fata madrina, ma una pianta di nocciolo che Cenerentola riceve in dono dal padre e pianta sulla tomba della madre (presente nella seconda edizione della storia). Quell’albero, man mano che viene annaffiato dalle lacrime della fanciulla, cresce e ogni giorno sui suoi rami si posa un uccellino bianco che esaudisce i desideri. È così che Cenerentola ottiene vestiti e scarpe eleganti per andare alla festa organizzata dal sovrano del luogo.
Come nella versione di Basile, anche qui Cenerentola partecipa tre volte alla festa e fugge altrettante volte, poiché il principe insiste per accompagnarla a casa. La prima sera riesce a filarsela e a nascondersi in una gabbia per uccelli, la seconda su di un pero. È solo la terza sera che perde la scarpetta (che è d’oro, non di cristallo), e se succede non è affatto un caso: il principe fa spalmare di pece le scale, così il piede di Cenerentola rimane incollato, obbligandola a sfilarsi la scarpetta per liberarsi.
Ma la differenza più grande con la versione disneyana riguarda la prova della scarpetta. E qui molti di voi sanno già dove andrò a parare, dato che di questa cosa se ne parla un po’ ovunque. Se nel film della Disney le sorelle avevano semplicemente il piede troppo grosso, nella fiaba dei Grimm si tagliano direttamente i piedi (una l’alluce, l’altra il calcagno) pur di calzare quella scarpetta, ma l’inganno viene scoperto quando le colombe fanno notare al principe la scarpetta insanguinata. Così Cenerentola, l’unica che è riuscita a calzare la scarpetta, sposa il principe e le colombe cavano gli occhi alle sorellastre, per punirle di essere venute in chiesa cercando di ingraziarsi Cenerentola.


In Norvegia gli scrittori, folcloristi e studiosi Peter Christen Asbjørnsen e Jørgen Moe scrissero Kari Trestakk (1841), più comunemente conosciuta in inglese come Katie Woodencloak. Qui Cenerentola è figlia di un re, ha una matrigna cattiva e una sola sorellastra anziché due. Il ruolo della fata madrina lo svolge un toro grigio con cui la giovane fa amicizia, il quale le fa dono di un panno magico nascosto nelle sue orecchie; agitandolo, la fanciulla riesce a ottenere tutto il cibo che desidera. Quando la perfida donna cerca di uccidere il toro, Cenerentola scappa con l’animale e insieme affrontano un troll.
Arrivati nei pressi di un castello, il toro dà alla fanciulla un mantello di legno e le dice di andare lì a chiedere lavoro, con il nome di Katie Woodencloak. Lei deve sopportare le angherie e le prese in giro del principe e di tutta la sua servitù. Tuttavia ha una roccia magica su cui contare, resa tale dalla pelle del toro, che si è fatto uccidere e scuoiare dalla giovane su sua specifica richiesta. Appellandosi alla roccia, Katie riesce ad avere un vestito elegante con cui partecipare alla messa e sembrare un’altra donna, talmente bella da incantare il principe e farlo innamorare di lei. Come in altre versioni già viste in precedenza, Katie incontra il principe in chiesa per ben tre volte, ognuna con un vestito diverso (di rame, d’argento, d’oro), e a ogni occasione perde un oggetto: la prima volta un guanto, la seconda una frusta e la terza una delle sue scarpette d’oro (a causa di una trappola di pece). Anche qui abbiamo il principe che chiede la prova della scarpetta a tutte le belle ragazze e, analogamente alla versione dei Grimm, la sorellastra di Katie si taglia parte del piede. Ma alla fine è la protagonista a sposare il principe.
Ma in definitiva a quale versione si è ispirata la Disney? A quella di Charles Perrault, del 1697, pubblicata nella raccolta I racconti di Mamma Oca. Si rifà alla storia di Basile, ma gli aspetti macabri sono stati eliminati: dopotutto fu scritta perché fosse adattata ad essere raccontata alla corte del Re di Francia.
Troviamo un’effettiva fata che aiuta la protagonista ad andare al ballo. Troviamo gli elementi più iconici della fiaba così come la conosciamo al giorno d’oggi, come la zucca trasformata in carrozza, i topi che diventano cavalli e le scarpette di cristallo. Ma il ballo dura due notti, non una sola, ed è l’ultima sera che Cenerentola perde una delle scarpette. La matrigna appare a malapena, la si nomina solo una volta all’inizio e poi non se ne parla più. Sono le sorellastre ad essere davvero perfide, ma Cenerentola le perdona e, una volta maritata con il principe, le fa sposare con due gentiluomini.


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