DI ORIANA FERRAGINA
Da quando ne ho memoria, ho sempre festeggiato sia il 5 che il 6 di gennaio, concludendo con due pranzi festivi le vacanze natalizie: la Vigilia la passavo con i miei nonni paterni, originari della Calabria, e il giorno della Befana lo trascorrevo con i miei nonni materni piemontesi e, adesso, con i miei genitori. L’aspetto più particolare della cena del 5 gennaio è la tradizione che vuole che si debbano mangiare 13 cose per ottenere buona fortuna per il resto dell’anno; un po’ come succede a Capodanno con le lenticchie, della cui tradizione ho parlato in un mio articolo precedente.
E, come in quell’articolo, anche qui pongo la seguente domanda: da dove arriva questa tradizione calabrese che vuole che si mangino 13 cose diverse per ottenere buona sorte per il resto dell’anno?
Tutto parte dalla credenza contadina che vuole che il 6 gennaio gli animali ottengano il dono della favella e parlino tra loro del trattamento ricevuto dai padroni: se quest’ultimi li avessero trattati bene e non si fossero azzardati ad entrare nella stalla per origliare i discorsi, nulla di male sarebbe successo; se, al contrario, il trattamento dei loro padroni fosse stato pessimo o quest’ultimi, presi dalla curiosità, fossero entrati per ascoltare le chiacchiere private dei loro animaletti, allora gli umani sarebbero stati maledetti, causando sciagure e disgrazie terribili su di sé e la propria famiglia. Quindi, per evitare tutto ciò, la sera della Vigilia (ovvero il 5 gennaio), bisognava riservare ai propri animali parole gentili e cortesi e dargli in pasto 13 tipi di alimenti, rispecchiando quello che si era fatto precedentemente durante la notte di Natale.
Ovviamente poi la tradizione è passata dalle mangiatoie degli animali parlanti alle tavole dei padroni ed è quindi diventata una consuetudine mangiare 13 tipi di cibo e bevande diverse durante il corso di una cena (l’acqua è esclusa dal conteggio), anche se è interessante notare la morale dietro la tradizione originaria: ovvero che maltrattare e non rispettare gli animali che vivono con noi non porta mai ad un lieto fine.
Comunque, ritornando alla festa, di solito la cena del 5 gennaio è a base di pesce, con il baccalà come re del banchetto: ogni anno, infatti, mia nonna è solita friggere un quantitativo enorme di questo pesce, accompagnato da totani, gamberetti e altri tipi di molluschi e pesci.
Il piatto che non ricordo di aver mai mangiato durante il pranzo della Vigilia dell’Epifania è, invece, la pasta con la mollica (in calabrese cosentino pasta ammuddricata), ma questo si può spiegare notando che i miei nonni paterni sono originari della provincia di Catanzaro e non Cosenza.
Concludendo, auguro a tutti voi un felice inizio della stagione lavorativa e un lieto fine delle vacanze invernali; sperando quest’anno che la Befana non vi porti troppo carbone.
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