DI ELODIE VUILLERMIN
Come Musica maestro prima di lui, Lo scrigno delle sette perle è, più che un film, un insieme di sequenze animate e musicali. Un altro fratello separato alla nascita di Fantasia, quindi. Al contrario di quest’ultimo, però, i vari segmenti sono impostati più su musica folk e popular music che su quella classica.
Uno degli episodi più interessanti è Johnny Semedimela, la storia di un ragazzo che vive in una fattoria e ogni mattina raccoglie le mele dai suoi alberi, riuscendo a farsi aiutare dagli animali semplicemente cantando (come ogni brava principessa Disney). Quando i pionieri partono per colonizzare il selvaggio West, Johnny vorrebbe partecipare anche lui, ma è troppo magro e smilzo per sopravvivere. Viene visitato dal suo angelo custode, che lo sprona a non arrendersi; a suo dire, tutto quello che gli servirà per fare strada è una borsa di semi di mela e una Bibbia. Così Johnny si convince e parte per un lungo viaggio nel West. Nel corso della sua vita, aiutato dagli animali del luogo, riesce a coltivare abbastanza alberi di mele da consentire ai pionieri di costruire nuove fattorie e andare a vivere in quelle terre. Johnny, ormai invecchiato, viene visitato dal suo angelo custode, che lo informa che è giunta la sua ora, e nonostante la sua riluttanza ad abbandonare ciò che ha creato, accetta e muore serenamente, circondato dai suoi amici animali.

Tale segmento è la rivisitazione della storia di Johnny Appleseed, personaggio molto famoso nell’immaginario americano, trattato come uno dei precursori dell’attivismo ambientalista ed ecologista. È esistito veramente, nonostante alcuni aspetti della sua figura siano stati mitizzati nel tempo.
Il suo vero nome era John Chapman e nacque a Leominster, nel Massachusetts, il 26 settembre 1774, come il secondo di quattro figli. Si sa poco della sua infanzia: sua madre morì di tubercolosi quando egli aveva soli due anni e suo padre combatté nella Guerra d’indipendenza americana. Fu proprio durante quest’ultima che la famiglia Chapman perse due interi raccolti e John, per fare fronte all’emergenza, fu spedito dal padre a lavorare come apprendista nelle coltivazioni Crawford, le più importanti dell’epoca. Al suo ritorno dalla guerra, il padre si risposò con un’altra donna e da lei ebbe altri dieci figli.
Nel 1792 la Ohio Company, importante compagnia di speculazione terriera, incoraggiò sempre più coltivatori a insediarsi nei territori del selvaggio West per colonizzarli e per commerciare con i nativi americani locali, stabilendo che chiunque sarebbe stato disposto a trasferirsi laggiù in modo permanente avrebbe ricevuto 100 acri di terra, nei quali si sarebbero dovuti piantare 50 alberi di mele e 20 di pesche. Chapman, vedendo un’ottima opportunità di guadagno in tutto ciò, partì per la Pennsylvania a soli 18 anni, accompagnato dal fratellastro di 11 anni Nathaniel. Da lì si spostò sempre più verso ovest, attraversando gli Stati dell’Ohio, dell’Indiana e dell’Illinois, stavolta in solitaria.
Nel corso del suo peregrinare si portò dietro una borsa piena di semi di mela, che si era procurato presso dei produttori di sidro in Pennsylvania nel 1798 e che piantò uno a uno lungo il suo cammino, in un territorio di oltre 100 mila miglia quadrate. Creava vivai e frutteti nei luoghi più idonei e strategici, costruiva steccati (fatti di tronchi, piante rampicanti, cespugli e altri materiali naturali) per proteggerli e li lasciava alle cure dei contadini, a cui cedeva quasi tutto il ricavato della vendita delle sue mele; tutto questo senza chiedere nulla in cambio, a parte l’ospitalità. Non aveva fissa dimora, pare che viaggiò per quasi tutta la vita, fermandosi ogni tanto per riposare presso quelle famiglie che potevano aver bisogno del suo aiuto come missionario o medico. Divenne un amico sia degli adulti che dei bambini, ai quali era solito leggere storie.
Nel 1842 tornò per l’ultima volta in Ohio dopo aver peregrinato per il selvaggio West per 50 anni. Morì di polmonite il 18 marzo 1845, mentre era in visita da un suo amico, William Worth; la sua casa era a poche miglia da Fort Wayne, Indiana, dove si trova ancora oggi la tomba commemorativa dedicata a Chapman.

Gran parte di quello che è noto su Chapman è stato raccolto in una biografia e pubblicato nel 1871 su Harper’s New Monthly Magazine, una famosa rivista mensile americana, da un certo W.D. Haley. Nel 2011 Howard Means scrisse un’altra biografia, dal titolo Johnny Appleseed: The Man, the Myth, the American Story.
Sebbene i racconti e le testimonianze dipingano Chapman come un vagabondo e un tipo eccentrico, in realtà era un bravo stratega, un uomo d’affari che sapeva dove coltivare i suoi meli e a chi venderli per guadagnarci. Aveva un animo gentile e generoso. Viaggiava sempre disarmato. Era solito camminare scalzo (in qualsiasi momento, anche d’inverno) e indossava un pentolino come cappello. Non vestiva in modo convenzionale, pare che indossasse abiti ricavati da vecchi sacchi di caffè.
Viveva una vita sobria, selvaggia, a contatto con la natura. Si accontentava di poco e non era infrequente che scambiasse i suoi semi di mela con pasti caldi, attrezzatura da campeggio o altri generi di prima necessità. Capitava raramente che dormisse nelle case dei coloni, preferendo farlo all’aperto, per terra, accanto ad un piccolo fuoco.
Era un missionario della New Church, la chiesa neo-cristiana di Emanuel Swedenborg, un veggente svedese. Secondo quest’ultimo, lo scopo supremo per l’uomo era l’unione mistica con Dio, una meta raggiungibile attraverso l’amore e la saggezza. Chapman, durante i suoi viaggi, predicava i suoi insegnamenti alle famiglie che lo ospitavano. Non si sposò mai, ma asserì che se non avesse trovato moglie nella vita terrena, l’avrebbe fatto in Paradiso: un pensiero che si rifà sempre agli insegnamenti di Swedenborg.
Secondo quanto riportato in un resoconto dei suoi viaggi, amava tutte le creature animali, compresi gli insetti. Pare che una volta abbia provato rimorso per avere dovuto uccidere un serpente che lo aveva morso. Altri dicono che spegneva il fuoco del suo accampamento per evitare che le zanzare vi si bruciassero. Altri ancora testimoniano che una notte ha dormito nella neve per non disturbare il sonno di un’orsa e dei suoi cuccioli. Si racconta addirittura che una volta liberò un lupo da una trappola, lo guarì e questi, per riconoscenza, lo seguì nel suo viaggio.
Chapman era vegetariano, come affermano numerosi racconti a lui dedicati. Pare che questo stile di vita fosse dovuto al credo di Swedenborg, per il quale il consumo di carne era un segno del declino dell’uomo. Nel corso del suo lungo viaggio entrò in buoni rapporti con i nativi americani, che lo trattavano sempre con gran rispetto e lo consideravano un santo per la sua conoscenza delle erbe mediche.
Come afferma Michael Pollan ne La botanica del desiderio, le mele rivestivano una grande importanza nei primi del 1800. Erano un frutto molto facile da coltivare e si potevano conservare senza aggiungere lo zucchero, che all’epoca costava molto. Chapman, a furia di piantare meli nel Midwest, permise ai pionieri dopo di lui di stabilirsi in quelle terre da lui percorse, di creare comunità. Tuttavia i loro frutti erano speciali per un motivo: non erano fatti per essere mangiati, anzi erano di scarsa qualità, perché Chapman (fedele al suo credo) non praticava mai l’innesto e produceva le sue piante solo da seme; quindi le sue mele erano più adatte alla produzione del sidro di mela, una bevanda alcolica molto consumata dagli americani in quegli anni e usata come merce di scambio per guadagnare qualche soldo. Per questo motivo Chapman divenne così celebre, tanto che molti lo definirono “il Dioniso americano”.
La versione Disney ci dà chiaramente un’immagine di Chapman per nulla accurata dal punto di vista storico: basti pensare che in una scena vengono mostrati dei contadini festeggiare con una serie di pietanze a base di mela, tra cui torte e muffin; insomma, tutto fuorché il sidro, che sarebbe stato l’unica cosa ricavabile dalle mele del vero Chapman. Ciononostante la figura di Johnny Appleseed è ancora oggi celebrata in numerosi racconti, poesie e canzoni.
Inoltre a Fort Wayne, ogni settembre di ogni anno, si tiene un festival dedicato a lui. L’evento ricrea le atmosfere dei primi anni del 1800. Ci sono numerosi venditori e artigiani che vendono articoli di ogni genere, oltre che bancarelle dove il cibo viene cotto sul fuoco, senza l’ausilio di alcuna attrezzatura moderna, per ricordare i giorni della frontiera. Anche i vestiti che la gente indossa sono in linea con quel periodo.

