Marco Missiroli – Le Parole Che Riportano A Casa

DI EDOARDO VALENTE

Quanto può essere impervia la strada per tornare a casa?

Nel momento in cui ci si allontana non si vuole guardare indietro, ma poi, quando tutto il paesaggio è cambiato, si cerca dappertutto quell’immagine lasciata a chilometri da sé e a un millimetro dal cuore.

Un autore italiano contemporaneo che, prima per caso e poi per scelta, ho potuto conoscere meglio di altri, è Marco Missiroli.

Attraverso tre romanzi, due dialoghi e un monologo, ho iniziato a tracciare una costellazione, che passando attraverso le sue pubblicazioni degli ultimi anni, delinea quella che altro non può essere se non la necessità di ritrovare la via di casa.

L’ordine del tempo, spesso, è un disordine individuale, che a volte necessita di una revisione ulteriore, successiva. 

Il primo romanzo che ho letto di Missiroli è stato Fedeltà, che è stato anche quello che mi è piaciuto di meno, ma mi ha avvicinato all’autore. Così ho fatto un passo indietro di qualche anno, andando a recuperare Atti osceni in luogo privato, per poi, poco tempo dopo, aggiungere il più recente Avere tutto che, come avrò modo di argomentare, è il mio preferito, e dal quale può nascere una domanda fondamentale.

L’ordine del tempo, per quanto riguarda questi tre romanzi di Missiroli, è importante seguirlo precisamente.

Atti osceni in luogo privato parte molto lontano da casa, e si colloca nella vita di una famiglia italo-francese, dal punto di vista del giovanissimo Libero Marsell, la prima persona singolare di questo romanzo. Missiroli ci racconta l’educazione sentimentale e letteraria di questo ragazzo, seguendolo per vent’anni, tra Parigi e Milano. Scaglia una freccia che parte dall’infanzia e arriva all’adultità, tracciando un percorso lineare ma non ininterrotto, poiché il tempo deve fare qualche salto se si vuole raccontare così tanto della vita di una persona. 

Le prime tracce, però, della ricerca di luoghi familiari appaiono già nell’immensa Parigi. Le città sono spesso esse stesse personaggi importanti nelle storie di Missiroli, e il luogo che il suo protagonista Libero può chiamare casa si trova nel X arrondissement, rue de Petits Hôtels. Il mio disordine individuale ha scoperto solo di recente chi altri abitava in questa via, e l’ha fatto combaciare con l’ordine del tempo: si tratta dello scrittore francese Emmanuel Carrère. 

È proprio in quella via che un giovane Missiroli si è appostato, diversi anni fa, per intercettare Carrère e chiedergli un’intervista. È in quella via che la narrazione e l’autobiografia iniziano a combaciare.

Ad un certo punto, la vicenda si sposta a Milano, città d’adozione di Missiroli, nella quale, qualche anno dopo, si intrecciano le vite di Carlo e Margherita, Sofia e Andrea: i quattro protagonisti di Fedeltà; le terze persone singolari.

Niente Parigi, niente francese; qui ci si muove nella città in cui l’autore vive e nella quale con più naturalezza si muovono i personaggi. La storia non è solo più compatta a livello geografico, ma anche a livello temporale – c’è un solo, lungo, salto in avanti – ed è più compatto lo stile

Con una narrazione ininterrotta che si sposta fluidamente da un personaggio all’altro, che mi ha ricordato gli agganci che aveva trovato Virginia Woolf per spostarsi da una parte all’altra di Londra in quell’unica giornata in cui si svolge Miss Dalloway, ci viene mostrata, quasi vivisezionata, la condizione di ipocrisia di coppia in cui vivono Carlo e Margherita. 

La fedeltà e il suo rovescio, il tradimento, pur non essendo gli unici argomenti di cui tratta il romanzo, che si muove in più direzioni, rimangono la migliore chiave d’accesso, il miglior punto di riferimento per analizzare la vicenda.

È più importante essere fedeli agli altri o a sé stessi?

Ribaltando la domanda sull’autore: è più importante rimanere fedeli a sé stessi o ai propri personaggi?

Missiroli (questa è la mia impressione) inizia a tornare più fedele a sé stesso, alle proprie origini. Tradisce la centralità della città di Milano, e si concede una scappatella a Rimini. Non la concede al suo personaggio, la concede a sé stesso.

Che motivo c’era che Sofia fosse di Rimini? Poteva uscire comunque dalla vita di Carlo. Che motivo c’era che Carlo andasse a cercarla a Rimini? Non c’era un motivo, ma una necessità: quella di rivedere casa. 

Avere tutto è ambientato a Rimini. La Rimini degli abitanti, non quella dei turisti. La Rimini che Missiroli può chiamare casa.

Si torna alla prima persona singolare, ma è molto diversa da quella che ci guida in Atti osceni in luogo privato. In quel caso si avvertiva comunque una distanza tra narratore e personaggio narrato. Come se spesso Libero Marsell si raccontasse da fuori, perché era raccontato da fuori.

Il protagonista di quest’ultimo romanzo è narrato dall’interno, coincide molto di più con l’autore, la quota di autobiografia è maggiore, ma lo è anche la naturalezza.

La differenza è come quella che c’è tra le cose che si imparano e le cose che si sanno: Missiroli ha dovuto imparare il francese, imparare com’è fatta Parigi; ma sa com’è il dialetto, sa com’è Rimini. Si passa dall’accrescitivo francese Grand Liberò, al diminutivo riminese Sandrin. Si abbandonano la Parigi di Sartre e la Milano di Buzzati, per immergersi nella Rimini di Missiroli. Con Sandro che fa il suo giro per l’Ina Casa, per scollarsi Milano e far sfumare il Nord in testa.

Prima di leggerlo, ho sentito l’autore parlarne in dialogo con Starnone, durante lo scorso Salone del Libro di Torino. Lì ho appreso che ha scelto di inserire nel passato di Sandro il gioco d’azzardo perché c’è stato anche nel suo.

Il gioco d’azzardo in questo romanzo è principalmente confinato in un luogo, che è giustamente lasciato sullo sfondo: Milano. Quella è la città del gioco, laggiù, lontano dalla purezza ritrovata nell’aria di casa.

E questa purezza appare in tutta la narrazione, soprattutto nei dialoghi, che sono scritti così come tutti vorrebbero saperli scrivere. E nei dettagli, quelli che rendono vera ogni storia, che le danno una concretezza inscindibile dalla realtà.

L’incipit è l’esempio perfetto:

Mi telefona mentre sono al supermercato. Lo saluto, lui si raschia la gola ma non parla. So che gira di notte con la Renault 5.

Gli chiedo se sta bene.

– Scusa il disturbo, – dice.

– Smettila.

Tira alla sigaretta. – Alla fine ti hanno pagato?

– Ancora no.

Stiamo zitti come quando da ragazzino lo guardavo riparare una presa elettrica, la madia nel tinello, la grondaia sul retro. Le sue dita leggere.

Poi gli annuncio che vado a trovarlo.

– Davvero vieni?

– È il tuo compleanno.

– E come fai con il lavoro?

– Faccio.

Tutto è al posto giusto. In poche righe si sente il peso di una vita, il rapporto tra padre e figlio colto con un solo colpo d’occhio. Quelli che impareremo a conoscere e a distinguere come il ballerino e il giocatore. E li conosciamo con una narrazione che si svincola dalla linearità e dai paragrafi senza fine dei due romanzi precedenti.

È un continuo avanti e indietro tra presente e passati, senza che ciò crei confusione ma, al contrario, in ogni dettaglio aggiunto appare maggiore chiarezza.

Tuttavia, la vicenda ambientata nel presente si svolge in poco tempo. I luoghi si sono contenuti, diventando più semplici, così come la dimensione temporale, così come la lingua: semplicissima, essenziale, ma contemporaneamente molto ricca.

Ed è considerando questo percorso che Missiroli ha attraversato con i suoi ultimi tre romanzi che mi è subito sorta impellente una domanda: si può tornare indietro?

Atti osceni in luogo privato, lontanissimo da casa, diventato un bestseller. Fedeltà, che si avvicina a casa, che vince il Premio Strega giovani. Avere tutto, che torna a casa, che vincerà sicuramente la prova del tempo.

Lo stesso Missiroli ha affermato che a qualche anno di distanza dalla pubblicazione, sentendo rileggere ad alta voce Atti osceni non gli è piaciuto così tanto.

Come sarà in futuro il suo rapporto con Avere tutto? Soprattutto: come si può tornare indietro dopo che la lingua in questo romanzo ha guidato la storia benissimo, in cui ogni parola sembra essere al posto giusto. O, se non si può tornare indietro, come si può andare oltre?

Dopo che ci si allontana da casa, l’unica cosa da fare è ripercorrere la strada a ritroso. Quella strada impervia e faticosa, al fondo della quale si trova la maggiore delle conquiste. E una volta tornati a casa, dove si va?

Si tende a cercare la storia giusta da raccontare altrove, in città lontane, in situazioni complicate, in vite che non sono la nostra. Ma spesso ciò che è giusto dire è molto più vicino, è dentro di noi, nella cucina di casa. In tre maccheroni aggiunti alla bilancia, nel mazzo di carte strozzato con l’elastico per giocare a briscola; nel Maigret infinito sul comodino, nei calami di fine anni Sessanta nella madia in garage.

L’esistenza di una famiglia che passa negli oggetti, che può passare solo negli oggetti. Le piccole cose immobili che donano vita più dei grandi sconvolgimenti.

È così difficile raccontarsi con semplicità. Eppure, Missiroli ci è riuscito.

Ha toccato con delicatezza l’essenzialità della narrazione.

Dove si va dopo che si è raggiunta questa essenza? Dove si va dopo che si è tornati finalmente a casa?

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