Dance Dance Dance (Haruki Murakami)

DI GIOSUE’ TEDESCHI

Per leggere questo libro un importante prerequisito è aver letto Nel segno della pecora, ovviamente dello stesso autore. Sembra che siano una coppia di libri, perché la storia di Nel segno della pecora continua in Dance Dance Dance. O meglio: ci sono gli stessi personaggi, gli stessi luoghi, e le stesse situazioni. Il grande dubbio che ho a riguardo viene però dal fatto che non sono pubblicizzati come due libri che stanno insieme, e sembrano quindi due storie separate. Ora io non so quale sia la verità, se sono due storie a sé stanti o se la storia del primo continui nel secondo; ma per non saper né leggere né scrivere io ti consiglio di leggere prima Nel segno della pecora e poi questo. Semplicemente perché mi è stato raccontato da alcuni ragazzi che hanno letto soltanto questo libro, e non l’altro, che non si capiva assolutamente niente; quindi, soprattutto trattandosi di Murakami, ritengo che avere del contesto bonus non possa che essere d’aiuto. 

Ma entriamo nella storia.

Danzare, perché non puoi fare altro. Un libro disilluso, cinico quasi. Con la costruzione delle frasi tipicamente murakamiana che lascia sempre un sottinteso, qualcosa in sospeso. Come sempre i suoi protagonisti non sono mai ben caratterizzati, per questo per me assumono i suoi connotati. Diventano tutte esperienze che sono capitate a lui stesso. 

Ma poi mi sorprende e, quasi dal nulla, spunta il rinomato scrittore Makimura Hiraku. (anagramma del nome dell’autore) Mi confonde, mi chiedo se pensi al suo personaggio come a un personaggio appunto, e non come a sé stesso. Lui ha fatto quelle cose? Ha parlato con delle persone che hanno vissuto quella vita che ci racconta? Forse, invece, questa storia è ambientata interamente nella sua mente. Come molti dei suoi altri racconti del resto. Ciò che leggiamo sono quindi parti di lui che dialogano, spesso senza capirsi.

Dance Dance Dance. Ballare. Continuare a muoversi. Seguire la musica, danzare tanto bene da lasciare tutti a bocca aperta. Cosa vuol dire? Cosa diventa la danza in questo libro? La prima immagine che viene in mente è quella della foglia nel ruscello, il seguire la corrente; ma c’è anche più di questo. 

Non c’è tempo da perdere. Il mondo si muove in fretta e non facciamo altro che invecchiare. Eppure a volte non puoi fare altro che aspettare. Così i suoi personaggi aspettano. Tanto. Aspettano con una pazienza inumana. Ma è un’attesa così consapevole che modifica il normale scorrere del tempo, come fosse la pasta della pizza o del pane nelle mani di un grande chef.

Per usare un’espressione da un libro che ho amato: _i suoi protagonisti vivono sempre negli interstizi del mondo_. Inevitabilmente trascinano con sé anche gli altri personaggi, e te che leggi, in posti dove la realtà è più debole. Come farebbe un vortice, il talento è questo? Luoghi dove il tempo viene vissuto con così tanta profondità e accettazione del cammino da compiere che ti dimentichi sia tempo d’attesa. Diventa tempo vissuto, e poi la tua intera vita.

In Dance Dance Dance ho vissuto un’attesa costante. Un’attesa frenetica e irascibile. Ho aspettato con lui, danzando e bevendo piña colada, il drink perfetto. Ha persino una canzone dedicata. Come ogni banale ’02 non colgo nessuno dei riferimenti alla cultura dei suoi anni. Né di film né di musica; questo me lo fa vivere come uno zio eccentrico che mi racconta di quando era più giovane.

Così, una pagina dopo l’altra, imparo che essere adulti è danzare. Capire che ognuno ha i suoi problemi. Non è cosa per te gestirli, sono degli altri, chettefrega a te? Tu segui la tua musica, continua a danzare, a spalare la neve se serve. Danza così bene da lasciare tutti a bocca aperta. E’ la cosa migliore che puoi fare, per te e per gli altri. 

Quando l’orchestra attaccò Moonglow, le coppie cominciarono a ballare guancia a guancia.

Guardarli chissà perché mi trasmise un senso di calma. Forse per l’espressione soddisfatta delle loro facce mentre danzavano.

La cosa più rivoluzionaria è che dei personaggi di Murakami noi non sappiamo i desideri. Del protagonista in particolare, non sappiamo quale sia l’obiettivo. Quindi non capiamo quali sono i passi che fa verso il suo obiettivo; probabilmente perché non fa passi verso il suo obiettivo. Semplicemente danza ascoltando la musica. Lui vive e si lascia trasportare, e non sa a che cosa arriverà.

Non c’è un chiaro nemico da combattere, un tesoro da riscattare, o qualcuno da salvare. Sì, qualcuno da trovare c’è, ma è quello il suo obiettivo? Io penso che sia trovare quella persona con cui può essere felice. Però non si sa, così come noi stessi nella nostra vita non sappiamo dove stiamo andando, cosa stiamo cercando, non sappiamo cosa vogliamo fare e non sappiamo dove vogliamo andare. 

Sai che c’è? Che cercare risposte nei libri è una cosa stupida. I libri servono a darti le domande, le risposte le puoi trovare solo tu, continuando a danzare. Inseguendo la tua ombra attraverso posti che esistono soltanto per te. Dove parti di te piangono le lacrime che non riesci a lasciar andare. 

Quando leggi Murakami non leggi la storia delle risposte, leggi la storia delle domande. Così non è importante chi è stato a ucciderla, ma se lo è stata davvero. L’atto stesso del chiedersi se sia morta è l’inizio di tutto. Poi ci si chiede anche se ci fosse un motivo, se ne avesse bisogno, addirittura se lei fosse d’accordo. Ma sono tutte domande secondarie. 

Ancora una volta si entra dentro sé stessi. Un posto in cui non fa piacere stare; e finalmente capisco che non è per cercare risposte che ci si avventura su un terreno tanto pericoloso. Ma per cercare le domande. Aspettarsi le risposte è una cosa assurda da fare. Tuttalpiù puoi trovare un filo rosso. Un capello. Un’impronta digitale che ti indirizzi nella direzione giusta. Scegliere una strada e danzare, continuare a danzare anche se è un vicolo cieco, è la cosa più importante. Perché i muri sono dimensioni, e niente più. Chi sei tu per impedirti, davvero, di viaggiare dentro te stesso?

Mi ricorda l’Eternauta. Chissà se lo conosci. Credo proprio di no, era un fumetto così di nicchia, così tanto tempo fa. 

Tra le molte idee che portava c’era questa: gli umani hanno paura del fuoco, anche qualora questo non bruci. Scappano alla vista. Ma che rilevanza ha quello che vedi quando esplori luoghi che esistono solo per te, perché tu li hai creati, al di là delle dimensioni?

Qui cerchi le domande da porti per capire cosa è successo a te mentre leggevi il libro. Se sei fortunato, danzavi. 

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