Otherside, capitolo 3: L’apprendista stregone

DI ELODIE VUILLERMIN

Walt Disney, dopo aver realizzato due lungometraggi animati, volle creare qualcosa di diverso, per dimostrare che con l’animazione poteva raggiungere un livello superiore. Si immaginava un film senza dialoghi né effetti sonori, che combinasse il disegno alla musica classica: quello che sarebbe diventato Fantasia. Una bella impresa, per molti un azzardo. Per la prima volta l’immagine avrebbe accompagnato la musica, e non il contrario.

Al suo debutto il film fu criticato e fu un insuccesso di incassi. Tuttavia con il tempo fu rivalutato e apprezzato per molti aspetti, soprattutto l’animazione e le tecniche di registrazione.

Ma di cosa parla, nello specifico, Fantasia?

Altro non è che una raccolta di otto componimenti di musica classica, reinterpretati da vari artisti e trasformati in corti d’animazione. Il più degno di nota tra questi è sicuramente L’apprendista stregone, un cortometraggio nato per incrementare la popolarità di Topolino, che in quegli anni stava calando. Tale corto trae ispirazione dal poema sinfonico di Paul Dukas del 1897, a sua volta tratto da una ballata di Wolfgang Goethe del 1797.

(Johann Wolfgang von Goethe)

La storia è identica a quella che vediamo in Fantasia. Uno stregone incarica il suo apprendista di dare una pulita, mentre lui si riposa. Ma l’apprendista è pigro, non ha voglia di faticare, quindi ruba un incantesimo dal libro del suo maestro per dare vita a una scopa che svolga il lavoro al posto suo. Le cose si mettono male, perché la scopa incaricata di portare l’acqua in casa continua a ripetere lo stesso gesto senza mai fermarsi. L’apprendista, non avendo il pieno controllo della magia, non riesce a interrompere l’incantesimo, così distrugge la scopa con colpi d’ascia. Eppure le due metà dell’oggetto, anche se in pezzi, continuano comunque a raccogliere e portare acqua, fino ad allagare la casa. Interviene così lo stregone, che mette tutto a posto.

Ma per conoscere le vere origini di questa ballata dobbiamo tornare indietro di altri 1600 anni. Nel II secolo d.C. un certo Luciano di Samosata scrisse Philopseudes sive Incredulus (Gli amanti della menzogna), un racconto in cui svariati personaggi si narrano tra di loro diverse storie a sfondo sovrannaturale. Tra questi racconti spicca quello di Eucrate, un personaggio che ha viaggiato in lungo e in largo per l’Egitto, risalendo il Nilo fino ai Colossi di Memnone, per sentire lo straordinario suono che le suddette statue producevano ogni mattina all’alba. Secondo la leggenda, una di queste statue è infatti cava e, quando il vento caldo del primo mattino riscaldato dal sole attraversava la cavità per poi uscire dalla bocca, produceva un suono particolare. I Greci interpretavano quel sibilo come il saluto di Memnone, eroico semidio della stirpe reale troiana, a sua madre, la dea Aurora; tuttavia è stato dimostrato che le statue rappresentano non un semidio greco, bensì il faraone Amenhotep III.

Dopo la visita ai Colossi, Eucrate incontrò uno scriba della città di Menfi, un uomo dotto e sapiente, che aveva trascorso 23 anni nel sottosuolo per apprendere la magia in gran segreto. Si chiamava Pancrate ed era un sacerdote di Iside, nonché uno stregone dagli incredibili poteri. Eucrate divenne suo amico ed ebbe il piacere di assistere alla magia che poteva dare vita agli oggetti lignei e permettere loro di muoversi. Una magia che poteva dare vita, tra le tante cose, a pestelli e scope.

Ma come funzionava? Pancrate stendeva un mantello sugli oggetti, recitava una formula magica e, una volta rimosso il mantello, gli oggetti si animavano e cominciavano a eseguire incarichi svolti normalmente da schiavi umani: pulivano, cucinavano, portavano acqua in casa. Nel momento in cui Pancrate pronunciava una seconda formula, gli oggetti tornavano alla loro forma originale e smettevano di muoversi.

Pancrate era gelosissimo del suo incantesimo, al punto che mascherava le parole utilizzate nelle formule per essere sicuro che nessuno a parte lui ne facesse uso. Ma la curiosità di Eucrate ebbe il sopravvento. Un giorno si mise a origliare di nascosto il suo maestro e memorizzò la prima formula, poi attese che lo stregone uscisse di casa e la usò su un pestello, ordinandogli di andare a prendere dell’acqua. Il pestello obbedì ed Eucrate, soddisfatto del risultato, gli disse che bastava così. Ma l’oggetto andò a prendere dell’altra acqua, ancora e ancora, senza mai fermarsi; ciò portò la casa ad allagarsi. Eucrate provò a fermare il pestello tagliandolo in due con un’accetta, ma le due metà continuarono comunque a muoversi e a raccogliere ulteriore acqua.

Un disperato Eucrate attese che Pancrate tornasse, e così fu. Lo stregone, infuriato, capì subito la situazione. Pronunciò la seconda formula magica e tutto tornò a posto. Dopodiché sparì per sempre ed Eucrate non lo rivide mai più.

Il corto di Fantasia e il racconto in lingua greca di Luciano sono quasi identici. Le uniche differenze? Al posto della scopa c’è un pestello, ossia una lunga verga di legno usata per frantumare ingredienti all’interno di un recipiente sul pavimento. A un certo punto Topolino si addormenta e si accorge molto dopo del suo errore, mentre Eucrate è sveglissimo quando tutto va storto. In Fantasia non ci sono formule magiche dette ad alta voce, tutto si fa a gesti. Infine l’ambientazione nel film Disney non è mai specificata, mentre nel racconto di Eucrate è certo che siamo nell’antico Egitto. Quest’ultima è una scelta tutt’altro che casuale: la terra dei faraoni e delle piramidi è da sempre considerata un luogo pregno di magia, per merito delle numerose leggende, molte delle quali riguardanti il furto di libri magici e incantesimi eseguiti in modo sciocco e sconsiderato.

Luciano di Samosata potrebbe essersi ispirato proprio a una di queste leggende per scrivere il suo racconto, nello specifico un racconto in lingua demotica del III a.C. Il protagonista, il principe Khaemuaset, meglio noto come Setne, era il quarto figlio di Ramses II e sommo sacerdote di Ptah, a Menfi, nonché saggio scriba e mago di talento, così come lo era Pancrate. Egli setacciò il deserto di Menfi alla ricerca di un libro magico scritto dal dio Thoth, che avrebbe permesso tante cose, tra cui la capacità di comprendere i linguaggi di ogni creatura esistente al mondo. Setne trovò il libro nella tomba di Naneferkaptah, ubicata nel sottosuolo, lo stesso luogo dove Pancrate avrebbe imparato a usare la magia. Ma il tomo era protetto dallo spirito di Naneferkaptah e della moglie, che il dio Thoth aveva maledetto perché avevano osato perdere il libro. Il principe fu avvisato che la stessa maledizione sarebbe capitata a lui, se avesse osato impadronirsi di quel tomo, ma lui ignorò l’avvertimento e andò alla ricerca dei corpi mummificati di Naneferkaptah e la sua famiglia, nel tentativo di sciogliere la maledizione e pacificare il dio.

Per questo capitolo di Otherside abbiamo dovuto fare più salti nel passato: da Disney a Dukas, passando poi per Goethe e la Grecia fino agli Egizi. Ci è stato utile per capire come ogni versione si sia ispirata a quella precedente e che perfino popoli che noi tendiamo a considerare antichi, come i Greci, hanno saputo attingere da una fonte ancora più indietro nel tempo di loro. Alla fine, l’antichità è un concetto relativo, dovuto all’epoca in cui si vive.

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