L’Augusto Editoriale dell’Augusto Direttore: Concludere Con Stile – Le Ultime Parole

DI ALBERTO GROMETTO

«Un uomo illustre dovrebbe far attenzione alle sue ultime parole… scriversele su un pezzo di carta e farle giudicare dai suoi amici. Certo non dovrebbe lasciare una cosa del genere all’ultima ora della sua vita».

Mark Twain

Fin dagli albori dei tempi, da che mondo è mondo, l’Essere Umano è sempre stato intrigato, affascinato e azzarderei dire ossessionato dai finali, dalla conclusioni, dagli epiloghi. 

(Il Maestro Mark Twain)

Che sia nella Vita Vera oppure in narrativa, Noi abbiamo sempre guardato alla Fine come probabilmente i primitivi nostri antenati guardavano al fuoco: come a qualcosa da cui farsi attrarre ma anche spaventare, ammaliati ma al tempo stesso impauriti, certamente affascinanti eppure anche carichi di un qual certo terrore atavico e ancestrale. Come le ardenti fiamme sono belle e riscaldano e splendono ma se ti avvicini troppo ti bruciano, così è un Finale: se sa essere grandioso ne proviamo un godimento profondo e quasi epidermico, ma se “esce male” il dolore e la delusione sono tali da risultare soverchianti. 

Nel momento in cui scrivo questo articolo è l’ultimo giorno dell’anno 2024. Il giorno finale. Ben 365 albe or sono (in realtà 366 perché il 2024 è bisestile), uscì il primo “Augusto Editoriale dell’Augusto Direttore” della Storia, e in quel caso decisi di concludere l’anno proprio parlando di Finali, ma in narrativa e nella finzione fantastica. Di raccontare quanto fosse difficile e complicato chiudere una Storia, sia essa un libro o un film oppure una serie tv. Perché lo fosse. Pure a questo giro parlerò di Finali, ma quelli nella Vita Vera. O meglio, quelli che “vengono raccontati” ma che non necessariamente sono successi veramente.

Già, perché il Finale ideale, quello epico e bello, che ci lascia la sensazione con cui ce ne torniamo a casa… mica lo cerchiamo solo al Cinema o dentro le pagine di un romanzo, no. Noi lo cerchiamo pure nella Vita cosiddetta “Vera”. Lasciare questo Mondo, salutare tutti e “andarsene viapronunciando parole da consegnare alla Storia: WOW! Come se uno avesse fatto solo sbagli nell’arco di un’intera esistenza, ma poi… nel momento in cui se ne va… fa quella battuta scherzosa e al tempo stesso intelligente, malinconica ma pure profonda, piena di senso ma pure ambiguamente misteriosa… e voilà, di colpo tutto è perdonato, il suo sarà stato un film mediocre e noiosetto ma quella conclusione lì “salva tutto”!

Pure io, sapete, non sono esente da questa adorazione nei riguardi delle parole finali. Credo che a ognuno capiti di fantasticare sulla sua dipartita, su come vorrebbe salutare tutti, quale sensazione vorrebbe lasciare di sé. Su cosa dire. È normale, l’Umano poche volte si occupa del Presente, che non gli piace e non si sa godere, preferendo invece essere tutto proiettato nel Passato oppure nel Futuro. Anche quando il Futuro è talmente remoto che tu… che tu sei trapassato!

Chi non ha mai pensato, neanche una volta, alle proprie esequie? Che sia facendosi seppellire o ceneri sparse al vento, immaginandosi volti lacrimanti contriti dal dolore, ognuno, almeno un pochettino, ci avrà pensato. Io lo dico sempre: vorrei le mie ceneri sparate da un cannone! Ci pensate a quanto sarebbe assurdamente figo?

E sì, pure io ho riflettuto, anche troppo!, su quelle che vorrei fossero le mie ultime parole. E parlando di conclusioni, ho concluso che… che farei come ho fatto tutta la Vita: andrei per le lunghe! Sì, perché io soffro di un male terribile noto come “prolissità”. Chi mi conosce, lo sa. E son certissimo che avrei talmente tante idee su cosa poter dire che… che terrei tutti quanti al mio capezzale per ore e ore a sentirmi sproloquiare barbosamente e inutilmente, alla ricerca delle parole perfette con cui chiudere. Finirebbe che morirebbero prima loro del sottoscritto!  

Insomma: le parole finali sono una faccenda seria, o mi sbaglio? 

Dovrebbero racchiudere tutto il senso di una vita, oppure no? 

Svolgono un ruolo decisivo, devono essere incisive, poter essere d’ispirazione… giusto?

Io credo che sia quello che pensa la maggior parte delle persone, che finisce quindi per riservare un’aspettativa altissima alle ultime parole. Che devono essere più che perfette, devono entrare nella Leggenda. L’attesa non può proprio essere delusa! Anche perché nel caso delle ultime parole finali, se sbagli, non avrai la possibilità di rimediare. Per forza: sono le ultime parole, non ce ne saranno altre dopo, nessun secondo tentativo o ulteriore chance all’orizzonte! 

Le mie ultime parole preferite sono e rimarranno sempre quelle di uno dei personaggi storici più amati in assoluto, il primo epico Imperatore di Roma, OTTAVIANO AUGUSTO. Dopo aver recitato tutta la vita la parte del “primo tra i cittadini” (“primus inter pares”), di quello a cui il potere non interessava, del Difensore della Democrazia, quando invece astutamente, scaltramente e strategicamente è stato il Padrone Assoluto e Incontrastato di un Mondo che sotto la sua guida raggiunse il massimo dell’espansione in fatto di Arte, Cultura e Bellezza… Egli, dal suo letto di morte, lo dichiarò consegnando sé stesso alla Storia: «Acta est fabula, plaudite!». «La commedia è finita, applaudite!».

(Il glorioso Imperatore Ottaviano Augusto, di cui il sottoscritto Direttore riprende con somma riverenza e profondo onore il titolo)

Che Genio Assoluto, anche nel finale! Ma non fu il solo Imperatore Romano di cui si rammentano le ultime parole. Ad esempio ci fu Tito Flavio Vespasiano, meglio conosciuto semplicemente come VESPASIANO, che fu un governatore forte e rispettato. Anche se le sue parole finali sono state molto meno rispettate. Vengono anzi piuttosto derise. «Un imperatore deve morire in piedi!». Non volle infatti andarsene nel proprio letto, ma quando anzi sentì la fine vicina decise di alzarsi dal proprio talamo, finendo per spirare nelle braccia di chi si affrettò a sorreggerlo. Il fatto è che però, disgraziatamente, queste parole vennero pronunciate proprio da colui il cui nome venne dato agli orinatoi, ove ci si svuota la vescica… proprio da in piedi! Tragico e al tempo stesso ironico scherzo del Destino che ci dimostra quanto le ultime parole possano essere un’arma a doppio taglio. Certo, lui poveraccio non poteva immaginare che i “vespasiani” avrebbero portato il suo nome. Lui, che poi non li aveva nemmeno inventati! Però, ci riferisce l’illustrissimo autore GAIO SVETONIO TRANQUILLO nel suo capolavoro “VITA DEI DODICI CESARI” (titolo originale: “DE VITA CAESARUM”), che questi bagni presero il nome dal buon Vespasiano perché egli li aveva sottoposti a tassazione. Ecco il danno nel quale puoi incorrere… a istituire nuove tasse!

(Ecco Vespasiano, che morì orgogliosamente in piedi)

Parlando di parole finali tragicamente comiche e comicamente tragiche, un posto speciale spetta a quel magnifico scrittore, drammaturgo e letterato che fu OSCAR WILDE! Terribilmente maltrattato dalla vita e dai suoi contemporanei, per via della sua omosessualità (il reato di sodomia), trascorse gli ultimi anni della sua esistenza in Europa, lontano da quell’Inghilterra che tanto lo aveva odiato. Morì a Parigi, in Francia, il 30 Novembre del 1900, dopo un periodo di acuta malattia. È esilarante, nel momento in cui si riflette sulle sue ultime parole, pensare che uno dei suoi marchi di fabbrica in qualità di autore erano le cosiddette “battute di spirito” brillanti, sagaci, ironiche, impertinenti e pure paradossali. Oscar infatti se ne andò con una battuta delle sue, stando a quanto riportano l’aneddotica e le cronache d’allora. Preso posto in una camera all’Hôtel d’Alsace in Rue des Beaux-Arts 13, ove avrebbe trovato la sua fine, esclamò: «O se ne va quella carta da parati o me ne vado io!». Se ne sarebbe andato lui. Dopo quella frase avrebbe infatti perso totalmente l’uso della parola, per poi morire pochi giorni dopo. 

(Il caro Oscar proprio non poté tollerarla quella carta da parati!)

Talvolta però le ultime parole sanno anche essere un capolavoro in fatto di enigmatica ambiguità. Basti pensare a quelle che pronunciò quel colosso di Cultura e Sapienza che fu JOHANN WOLFGANG VON GOETHE: «Più luce!». E tutti subito a chiedersi immediatamente cosa volesse dire il divin Maestro! Che forse volesse dire che se rimani attaccato alla Vita e al Sapere, anche in punto di Morte, continuerai a vedere Luce? Che forse avesse visto qualcosa che a noialtri, noi che siamo vivi, non è dato sapere? Beh, sapete che c’è? C’è che sembra che in realtà il caro Johann Wolfgang stava semplicemente chiedendo gli fosse aperta una finestra. E quegli altri magari, invece di aprirgliela, se ne sono stati lì a chiedersi che cosa volesse dire mentre intanto Goethe spirava! 

(L’eccelso Goethe, che forse voleva solo gli aprissero la finestra)

Sì, a volte siamo noi viventi a caricare le ultime parole di chi se ne va di un misterioso significato che… che in realtà non hanno! A volte le ultime parole non vogliono dire altro che quello che dicono. Basti pensare a MICHAEL JACKSON: più che un cantante, ma la Musica incarnatasi in un’anima straordinaria che ci ha lasciati troppo presto. Sapete quali furono le sue parole finali? «Milk». Cioè: «Latte». Ne stava chiedendo un po’.

(Ci manchi, Michael)

Oppure, parlando di un altro Genio della Musica, anche se una Musica ben diversa e nato più di un secolo prima di Michael: e cioè il glorioso e solenne compositore tedesco RICHARD WAGNER. Stando alle testimonianze, le sue ultime parole furono: «Il mio orologio!». Gli stava cadendo dalla tasca. Ecco, non ho mai capito perché qualche grande marchio d’orologi non abbia mai preso ad esempio questo fatto per montarci sopra una qualche grande campagna pubblicitaria: Toglietemi tutto… financo la Vita… ma non il mio Breil! 

(Chissà che fine ha fatto il suo orologio)

Parlando di orologi, c’è chi in punto di morte si disperò per una questione… di tempo! Sì, tempo: quanto ne sprechiamo in vita! E quale miglior momento per rendercene conto se non quando la vita finisce? Quel formidabile esempio di scrittore che fu il francese HONORÉ DE BALZAC morì cinquantunenne per via di alcuni problemi di salute che erano sfociati in una febbre fastidiosa di cui si lamentò moltissimo: «Otto giorni di febbre! Avrei avuto il tempo di scrivere ancora un libro». La REGINA ELISABETTA I D’INGHILTERRA DEI TUDOR invece, dopo un regno durato quasi mezzo secolo, una volta ritrovatasi faccia a faccia con la vecchia signora incappucciata armata di falce, avrebbe detto: «Tutti i miei domini per un istante di tempo!». Avrebbe fatto volentieri a cambio, per qualche attimo in più. Ma non si può.

(La Regina Elisabetta, che avrebbe rinunciato alla Corona anche per solo un istante…)

Parlando di Regine, MARIA ANTONIETTA DI FRANCIA ebbe una sorte ben più disgraziata: non morì anziana, nel proprio letto, dopo un regno lungo e prospero, no. A lei venne tagliata la testa, ghigliottinata dopo essere stata deposta, nel pieno della Rivoluzione Francese. «Mi perdoni signore, non l’ho fatto apposta» furono le sue ultime parole. Aveva pestato per errore il piede al boia, sul patibolo. Esempio di cordialità ed educazione… fino alla fine.

(Maria Antonietta, che senza più trono né corona, non smise nemmeno sul patibolo di essere una Regina)

Storiche le parole di un’altra grande grandissima donna morta ghigliottinata in quel periodo in Francia dove tutti quanti, chi più chi meno, “persero la testa”. Trattasi della drammaturga OLYMPE DE GOUGES. Dunque non una regina, bensì una rivoluzionaria, attivista e femminista che credeva che la donna dovesse avere gli stessi diritti dell’uomo, e lo ribadì pure in punto di morte: «Le donne avranno pur diritto di salire alla tribuna, se hanno quello di salire al patibolo». E lo disse salendo il patibolo. Che donna straordinaria!

(Grazie, Olympe, per il tuo impegno e la tua lotta)

Pure al politico e rivoluzionario francese GEORGES DANTON, dopo aver fatto tagliare la testa a tante gente, toccò la medesima sorte: lui al boia, lì sul patibolo, non esitò a dire qualche parolina: «Non dimenticare di mostrare la mia testa al popolo: ne vale la pena!». Che uomo spiritoso davvero! Certo che il boia dell’epoca, CHARLES-HENRI SANSON, ne avrà avute di cose da raccontare agli amici!

(E voi che ne dite? Ne valeva poi davvero la pena, questa testa?)

Eroica ed elegante la fine molto composta di un campione di raffinatezza quale l’imprenditore e magnate statunitense BENJAMIM GUGGENHEIM (padre di quella che sarà la grandissima mecenate e collezionista d’arte PEGGY GUGGENHEIM): lui fu una delle vittime del Titanic. Quando seppe che la nave stava affondando, scelse di lasciare il suo posto sulle scialuppe a donne e bambini e si rifiutò di indossare il giubbotto di salvataggio decidendo in che modo avrebbe atteso il momento finale. La filmografia e l’aneddotica si sbizzarriscono, ma le sue ultime parole dovrebbero essere state qualcosa del tipo: «Ho indossato il mio abito migliore e sono pronto ad affondare da gentleman: però gradirei un brandy!». E se ne andò come aveva sempre vissuto: con addosso un frac e sorseggiando il suo brandy! Perfettamente coerente con quella che fu la sua esistenza. Un eroe, un gentiluomo!

(Dal film di James Cameron del 1997 “Titanic”: Benjamin Guggenheim, interpretato da Michael Ensign, nel momento in cui rifiuta il giubbotto di salvataggio e chiede il suo brandy)

Apprezzabile la calma lucida del filosofo prussiano IMMANUEL KANT nel momento del suo ultimo addio: “Es ist gut”. Tradotto: «Va bene».

(Per Immanuel è okay!)

Commoventi e assolutamente romantiche le ultime parole di due uomini molto ma molto diversi tra di loro, il monumentale Imperatore Francese e Conquistatore d’Europa NAPOLEONE BONAPARTE e l’iconica star del baseball americano più famosa di tutti i tempi JOE DIMAGGIO. Due personaggi grandiosi ma provenienti da due campi nettamente diversi, che però non pensarono all’Impero o allo sport nel momento in cui se ne andarono. Ma al grande amore della loro vita. Per il primo GIUSEPPINA DI BEAUHARNAIS, per il secondo MARILYN MONROE. Ambedue ebbero la fortuna di essere stati sposati al loro amore, entrambi ebbero la sfortuna di separarsene quand’erano ancora in vita, e infine entrambi le videro morire sopravvivendo a loro. «La Francia, l’esercito, il capo dell’esercito, Giuseppina!» disse Napoleone quel 5 Maggio 1821 (data resa celeberrima dall’ode composta dal magnifico ALESSANDRO MANZONI!), esiliato laggiù all’isola di Sant’Elena, relegato ai confini del Mondo, mentre elencava quello a cui aveva tenuto di più in vita. Arrivando, proprio nel finale, a ciò che di più importante avesse avuto. Dopo aver spedito sei rose rosse ogni settimana, tre volte a settimana, per più di trent’anni, sulla tomba della Monroe, nel momento di lasciarci Joe disse: «Vado finalmente a rivedere Marilyn». A dimostrazione che siamo tutte persone diverse, che fanno cose diverse, che sia essere Imperatori o giocatori di baseball, ma alla fin fine siamo tutti la stessa cosa: esseri umani che amano. A riprova che certe cose non muoiono mai.

(Da sinistra a destra: Napoleone con la sua Giuseppina, Joe con la sua Marilyn)

Basta, ora mi fermo qui. Lo ammetto: sono un malato affetto da disturbo ossessivo compulsivo per le ultime parole, ne sono un grandissimo ammiratore e sostenitore, ne conosco a bizzeffe di storie del genere! Tuttavia, quando mi ci soffermo a pensare troppo, v’è un raccontino che mi torna sempre in mente. E dinanzi al quale pure io, che delle ultime parole sono un così grande fan, non posso fare a meno di applaudire. L’autore è lo scrittore e presbitero italiano BRUNO FERRERO. Il protagonista è un cavaliere dissoluto e depravato che conduce un’esistenza riprovevole all’insegna del vizio. Non hai paura di come il buon Dio ti giudicherà una volta che sarai al Suo cospetto?, gli chiedevano. Ma lui non aveva alcuna paura, perché diceva che in punto di morte avrebbe dedicato le sue ultime tre parole a Gesù. Magari avrebbe detto qualcosa come: Cristo, pietà, perdonami. Su quello stile, ecco. Non correva rischi quindi, la salvezza eterna era garantita. Poi una sera, durante un terribile temporale, nel mentre che si recava ad una festa, il suo destriero fu colto di sorpresa da un fulmine e così quello si sbizzarrì e disarcionò il cavaliere, che cadde nelle violente acque del fiume in piena accanto al quale cavalcava. Prima di morire, pronunciò le sue ultime tre parole: «Crepa, bestiaccia infame!». Stava parlando al suo cavallo.

Vedete, Care Amiche e Cari Amici, la verità, la sola e unica vera verità alla quale dobbiamo arrenderci, tutti noi amanti delle parole finali, è la seguente:

Le ultime parole avranno pure un che di romantico, o affascinante, oppure enigmatico. Ma non valgono niente se prima non c’è stato niente. Potremmo pure passare una vita intera a scegliere con cura le nostre parole conclusive, ma se non c’è stata una vita intera prima, quel finale non varrà nulla. Quindi, piuttosto che pensare alla Fine, scegliamo di occuparci di quello che c’è prima, e di occuparcene bene. Al finale penserai alla fine, è l’ultima cosa a cui devi pensare e, anzi, magari sarai così fortunato che non avrai neppure il tempo di doverci riflettere. Preoccupati invece di dare un senso e un significato a quello che c’è Oggi, all’essere Qui e Ora e Adesso, Subito, in Questo Momento: e goditelo, goditelo in tutta la sua folle, appassionata, pazzesca Bellezza.

Questo è l’augurio che mi sento di farvi, giunti alla fine di quest’anno. Confuto e contraddico dunque il grande Mark Twain, citato in apertura: le ultime parole… lasciatele all’ultimo momento. Vivete la vostra vita, rendetela piena e felice, e non state a perdere tempo pensando a quanto il prossimo anno sarà migliore di questo… ma rendete questo qua il vostro anno migliore. Anche se mancano poche ore alla mezzanotte e l’anno sta per finire. Fregatevene della Fine, pensate a quello che c’è adesso e gustatevelo fino in fondo (NON fino alla fine)!

Vi voglio bene, e ve ne voglio fin da ora: e il piacere di volervi bene non me lo riservo alla fine, no di certo, io questo piacere me lo assaporo da ora, e ogni giorno!

Desideri leggere di un altro tipo di Finale? Allora pigia qua sopra!!!

L’ultimo dell’anno, la fine di un ciclo: ti piacerebbero dei consigli squisitamente leopardiani in merito? Premi qua!!!

Finali, conclusioni ed epiloghi: ti intrigano? Clicca qua sopra e vedi dove ti porta!!!

Ma quanto ci piacciono e quanto amiamo le Parole? Premi qua!!!

Le parole e il loro significato recondito: trattasi di un tema che potrebbe appassionarti? Pigia qui!!!

Se ti interessano altri augusti articoli facenti parte della nostra specialissima rubrica “L’Augusto Editoriale dell’Augusto Direttore”, clicca qua!!!

Mercuzio and Friends è un collettivo indipendente con sede a Torino.

Un gruppo di studiosi e appassionati di cinema, teatro, discipline artistiche e letterarie, intenzionati a creare uno spazio libero e stimolante per tutti i curiosi.

Scopri di più →

GO TO TOP