DI ALBERTO GROMETTO
Quanto ci piacciono le Storie?
Tutta la nostra Vita è un racconto, una storia, una narrazione. Lo è, proprio perché non lo è! Mi spiego meglio.
La Vita fa schifo. E su questo siamo tutti d’accordo. È insensata, inutilmente dolorosa, pure parecchio noiosa, direi anche fastidiosa, insomma: un sacco di -OSA!
Oltre che essere piena di domande e interrogativi i quali, perlopiù, rimangono senza risposta.
Perché sono nato basso?
Perché il mio migliore amico è mancato?
Perché il 12 Marzo 2021 doveva capitare proprio a me quella cosa brutta brutta che m’ha rovinato la vita fino alla fine dei miei giorni?
Perché? Perché? Perché?
Beh, la cosa davvero dura e difficile e tremenda e orribile e orrida da accettare e con cui scendere a patti è che a volte una spiegazione non c’è, non esiste. Semplicemente è così, e basta.
Ed è proprio per questo che la Vita e le Storie sono due robe molto diverse tra loro. Per non dire: incompatibili. La nostra Vita non è per niente come un racconto, e questo perché, per quanto una Storia possa essere mascherata e nascosta e oscura, in essa tutto trova un senso.
Questo è il motivo per cui trascorriamo la Vita tra una narrazione e l’altra: le serie tv che guardiamo, i film che andiamo a vedere al cinema, i libri che leggiamo… sono tutte Storie, racconti, favole! C’è chi direbbe (e non a torto): FINZIONI! Cioè cose che nemmeno esistono.
Eppure, a chi mi chiede che preferisco tra una Storia e la Vita, io so benissimo cosa rispondere. Senza alcuna esitazione, senza dubbi.
Preferiresti vivere la Vita così come la conoscono tutti o vorresti invece abitare dentro un film, un libro, una sceneggiatura teatrale?
Io scelgo la seconda opzione. Io scelgo di vivere dentro una Storia tutta la vita!
Ma qui ora viene il grosso inghippo. Il più grosso degli inghippi, mi verrebbe da dire.
E cioè: che per quanto le Storie siano sempre migliori della Vita Vera, non esiste Storia che viva senza la Vita Vera.
Senza Vita Vera, non v’è alcuna Storia. Le Storie esistono perché prima esiste la Vita Vera.
CHE COSA???
Sì, proprio così!
Il compianto ed eterno e immortale GIGI PROIETTI diceva: «Benvenuti a Teatro, dove tutto è finto ma niente è falso!». Beh, Gigi aveva ragione.
Vi è una una teoria secondo cui tutto quello che scrive un autore è in realtà autobiografico. E che la finzione consiste in realtà nel prendere fatti veri, cose che ti sono capitate, sentimenti che in realtà conosci molto bene perché li hai vissuti… e camuffarli, nasconderli, farli sembrare “non tuoi”.
Esempio: JOHN R. R. TOLKIEN non ha mai visto un hobbit in vita sua, né si è mai ritrovato a fumare l’Erba Pipa con Gandalf! Però sa benissimo cosa significhi combattere in guerra, vivere lontano da casa e col pericolo costante di crepare ucciso, guardare ogni giorno la Morte in faccia senza sapere se avrebbe mai avuto la fortuna di rivedere la sua terra. Ed è questo quello che lui ci racconta nel capolavoro mastodontico noto come «IL SIGNORE DEGLI ANELLI»: ci narra della sua dura e cruda esistenza durante la Prima Guerra Mondiale. Gli elfi, i nani, le magie, gli orchi, e quel simpaticone di Gollum sono tutte cose che non esistono nella Vita Vera ma che, in realtà, forse, tutto sommato, dopotutto, esistono in qualche modo o misura. O che comunque, pur non esistendo, sono vere.
Se ci pensate bene, del resto, non esistono Storie in cui non capiti “una cosa brutta”. Ci avete mai fatto caso? Non vi è alcuna Storia, se non succede qualcosa di brutto. Quello che in narratologia si chiama: “IL CONFLITTO”. Tutte le Storie, anche quella più colorata e allegra e spensierata in cui tutto è rosa e c’è zucchero filato in ogni dove e via dicendo, per “cominciare” hanno bisogno che qualcosa di brutto avvenga. Deve capitare qualcosa di brutto, perché la Storia abbia inizio. Una Storia in cui tutto quanto vada bene non c’è.
Ed è per questo che le Storie sono belle, rassicuranti, quanto di più meraviglioso ci sia.
Perché il punto non è fingere che le cose brutte non esistano. Il punto è raccontare quel brutto, guardarlo in faccia, averci a che fare… ma donargli un senso. Se quella cosa brutta brutta mi doveva capitare, posso almeno tentare di raccontarla. E raccontandola sarà meno brutta. E se non meno brutta, quantomeno avrà avuto un significato. E forse, addirittura, quella cosa brutta brutta mi doveva succedere proprio perché la potessi raccontare.
E anche se a nessun altro al mondo è accaduta quella cosa brutta brutta così come è capitata a me, ognuno di noi qualcosa di così brutto lo ha vissuto e tutti quanti nel sentire la mia storia possono ritrovarsi, rivedersi, provare quel che ho provato io. E provando tutti insieme quel sentimento, tutti noi diventiamo “Noi”. Sì, le Storie hanno anche questo potere: creare legami, annullare le distanze, unire la gente.
Raccontare una Storia significa guardare in faccia il proprio dolore, prendere la propria sofferenza, scendere a patti con le proprie ferite e donare loro un senso che forse nella Vita Vera manco esiste. Ma in una Storia, ecco!, comincia ad esserci. E quella finzione diventa vera verità più reale della realtà stessa. E tutto torna ad avere un significato. O forse acquisisce un significato per la prima volta.
Prima abbiamo detto che il punto, per un autore, è prendere solo quelle cose che conosce molto bene e raccontarle, pur camuffandole, facendole sembrare cose “non sue” ma che riguardano ognuno di Noi. Il fatto però è che, a furia di farle sembrare cose “non sue” ma di tutti quanti, l’Autore deve accettare che quelle cose diventino effettivamente di tutti quanti e non più appartenenti solo a lui. Questo è l’eterno ossimoro e dolorosissima contraddizione del lavoro del Narratore.
In uno dei capisaldi mondiali della narrazione umana, e cioè «IL GIOVANE HOLDEN» scritto da JEROME DAVID SALINGER, viene formulato il seguente pensiero dal protagonista, nonché voce narrante del romanzo. Trattasi peraltro delle parole con cui viene chiuso il libro.
«È buffo: non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti».
Ecco, il fatto. È pazzesco, incredibile, micidiale! L’Essere Umano racconta Storie dall’alba dei tempi per stare meglio, per scendere a patti col fatto che la sua Vita faccia schifo, per stare bene. Le racconta, perché una Storia, anche la più brutta, è sempre meglio della Vita. Però le Storie, senza la Vita, non esistono. Perché, anche se migliori, le Storie ti raccontano la Vita e non possono prescindere dalla Vita. E inoltre una Storia esiste solo se capita qualcosa di brutto, altrimenti non c’è Storia. E per di più, come se non bastasse, quando racconti una Storia, quei fatti, quelle ambientazioni, quei personaggi che erano interamente tuoi… smettono di esserlo. Diventano “di altri”. Smettono di appartenere solo a Te. E ti mancano. Pensate alla «DIVINA COMMEDIA» del Sommo Poeta DANTE ALIGHIERI! Ma secondo voi può un uomo solo aver davvero visto nella sua storia tutto quello che, in settecento anni, ci stanno continuando a vedere generazioni intere di studiosi, letterati e critici? Certo che no! Ma questo non significa che non ci sia. Però allora a questo punto lo stesso Dante deve accettare che l’opera di Dante non è più solamente di Dante.
Insomma: alla fine le Storie nascono dalla Vita Vera (che è brutta), accadono solo se capita qualcosa di brutto (sottolineiamo: di brutto) e per di più una volta raccontata non t’appartengono più (il che è una sensazione… bella? No, sbagliato: brutta!). Ma allora perché continuiamo a raccontare Storie? Non ditemi che non esiste un perché, che forse una spiegazione non c’è, manco esiste. E invece no, un motivo c’è. E il motivo è che quella cosa così brutta è bellissima. Tra le cose più belle che abbiamo, a dire il vero. Esistessero cose brutte così belle come… come raccontare una Storia!
Se credi nel Potere delle Storie e del Racconto, non puoi non leggere questo articolo!!!
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Perché raccontiamo Storie? Pigia qua e, forse, lo scoprirai…