DI EDOARDO VALENTE
Ebbene sì: che ci si creda o no, la cosa migliore che si può fare in vista del Capodanno è proprio parlare di Giacomo Leopardi.
Ritirate sopraccigli alzati, espressioni annoiate, risatine di spavalderia.
Il motivo sarà presto spiegato.
Innanzitutto: spero che chiunque stia leggendo queste parole non consideri Leopardi semplicemente un triste poeta, un depresso, o chissà quali altri di questi termini.
Se, invece, qualcuno con questa idea c’è, se la tolga subito dalla testa.

Non c’è persona più indicata di Leopardi per capire come essere felici. Strano a dirsi, dato che si parla di un pessimista. Eppure, egli non è approdato al suo pessimismo per partito preso, perché non aveva di meglio da fare; ci è arrivato dopo il fallimento della sua ricerca di felicità.
Nessuno cerca per sé l’infelicità, ma, spesso, chi sembra ricercare la felicità nella sua versione più autentica, cade in una grande delusione, proprio perché tale felicità è illusoria.
L’illusorietà di questo sentimento è insita nell’attesa e nella speranza.
Si pensi alla celebre poesia Il sabato del villaggio.
Come da tradizione degli idilli, Leopardi inizia descrivendo un quadretto pastorale, con la famosa donzelletta che vien dalla campagna, portando i fiori per adornarsi a festa, le vecchiette, l’aria della sera; e poi, ancora, i fanciulli, lo zappatore, il falegname.
Tutte le figure presentate sono accomunate da una certa serenità (chi più, chi meno) per il fatto che l’indomani sarà domenica, il giorno di festa.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
Sono sempre i suoni lontani, in Leopardi, a connotare di emozione i suoi componimenti. E dunque, c’è aria di festa.
Ma non sarà la domenica ad essere il vero e proprio giorno felice, bensì il sabato, che viene vissuto nell’attesa della festa che verrà.
Riferito al sabato, Leopardi scrive:
Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Il problema che lui individua nell’atteggiamento di noi umani è proprio questo: non sappiamo godere del giorno di riposo e di festa per riposarci e festeggiare, ma ci culliamo nella speranza che condiziona il giorno precedente.

In un passo dello Zibaldone, egli riflette su ciò:
“Il piacere umano si può dire ch’è sempre futuro, non è se non futuro, consiste solamente nel futuro.”
Questo è ciò che facciamo anche in occasione del Capodanno.
Non tanto perché è un giorno di festa, ma perché preannuncia l’arrivo di qualcosa che speriamo essere sempre migliore.
Com’è possibile?
Certo, ognuno vorrebbe che la vita migliorasse sempre di più, ma è evidente (anche se non troppo) che non è certo a causa di un giro in più fatto dal nostro pianeta attorno a una stella, e cambiando il numero ad un calendario di nostra invenzione, che le cose potranno andare meglio.
Così come nella poesia di Leopardi, di sabato si aspetta la domenica per gioire, ma alla fine la domenica si pensa già al fatto che il giorno seguente si tornerà a lavorare; allo stesso modo, noi pensiamo che l’anno successivo ci porterà del bene.
Scatta una mezzanotte uguale a ogni altra (tranne per i botti) e magicamente noi iniziamo a fare tutto ciò che abbiamo rimandato, ascoltiamo oroscopi per capire se “è il mio anno”, ci facciamo leggere i tarocchi, la mano, le piante dei piedi, ecc.

Ma, ovviamente, non serve a nulla.
No, non serve neanche mettersi le mutande rosse e mangiare lenticchie.
Incredibile, vero?
E allora, perché fare tutto ciò?
“Ecco”, direte, “anche tu sei come quel triste Leopardi, e non capisci che lo si fa per festeggiare, stare in compagnia, divertirsi. Perché non torni a ingobbirti sui tuoi libri?”
Ci tornerò, ma prima lasciatemi dire che ha ragione Leopardi.
Perché continuiamo a rimandare la felicità?
Cosa avrà l’anno prossimo che quest’anno non aveva?
Perché non ci si poteva iscrivere in palestra in uno qualsiasi dei mesi passati, e invece si vuole aspettare proprio l’anno prossimo?
Con questo atteggiamento da “sabato del villaggio” non si fa altro che sperare in ciò che verrà, senza considerare ciò che già si può fare, il presente che è necessario modificare adesso, affinché il futuro sia come lo si è sperato: migliore.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
La stagione lieta non è la prossima, non è domani: è oggi.
Leopardi da un lato ci insegna che la felicità è solo un’illusione sul futuro, ma dall’altro, sottilmente, ci sta anche dicendo che è inutile sperare, perché l’importante è godere di quello che già abbiamo.


E se c’è qualcosa che ancora non abbiamo, è bene iniziare subito ad agire per arrivare a quell’obiettivo, senza aspettare l’anno prossimo.
Tanto non sarà neanche quello il tuo anno, ma te ne accorgerai solo alla fine, quando sarà troppo tardi per cambiare, ma giusto in tempo per sperare che l’anno prossimo sarà il tuo anno.
E poi, se si considera che secondo il pessimismo leopardiano ogni anno che passa sarà peggiore del precedente (poiché ci si allontana dalla felicità dell’infanzia), allora, a maggior ragione, conviene approfittare dell’anno corrente, perché non si può sapere quanto le nostre speranze verranno infrante.
Insomma: come sempre accade in occasione delle festività, ci si adagia sulla tradizione, su ciò che si è sempre fatto, continuando a confidare che la felicità arriverà da sola, se non quest’anno il prossimo, o quello dopo, o quello dopo ancora.
Non è straordinario, invece, pensare che la felicità può esserci fin da subito?
No, non basta volerlo; però sì, è importante volerlo, è fondamentale.
Senza abbandonarsi alla speranza, ma dedicandosi alla sua realizzazione.
Non si può vivere in eterno nell’attesa di qualcosa che non faremo mai arrivare, perché anche quell’attesa speranzosa sarà privata di ogni sua illusoria felicità.
Aspettare è inutile, se lo si vuole davvero si inizia in qualsiasi momento, altrimenti si stanno solo inventando delle scuse.
È questo il miglior consiglio leopardiano per un Capodanno felice.
Ovvero, che il vero Capodanno di ognuno, il momento della svolta in positivo, può essere in qualsiasi momento dell’anno: basta volerlo.
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