DI ALBERTO GROMETTO
L’Umano è un essere che per sua stessa natura crea. Non esisterebbero Arte, Cultura e Bellezza altrimenti! Non esisterebbero, ad esempio, i grandi romanzi che hanno fatto la Storia, i grandi bestseller entrati di prepotenza nell’immaginario collettivo. Ma la Scrittura, intesa non solo nel suo senso classico ma riflettendo su essa come “processo creativo”, “atto di creazione”, “operazione narrativa”… permea molte delle nostre azioni, professioni e attività quotidiane.
Hai un esempio? Ce ne ho uno lampante! E cioè: la Pubblicità, l’Advertising, il Marketing.
Credo che a tutti (o quasi), al sentire il solo nome di ERNEST HEMINGWAY, venga subito alla mente una data scena oppure un personaggio o un’ambientazione particolari. Insomma: un’immagine.

Lo stesso non si può dire del meno conosciuto WILLIAM “BILL” BERNBACH.
CHI???, dirà la maggior parte tra voi.
Eppure anche Bill lavorava di immagini, con immagini, per immagini.
Solo che Ernest era uno scrittore, lui un pubblicitario.

Però, sebbene sulla carta possa non sembrare, queste due professioni non sono così dissimili come si potrebbe credere. Trattasi anzi di due mestieri molto più simili e vicini tra loro di quanto si pensi: perché entrambi questi lavori hanno a che fare con la stessa cosa. E cioè capire cosa vogliono le persone e cosa provano.
E non credete che finiscano qui le somiglianze tra le professioni di Ernest e Bill. Altro punto in comune: ambedue vogliono far soldi. Sì, lo so, sembra prosaico detta così, soprattutto considerando che il mestiere dello scrittore è una professione artistica. Ma, a dire il vero, pure la pubblicità è una nobile forma d’Arte, come vedremo più approfonditamente nel prosieguo dell’articolo. Però resta il fatto che alla fine tutti e due puntano comunque anche a quello: portarsi la pagnotta a casa!
Hemingway appartiene alla cosiddetta “Generazione Perduta”, Bernbach alla seconda dei pubblicitari che trainarono l’America nel Post-Boom economico.
Ernest, nato nel 1899, fu uno di quei ragazzi che compì 18 anni sul fronte, durante la Prima Guerra Mondiale. Dopo gli anni ’50, nei quali la pubblicità negli USA esplose e la società a stelle strisce divenne consumistica e materialista, Bill operò negli anni ’60 segnando la sua epoca e attuando una vera e propria rivoluzione nel suo campo.
A cosa ambiscono tutti e due, soldi a parte? Cosa hanno in comune?
Entrambi fanno un lavoro innanzitutto in solitaria. Anche quello del pubblicitario, che pure è considerato un mestiere “da team”, consta di una prima fase in solitudine, quella in cui nascono idee. Vincenti o perdenti, questo è da vedere.
E tutti e due, alla fin fine, hanno come obbiettivo quello di unire le persone a dispetto delle distanze e delle differenze, di unificarle, rivolgendosi a quanta più gente possibile e facendo provare a tutto il loro pubblico quello che vogliono provi.
Un esempio per ognuno dei due?
Nel 1940 Ernest Hemingway scrisse il romanzo bellico «PER CHI SUONA LA CAMPANA», il cui titolo si rifà ad uno dei più celebri passi mai realizzati dal poeta e saggista e religioso inglese John Donne, vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento, e che in questo suo sermone diceva:
«Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te».
Negli anni ’60, l’azienda automobilistica tedesca della Volkswagen si rivolge al gruppo della DOYLE DANE BERNBACH (DDB), con sede a New York, nella bella Manhatthan, tra le più grandi agenzie pubblicitarie dell’epoca e di cui Bill è appunto uno dei fondatori. Ne venne fuori una pubblicità rivoluzionaria capace di cambiare il mondo per il suo coraggio nell’andare completamente controcorrente.
Sia Hemingway sia Bernbach si sono ritrovati a doversi misurare con quella che ritenevano una profonda intuizione sulla verità delle cose e ci hanno costruito intorno le loro opere.
Ernest parte dalla citazione di Donne, e che ritiene profondamente vera, a dispetto delle guerre e della morte e del dolore che hanno attraversato la sua esistenza, e anzi forse proprio per questo: lo scrittore si rende effettivamente conto che quando muore un essere umano, è l’umanità intera a morire, a perdere qualcosa che non tornerà più.

E anche se durante la sua epoca i Paesi, le Nazioni, il Mondo non sembravano altro che desiderare conflitti e guerre, questa verità permea le pagine scritte da Hemingway, pagine sofferte e che raccontano una storia altrettanto sofferta e dagli echi autobiografici. E tutto parte da quelle poche, sublimi, bellissime parole che molto semplicemente affermano che l’essere umano non è un’isola a sé, ma tutti quanti Noi siamo “insieme” in questo mondo complicato e in questa vita infernale assai.
Dall’altra parte abbiamo Bernbach, che veniva dagli anni ’50, il momento del BOOM economico, il periodo nel quale l’America venne abituata a ragionare in grande e a pensare che vivere americano significasse vivere “alla grande”, e così quando gli si presenta la casa automobilistica tedesca che invece ha messo a punto il piccolo Maggiolino… lui che fa? Ha l’intuizione della vita, attorno alla quale crea tutta la straordinaria campagna di Volkswagen. Anche qui bastano poche, semplici parole ad esprimerla: THINK SMALL. Pensa piccolo.

Pensare in grande non è il solo modo di pensare né è detto che sia il migliore, ma talvolta (anche spesso) è preferibile pensare in piccolo. E così Bill ti realizza una pubblicità in cui l’immagine della macchina a colori non occupa tutto lo spazio nella sua immane grandiosità come facevano tutti in quel periodo, ma è invece piccola, in bianco e nero e collocata in alto a sinistra, nel mezzo di uno sfondo completamente bianco. Così da costringerti inoltre a leggere tutto quello che vi è scritto per capire perché diavolo è stata messa lì.
In un momento nel quale gli Americani spendevano e spandevano per i grossi macchinoni potenti, nessuno voleva più il piccolo Maggiolino che, entrato in crisi, rimaneva invenduto. Bill, anche a costo di prendersi miserie e critiche da tutti i suoi colleghi, decise di realizzare qualcosa che fosse quanto di più lontano possibile dall’immaginario dominante americano in cui il maxi e lo smisurato la facevano da padroni. E alla fine chi la spuntò quando nel 1961, a causa del mercato più che saturo, vi fu un crollo paradossale delle vendite delle automobili? Proprio la Volkswagen che, mentre quell’anno tutti i grandi marchi chiusero con numeri disastrosi, vendette 150.000 Maggiolini. Capite quanto quella di Bernbach fosse stata una mossa rivoluzionaria sia dal punto di vista tematico quanto stilistico?
Torniamo a loro due, Ernest e Bill. Da una parte il Premio Nobel per la Letteratura. Dall’altra il Titanio di Cannes, che è il premio a cui ambisce ogni persona che lavora nell’industria dell’advertising. Dunque entrambi hanno a che fare con la creatività, ambedue creano, la creatività resta alla base del loro mestiere. E tutti e due, al di là dei soldi e delle fama, fanno quello che fanno perché vogliono farsi ascoltare, per cercare di costruire significato e per far sì che ciò che significa per loro e di cui costruiscono il significato significhi anche per chi ascolta, o meglio, per chi riescono a convincere ad ascoltarli.
Se non siete ancora convinti di come e quanto la Pubblicità sia Arte, vi racconto di un’ultima storia. Pardon: volevo dire… “un’ultima campagna pubblicitaria”. Chissà come, ma ho confuso “campagna pubblicitaria” con “storia”. Forse perché le campagne pubblicitarie sono narrativa. Narrativa che, proprio come la Letteratura, attraverso l’inscenare qualcosa diventa tanto più autentica e sincera se si basa sul racconto di una verità propria del mondo reale.
Voi siete esperti di compagnie d’autonoleggio americane? Probabilmente no. Beh, nemmeno io. Personalmente, come tutti quelli che hanno almeno una volta nella vita affittato un’auto, conosco solo il mega-colosso americano della Hertz, la più grande azienda al mondo nel ramo dell’autonoleggio: la numero uno!!! E poi… poi conosco la AVIS. È la seconda compagnia di autonoleggio al mondo. La numero due. Viene dopo la Hertz. È dal 1946 che la Avis viene dopo la Hertz. È da quasi un secolo che la Avis viene dopo la Hertz.

Oggi si dice che tutto il mondo sia pubblicità. Certo, esiste tanta bella pubblicità e tanta pessima pubblicità. Ma Bill Bernbach fece GRANDE PUBBLICITÀ. Lui ancora oggi è sicuramente la più importante e influente figura nella storia della Pubblicità. Fu un pubblicitario umanista, un creativo, l’uomo che ha fatto del linguaggio pubblicitario un linguaggio di civiltà. Secondo lui il compito di ogni COMUNICATORE era quello di CONSEGNARCI UN SIGNIFICATO, UN MESSAGGIO. Seppe raccontare profonde verità, fatto già di per sé straordinario per una pubblicità. Ma lui, dimostrando un talento mostruoso, una mente brillante e delle capacità uniche, raccontò tali verità con un’originalità, una fantasia e una freschezza IMPRESSIONANTI.
Grazie alla sua agenzia, egli trasmise i suoi preziosi insegnamenti a tanta, tanta gente, tra cui una delle più grandi copywriter donne della storia, un genio, una fiera tipa tostissima che lottò e vinse in un ambiente fortemente maschilista durissimo per le donne. Si chiamava PAULA GREEN e lavorò proprio per la Dale Doyle Bernbach. Lei creò quella che forse è e rimane la più grande campagna pubblicitaria della storia, un modello per tutti noi: ed è qui che entra in gioco la Avis!


Nel 1962 l’autonoleggio Avis stava per chiudere, aveva l’acqua alla gola, era giunta al capolinea. Soffriva troppo della concorrenza della NUMERO UNO, l’immensa Hertz, che si mangiava tutto il mercato. La Avis aveva bisogno di aiuto, altrimenti sarebbe stata la fine. E così arrivò la Green, che inventa per loro la più grande campagna pubblicitaria della storia e che consiste semplicemente… nel dire la verità. La Avis dichiara pubblicamente che cosa sia: solamente il numero due!!! Noi di Avis siamo solo i numeri due nel noleggio auto. Allora perché venire da Noi? Perché Noi ci mettiamo più impegno. Quando non sei il numero uno, devi farlo, devi sudare di più, impegnarti di più.
NOI CI IMPEGNIAMO DI PIÙ!!!
WE TRY HARD!!!
Quando si è solo il numero due, devi mettercela tutta, e anche di più. La Avis annunciò e gridò che lei mica poteva rilassarsi, lei doveva sempre stare attenta alla qualità, doveva prestare attenzione ai clienti, non potevano mica permettersi errori o pasticci loro, altrimenti il “pesce grosso” della Hertz li avrebbe divorati. Da loro quindi c’era più attenzione verso il cliente, code più veloci, una cura più meticolosa.


La Avis non può permettersi posaceneri sporchi, perché loro sono solo i numeri due. Non può permettersi macchine non lavate, perché loro sono solo i numeri due. Non può permettersi di non essere gentile, perché loro sono solo i numeri due. Era un modo di vedere le cose che cambiava completamente la prospettiva: Paula Green fece della più grande debolezza dell’Avis, e cioè essere solamente il numero due, un punto di forza!!!
Qui sta la grande innovazione di Bernbach: la verità è un lavoro di scavo autentico e un’azienda o un’impresa può esibire le proprie debolezze e fragilità con grande onestà dinanzi al mondo intero mettendo sinceramente in mostra i propri difetti. C’è un motivo se Avis, allora ad un passo dal fallimento, oggi è ancora viva e assolutamente famosa e conosciuta, a distanza di quasi un secolo. Grazie a quella campagna non solo Avis si salvò, ma in pochissimo tempo raggiunse Hertz. Sapete, ancora oggi la Hertz è la Numero Uno. Ma la Avis è ancora lì, dopo un secolo, al secondo posto, a tallonarla, a inseguirla a ruota. Era davvero una profonda e autentica verità quella che raccontò questa campagna: i numeri due sono quelli che devono impegnarsi e mettercela tutta per poter riuscire, quelli che devono sopravvivere e quindi si attaccano alla vita con le unghie e con i denti, sono gli svantaggiati, quelli che vengono dopo, sono i perdenti. Sono quelli che devono impegnarsi di più perché sono solo e sempre i numeri due.


Si può dire a chi è ossessionato dall’idea di dover essere il più grande, di dover essere al primo posto, che invece è meglio pensare in piccolo ed essere il numero due. E lo si può dire anche se questo significa andare contro quello che dicono tutti quanti. Se tu hai ragione e gli altri torto, sono cavoli loro!
Vedere le cose in maniera diversa, le rende diverse.
Pensare in piccolo rende grandi.
Ed essere i Numeri Due è da Numeri Uno.
Questo è possibile: basta solo pubblicizzarlo bene.


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