DI ALBERTO GROMETTO
«Quest’uomo è un BOMBER!!!» esclamò il mio caro amico Paolito nel mezzo della visione.
Ma cos’è un Bomber? Il Bomber in origine era il pilota degli aerei bombardieri, e cioè quelli utilizzati in guerra per sganciare bombe sopra gli eserciti nemici. Quelli che andavano in giro col giubbotto di pelle imbottito, con tanto di pelliccia sul collo (giubbotto chiamato appunto “bomber”). Quelli che dovevano centrare sempre il bersaglio. Quelli che non potevano sbagliare. Mai. Il termine è poi passato, in ambito calcistico, a indicare la figura del cannoniere, di quello che fa sempre goal, l’eroe idolo del cuore a cui tutti i tifosi guardano con ammirazione. Ad oggi con questa parola, oramai sdoganata e largamente utilizzata, ci si riferisce ad una figura di successo, destinata al trionfo e al plauso della folla, un leader, qualcuno che riesce a centrare tutti i gli obbiettivi. In sostanza: un Vincente.
Paolito ha ragione, Napoleone fu un Bomber. Ma non fu la Perfezione. Fu un Vincente, però fu anche uno dei più grandi Perdenti che mai ci sono stati. Cambiò la Storia, ma non era un dio. Ripetiamolo ancora una volta: Non era un dio.
Nell’immaginario collettivo, il Generale e poi Imperatore Bonaparte è da sempre rappresentato come una simil-divinità dal potere sconfinato e capace di tutto. Ma così non era, ci dice «NAPOLEON». Se credevate di trovare un film che fosse carico di epicità o trasudasse leggenda da ogni suo poro, non è questa la pellicola che fa per voi. Il fenomenale regista RIDLEY SCOTT, che pure è celeberrimo Maestro di Racconti Epici e Leggendari, decide qui di mostrarci l’Uomo che ha Conquistato l’Europa come mai visto prima, e cioè come un essere umano in tutta la sua goffaggine e ridicolaggine, ma anche tenerezza e dolcezza.

La visione di Scott ha un obbiettivo preciso. L’intento è quello di restituirci un’immagine di Napoleone completamente diversa da quella a cui siamo tutti stati abituati: non è un dio sceso in terra, ma un uomo con tutte le sue debolezze e fragilità e dolori e contraddizioni e paure. Non emana Grandiosità o Autorità qualsiasi cosa dica o faccia, non terrorizza con un solo suo sguardo, non ci fa cadere a terra in ginocchio con un solo gesto della mano. È anzi tutto il contrario. Per tutto il film, quel Mostro Sacro d’Attore (lui sì che è divino per come recita!) di Joaquin Phoenix strilla, urla, grida, batte i piedi, fa i capricci, si lamenta, piagnucola, grugnisce, sembra quasi un bimbetto. Talvolta ci inquieta un pochino, talvolta ci fa ridere, talvolta ci commuove.
Qui sta l’intuizione, originale e pazzesca insieme, alla base dell’intera operazione narrativa attuata da Scott e Phoenix: mettere in scena la Grandezza di Napoleone attraverso il racconto della sua Piccolezza. Le battaglie ci sono, e sono epocali e gloriose, come solo Scott poteva filmarle. Ma non sono il punto focale del film. Il vero punto è lui, l’uomo, il Napoleone che dà il titolo alla pellicola e del quale ci vengono donati tanti piccoli momenti, disarmanti nella loro semplicità. Non solo ci viene mostrata la sua piccolezza, ma essa ci viene raccontata attraverso il piccolo. Sono minuscoli, semplici momenti, in mezzo ai tanti eventi epocali narrati, a fare il suo personaggio e determinare la sua storia.

È il suo urlare grugnoso che sputa in faccia all’ambasciatore inglese quando non accetta le sue proposte di pace: Voi fate così solo perché c’avete le navi più belle!
È il suo sbuffare lagnoso quando gli dicono che stanno arrivando i Prussiani a dargli grandi mazzate, come se la mamma gli avesse detto che è ora di fare i compiti.
È anche proprio quando sua mamma lo obbliga ad andare a letto con una donna che non è sua moglie per vedere se riesce a metterla incinta, e lui ci va a testa bassa e per nulla contento, quasi facendosi accompagnare con la manina fino alla porta della camera.
È tutto questo a fare di questo Napoleone il NON-dio di cui parlavamo prima, questi piccoli momenti semplici che poi tanto semplici non sono, bensì servono a comprendere e ad addentrarsi meglio nel carattere di un uomo.
Ancora quella parola: UOMO.
Non fraintendetemi: questo non significa che Lui non voglia arrivare. Anzi, è ciò che desidera più di ogni altra cosa. Non essere visto come piccolo. Ma essere adorato, idolatrato, venerato. La sua ambizione è senza freni, e vuole essere divino. Eccome, se lo vuole! E la sua è un’esistenza fatta di trionfi, vittorie, successi.

I momenti di Grandezza ci sono.
La sua incoronazione quando si prende la Corona strappandola dalle mani del Papa e se la mette da solo in testa.
Quando il Direttorio, i vecchi capi della Francia d’allora, lo accusano di diserzione. E lui dice a loro, che se ne stanno ben zitti: Sapete chi è qui dentro il solo che vale qualcosa e che è amato dalla Francia tutta? Di sicuro non voi.
O ancora quando ritorna dopo il suo primo esilio all’Isola d’Elba, e le sue vecchie truppe gli si parano davanti puntandogli i fucili addosso. E lui non scappa. Ma rimane lì, in piedi, si avvicina addirittura. E dice: Sono il Vostro Imperatore. E all’inizio molti ridono. Ma lui non arretra. Dice che è tornato per il suo Paese, che loro gli sono mancati, ma che non ha intenzione di andare da nessuna parte. E allora loro applaudono, e gridano festosi “L’Imperatore è finalmente tornato!!!”, e insieme partono alla conquista di Parigi.
C’è Grandezza in tutti questi momenti. Ma nessuno sa di tutta la piccolezza, i capricci, i lamenti, le sfuriate, i grugniti, le lagne che vi sono state dietro.
Grandezza non significa Perfezione, e nemmeno Divinità. Grandezza non significa avere poteri cosmici e nemmeno governare gli astri. Grandezza significa essere solo esseri umani che puntano alla Conquista del Cielo e se ne fregano se cadranno, loro ci puntano lo stesso. Grandezza significa essere come Icaro, che tutti ricordano perché cadde nelle acque del mare e morì affogando. Certo, ma ricordatevi anche che prima lui accarezzò il Sole.
Napoleone vince, trionfa, domina, conquista, e cambia il Mondo. Poi però ad un certo punto perde. La sconfitta, rovinosa, si palesa nella sua vita di gloria. Ma: perché? Perché da un certo punto in poi perde? Perché non ha centrato il bersaglio? Come ha fatto a mancare la porta? Per quale assurda ragione ha perso dopo una vita passata a trionfare, di successo in successo? Come mai ha sbagliato? Era forse impazzito? Il potere gli aveva dato alla testa? Niente affatto! La sicurezza con cui ha declamato “Sarò io a vincere!” prima della trionfale campagna egiziana è la stessa con cui lo dichiara prima della disastrosa disfatta a Waterloo. Cosa è cambiato in mezzo? È invecchiato, forse? Sì è messa di traverso la sfortuna? Cosa? Quale è la spiegazione? La spiegazione è che Napoleone è un uomo. E gli uomini sbagliano. Tutti gli uomini sbagliano, prima o poi. Gli dei sono perfetti, non conoscono errore, qualsiasi cosa facciano la fanno il meglio possibile. Ma Napoleone non è un dio, è solo un uomo. Lo sbaglio, da qualsiasi parte provenga, è nel suo destino di uomo. Se ci riflettete un secondo, in Russia ha perso perché faceva freddo. A Waterloo perché pioveva. Come faceva a controllare queste cose un semplice uomo? Come si può battere qualcosa del genere? O prevederlo? Se sei un uomo, non puoi.

In quasi ogni battaglia inscenata nel film lo scenario è lo stesso. I cannoni esplodono con fragoroso frastuono violento, il sangue scorre a fiumi e secchiate, i corpi e i cadaveri cadono a terra ammonticchiandosi gli uni sugli altri. Però alla fine Napoleone, nel concreto, cosa faceva? Agitava le mani per dare il segnale e si tappava le orecchie prima dello scoppio. Stop. Tutto qua. Non sparava raggi laser dagli occhi e non invocava saette e fulmini con l’imposizione delle dita. Lui era un uomo, un semplice uomo. Non a caso, durante la prima battaglia importante che Napoleone combatte nel film, un colpo esplode rendendo poltiglia il suo cavallo e facendolo rovinosamente cadere a terra nella polvere. Gli dei possono cadere a terra nella polvere? Il fatto è che però si rialza immediatamente come un grillo, afferra la spada, scala la muraglia e si avventa forsennato sui nemici armato di spada. Come se non si fosse fatto niente? No, perché la faccia ce l’ha sporca, ha il fiatone e rischia grosso ad ogni secondo di quella sequenza. Però è lì che combatte. Non sarà il ritratto di un dio, ma forse quello di un vincente sì. Forse il fatto che sia un uomo e basta, e per questo debole e perdente e anche grasso (ad un certo punto viene accusato di mangiare troppo!), rende quello che ha fatto anche più Grande.


Non possiamo chiudere la recensione senza però citare Lei. Lei che è stata il suo Amore. La sua Giuseppina. Vanessa Kirby ci regala un’interpretazione vera, intensa, toccante e profonda, dimostrando un’alchimia straordinaria con l’impareggiabile Phoenix. La loro storia d’amore non è affatto romantica. Bisticciano continuamente, poi si riappacificano facendo sesso sfrenato di fronte ai vari servitori e maggiordomi donandoci versi animaleschi molto buffi, e alcuni loro dialoghi mostrano quanto siano deboli e fragili, pure quando sono insieme. Lui le scrive di continuo lacrimose lettere d’amore a cui Lei, che intanto lo cornifica, non risponde. Lui fa subito ritorno dall’Egitto per Lei e le grida in faccia: Dimmi che sono la persona più importante del mondo! Notate bene: Lui dice “del mondo”. Non “della tua vita”. Lui vuole sentirsi dire questo. Ha bisogno di questo. E Lei glielo dice. Ma dopo poco, Lei gli ordina anche di dire che Lui non è niente senza di Lei. E Lui glielo dice. Che rapporto! E poi quando quel rapporto è finito, la sofferenza e il dolore e le lacrime che ci sono state. Non sarà stato romantico quello che c’era tra di loro, ma io credo fosse vero Amore. Napoleone non si è fatto problemi quando ha dovuto scegliere tra la Grandezza e Giuseppina, a scegliere la prima. Ma lì, su quella specie di roccia che è stata la sua ultima casa e prigione, l’isola di Sant’Elena, era la sua voce che Lui sentiva. E che gli diceva che la prossima volta sarebbe stata Lei a fare l’Imperatore e che le cose sarebbero andate meglio.


Perché è così che è fatto, Napoleone. Anche quando oramai ha perso. Anche quando, oramai al tramonto, racconta a delle bambine il suo passato e loro gli dicono: Ma le cose non sono andate così, tu in Russia hai perso! Anche quando oramai è quasi un manichino che cade, con quella sua feluca in testa che ha portato per tutto il film. Il fatto è che Lui è ancora Napoleone, a dispetto di tutto. Lui, che in un’altra immortale e insieme minuscola scena del film, prima di uscire di casa si ricorda proprio del suo inseparabile cappello e torna indietro per metterselo sul capo. Lui, che annuisce mentre la voce della sua Giuseppina, lontana ma sempre vicina, gli dice: La prossima volta le cose andranno meglio.


Se questa volta si è perso, pensa Napoleone Bonaparte il Grandioso, significa che si vincerà la prossima.


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