Downsizing

DI GIACOMO CAMISASCA

La prima volta che avevo visto Downsizing non ci avevo fatto molto caso, il film era iniziato, erano accadute delle cose nel mezzo e poi erano comparsi i titoli di coda.

Avevo spento la televisione e fine della storia.

Ricordo che non mi aveva lasciato nulla, semplicemente l’avevo guardato e basta, senza soffermarmi su quello che era successo.

Oggi, dato che devo portare a termine questo viaggio nella filmografia di Alexander Payne, ho preso nuovamente visione di questa pellicola datata 2017, che è stata presentata in concorso alla 74ª Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia come film d’apertura.

Il settimo lungometraggio, scritto e diretto da Payne, racconta la storia di Paul Safranek (Matt Damon), un terapista occupazionale, che decide di rimpicciolirsi insieme a sua moglie Audrey Safranek (Kristen Wiig) per salvare il mondo e per avere uno stile di vita nettamente migliore di quello che hanno da persone “Maxi”.

Il film è ambientato in un futuro distopico dove il dottor Jorgen Asbjørnsen ha scoperto e inventato il processo permanente ed irreversibile denominato “miniaturizzazione”, il quale riduce massa e volume corporeo a 1/2744 dell’originale, l’altezza di 14 volte e incrementa di 14 volte il rapporto superficie/volume. Esso è presentato come la sola risposta plausibile al cambiamento globale.

La premessa originale c’è, gli attori pure, c’è persino un inizio accattivante in cui, all’ultimo, la moglie di Paul rinuncia alla miniaturizzazione, lasciando solo e rimpicciolito suo marito che si ritrova in una città a misura mini.

Ma le cose positive, almeno per me, finiscono qui.

Downsizing è un film che rimane in superficie, tocca tantissime tematiche senza mai approfondire o andare fino in fondo.

C’è la crisi ambientale da sconfiggere, c’è una disparità sociale che si manifesta anche nel mondo miniaturizzato e c’è il motivo per cui Paul e Audrey decidono di fare quello che fanno, ovvero la loro situazione economica allo sbando.

Una situazione economica che riguarda un intero paese, che costringe molti a ricorrere ad una scelta drastica e irreversibile, solo per poter vivere dignitosamente.

Sono tutte tematiche profonde e impegnative, ma che non trovano un vero e proprio sviluppo, bastava trattarne solo una e portarla fino in fondo, e invece si è deciso di creare un minestrone insipido e poco nutriente.

Ma la cosa che più non riesco a capire è come Alexander Payne sia arrivato a scrivere e poi dirigere un film del genere, che è palesemente un film hollywoodiano di bassa fattura fatto con lo stampino, che se fosse stato girato in questi ultimi anni sarebbe stato prodotto e distribuito da Netflix.

Come è possibile che dopo Nebraska, se ne sia uscito con un film senz’anima, privo di cuore e che non racconta assolutamente nulla?

Lui che ha raccontato la depressione attraverso le degustazioni di vino, che ha portato in scena il lutto in paradiso e che ha raccontato l’entroterra attraverso il viaggio di un uomo senza speranza.

Il punto è proprio questo, manca la sostanza, manca la semplicità, manca quella storia ordinaria che solo lui poteva trasformare in qualcosa di epico.

E soprattutto mancano i personaggi.

Il protagonista di Matt Damon è come un manichino che viene sballottolato di qua e di là, un personaggio senza spina dorsale che alla fine, sì ritrova l’amore in una dissidente vietnamita senza una gamba, ma lui rimane esattamente lo stesso di prima.

E poi ci sono tutti gli altri, comprimari che risultano delle macchiette, delle parodie fatte male, su tutti il personaggio di Dusan Mirkovic (Christoph Waltz) e quello di Ngoc Lan Tran (Hong Chau).

Downsizing si piega alla sua idea, parte alla grande ma man mano che va avanti si rimpicciolisce sempre di più fino a scomparire. 

Un film dimenticabile sotto molti punti di vista, un vorrei ma non posso, una scintilla e niente più.

Anche i migliori sbagliano, o fanno dei passi falsi, per me in questo caso Alexander Payne ha sacrificato molto della sua poetica, della sua visione e del suo modo di raccontare e fare cinema.

Questo Downsizing lo trovo più come un lavoro su commissione, in cui il regista di Omaha di suo ha messo solo Omaha e basta.

Grazie al cielo questo non è l’ultimo film di Alexander Payne, vi immaginate che colpo al cuore?

Il 1 dicembre è dietro l’angolo, manca davvero poco, e finalmente The Holdovers verrà presentato fuori concorso al Torino Film Festival 2023.

Invece, per l’uscita nelle sale italiane, dovremo aspettare il mese di gennaio, ma noi di Mercuzio And Friends saremo in prima linea al 41 TFF per portarvi la recensione il più presto possibile e chiudere questo bellissimo cerchio iniziato con Citizen Ruth.

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