DI ALBERTO GROMETTO
Prigione. Galera. Penitenziario. O ancora: Gattabuia.
Il carcere ha una storia antichissima che affonda le sue radici nella Bibbia, e le cui prime notizie accertate risalgono ai tempi della civiltà greco-romana. Ma oggi, nella realtà in costante movimento iper-veloce e iper-dinamica e iper-colorata dei social e dei mass media, che tipo di sguardo si riserva alle case di reclusione?
Il penitenziario deve essere visto come una punizione nei confronti di chi ha infranto le regole e fatto del male, oppure come un modo per tenere al sicuro coloro che stanno fuori dalla prigione impedendo ai detenuti di arrecare loro danno? I carcerati devono essere visti come persone che hanno sprecato tutte le loro chances e che ora devono vivere come avessero perso la vita in uno stato a metà tra il coma e la morte, oppure invece l’obbiettivo della detenzione sarebbe quello di rieducare chi ha sbagliato ai veri valori reintegrandoli nella società? E a quel punto la galera diventerebbe incarnazione delle seconde opportunità. O no?
Quando senti un figlio raccontare del padre carcerato e di quanto soffra a non poter passare il suo tempo insieme a lui perché in prigione, non ti si stringe il cuore? È orribile pensare che ad una persona possa essere sottratta la possibilità di stare col suo papà. Ma le cose cambiano se scopriamo che il suo papà quand’era libero è stato uno spietato boss mafioso che si è preso diverse vite nell’arco di un’esistenza vissuta all’insegna del crimine e del mero arricchirsi facile?
Quello della detenzione è un tema complesso, che va a scontrarsi con il concetto per Noi sacro e naturale del “libero arbitrio”: l’essere umano è padrone di sé stesso, del suo Destino e ha il diritto di poter scegliere. Sì, ma la tua libertà di scelta non può essere senza confini, altrimenti non c’è più spazio per la libertà altrui. E allora è forse in questa verità che si nasconde il significato e il senso delle prigione?
D’altro canto è acclarato che la maggior parte dei magistrati, di coloro che decidono a quanti anni debba essere condannato questo o quel detenuto, non abbiano la più vaga idea di come sia fatto un penitenziario e di quale vita ci si debba aspettare una volta reclusi. Possono davvero persone che non hanno mai visto un carcere decidere quanto tempo qualcuno debba trascorrere in carcere? Sembra una grandissima contraddizione in termini. E ancora: è giusto che a chi ha rubato un gelato venga riservato lo stesso trattamento previsto per chi ha ucciso qualcuno? No, direi di no.
Relegati ai margini della società, abbandonati a sé stessi come fossero “oggetti smarriti”, completamente dimenticati, i detenuti sono e rimangono esseri umani, a prescindere dagli errori commessi, e in quanto tali le loro problematiche e difficoltà devono starci a cuore. Ed è per questo che nasce la meravigliosa iniziativa nota col nome di «LiberAzioni Festival», giunta nel 2023 alla sua quarta edizione, progetto curato dai nostri cari amici dell’ASSOCIAZIONE MUSEO NAZIONALE DEL CINEMA, e a cui Noi di MERCUZIO AND FRIENDS abbiamo avuto il massimo e assoluto privilegio di poter collaborare.
Per tutta la straordinaria settimana intercorsa tra il 9 e il 15 Ottobre a Torino, numerosi sono stati gli eventi culturali e le proiezioni cinematografiche che il ricchissimo e variegato programma ha offerto, fra cui naturalmente il concorso dedicato ai cortometraggi. L’ultimo giorno il Centro Studi Sereno Regis è stato teatro della loro premiazione. M&F ha avuto il piacere di presenziare ad ogni evento possibile, dare il suo apporto costruttivo, far parte della commissione selezionatrice il cui compito è stato valutare oltre 120 opere diverse con l’obbiettivo di raggiungere una rosa di 15 corti partecipanti al concorso, e poter essere parte attiva di una delle giurie.
Tra i sette componenti della giuria che ha assegnato il Premio LiberAzioni Cinema Giovani, coordinata da Carlo Griseri e Alessandro Amato di Agenda del Cinema di Torino, hanno avuto la gioia di figurare anche l’Augusto Direttore Alberto Grometto e l’Illustre Vice-Direttore Giosuè Tedeschi soprannominato “Il Commendatore”, in qualità di membri giurati.
Numerose le menzioni speciali, le opere d’alto spessore, i diversi sguardi rivolti ad una tema così intrinsecamente profondo. Potremmo spenderci pagine intere, ma a quel punto questo sarebbe un romanzo più che un articolo. Ci soffermeremo quindi sui tre cortometraggi insigniti di un premio.
Vincitore del PREMIO MARINA PANARESE, assegnato ad autori di origine straniera, il corto «WHEN THE LEAVES FALL» di XIN ALESSANDRO ZHENG racconta un tipo di prigionia molto diversa da quella canonica. Una prigionia che ha a che fare con le proprie origini, le proprie radici, la propria provenienza. Si può scappare da tante cose in questa vita, ma non da sé stessi. La storia di Giacomo, cresciuto in Italia, e che fa un breve ritorno in Cina e passa del tempo con suo nonno, è la vicenda di due diverse generazioni che si incontrano, che sono distanti, che sono divise da memorie e ricordi e tanti anni passati lontani. Due generazioni che forse non sanno sempre come parlarsi. Ma talvolta le parole non servono.
Abbiamo poi «I GIORNI DELLE ARANCE» dell’esuberante e allegro MATTEO DE LIBERATO, che con la sua entusiasmante presenza è capace di riempire una stanza. Poterlo conoscere è stata una gioia, visionare la sua opera è stato affrontare un delicato viaggio nel dolore, in un luogo e in un tempo in cui i totalitarismi schiacciavano chiunque s’opponesse a loro e le persone che amavamo. Mai dimenticarsi cosa sono state le dittature, che in realtà esistono ancora oggi, e assumono le forme più svariate. Il suo corto, insignito del PREMIO LIBERAZIONI CINEMA GIOVANI, narra la storia non di una donna, ma di una detenuta a cui è stato tolto tutto quello che la rendeva umana: famiglia, amore, felicità. Condannata a morte, lei è già morta. La sola cosa che ancora ha è la memoria. I ricordi di quando era felice, o di quanto fosse vicina ad esserlo. Ricordi che hanno il sapore fresco di un’arancia. Nello spazio di pochi minuti, viviamo una vita intera e tocchiamo con mano cosa davvero significhi la speranza.
È incredibile come chi ha davvero amato in vita sua, anche quando ha perso tutto, possa ancora avere la forza di sperare.
Infine il PRIMO PREMIO LIBERAZIONI CINEMA. Assegnato dalla giuria presieduta dalla Presidente ANNALISA CUZZOCREA, Vicedirettrice de La Stampa, giura composta inoltre da Benedetta Perego, Ambra Troiano e i detenuti bibliotecari della Casa Circondariale Lorusso e Cotugno. Siamo orgogliosi di poter dire che s’è aggiudicato il premio più importante di LIBERAZIONI il nostro film del cuore, il cortometraggio che fin dalla sua prima visione ai tempi della prima selezione seppe conquistarci.
Trattasi di POLVERE di PAOLO CARBONI.
Prima ancora di parlarvi di un racconto capace di emozionarti e commuoverti e rimanere indelebilmente impresso nei cuori e nella mente di chi lo ha visionato, il Comitato di Redazione ci tiene a ringraziare con tutto l’affetto e la gratitudine possibili Paolo Carboni per la sua gentilezza e disponibilità. Abbiamo avuto l’onore di potergli stringere la mano di persona quel giorno e parlare a lungo con lui per il regalo che ci ha fatto. E ci ha insegnato qualcosa di molto importante: i film, quelli veri, uno non li fa per i premi e nemmeno per il denaro, ma perché qualcuno venga da te un giorno e ti dica “M’hai emozionato, non mi dimenticherò quello che mi hai raccontato”. È per questo che qualcuno fa un film. Che poter dire? Solo questo:
Paolo, ti ringrazio di cuore. Sappi che con la tua opera m’hai emozionato, e non mi dimenticherò quello che mi hai raccontato.
La vicenda narrata è la storia vera di ALDO SCARDELLA, residente a CAGLIARI in SARDEGNA, il quale venne arrestato per un crimine che non aveva commesso, e senza alcuna prova a suo carico. Era un periodo folle, veramente folle, un momento di transizione nella nostra storia e durante il quale i crimini erano all’ordine del giorno, ci ha raccontato Paolo. Le autorità erano incapaci di far rispettare la Legge ed essere garanti della Giustizia. E così finirono, pur di dimostrare d’essere in grado di acciuffare i criminali, per stroncare vite innocenti. Il 23 Dicembre 1985 un negoziante era stato ucciso. Aldo era nei fatti colpevole di abitare nelle vicinanze, tutto qua. Così venne preso. Era il 29 Dicembre di quello stesso anno. Venne messo in regime di totale isolamento dentro una minuscola cella. Per quanto supplicasse, niente servì. Il responsabile del suo arresto rivelò al superiore che i pochi indizi sulla base dei quali era stato incarcerato Scardella erano completamente infondati e chiese come dovesse muoversi. «NON si muova!» gli rispose lui.
Quello che Carboni, che già aveva raccontato questa storia nel documentario da lui diretto «185 GIORNI» (2007), ci mostra è come basti un niente e tutto possa crollarti addosso. A noi esseri umani, che spesso ci crediamo onnipotenti e invincibili, in realtà alla fine è sufficiente un po’ di polvere per diventare noi stessi polvere, essere ridotti a polvere e nient’altro, in balia della vita il più delle volte foriera di una cieca ingiustizia crudele che non conosce pietà. Narrando una vicenda simile a quella raccontata in un capolavoro cinematografico quale «Nel Nome Del Padre» (1993) del Maestro Jim Sheridan e con protagonista quel Mostro Sacro Divino che è l’attore Daniel Day-Lewis, questo corto riesce nell’impresa di farti vedere e vivere da una parte gli abusi spietati perpetrati con ferocia crudele da una società capace di commettere qualsiasi crimine pur di mostrarsi forte, dall’altra di farti saggiare quanto fragile e delicato possa essere un semplice essere umano che per un niente si trova dentro un piccolo angolo buio dal quale non può, né potrà uscire, per quanto possa gridare al vento o scrivere ossequiose lettere piene zeppe di preghiere e suppliche. Rimanere inghiottiti da quel buio, bloccati come nelle sabbie mobili, senza respiro. Ripensare a quando la mamma ti diceva “Mangia, che ti vedo sciupato!” e ora che sei chiuso tra quattro piccole mura senza motivo sciupato lo sei davvero.
«POLVERE» ti racconta delle dinamiche di una realtà nella quale ogni detenuto può riconoscersi, e non a caso i detenuti bibliotecari facenti parte della giuria lo hanno votato all’unanimità. Dedicato a CRISTIANO SCARDELLA, fratello di Aldo, al quale distrussero la vita nel momento in cui distrussero il fratello, questi non ha mai avuto la forza di prendere visione di quest’opera, ci ha raccontato Carboni. Un caso mediatico che ebbe un impatto epocale sull’opinione pubblica, una storia che deve ergersi a denuncia di un sistema che non potevi battere e che aveva a sua disposizione il carcere, qui usato come uno strumento di tortura. “Ci racconti Scardella di quello che ha fatto”. “Io non ho fatto niente, io sono innocente!”. “Vedrai che alla fine qualcosa ce la racconterai!”. L’impatto emotivo, poi, che ci regala il potentissimo finale è indescrivibile a parole: può solo essere vissuto. Chiunque, anche chi non è mai stato in carcere, dopo aver vissuto da una parte la tragedia di Scardella e dall’altra averlo conosciuto nel sul aspetto più intimo prima che tutto gli precipitasse in testa, sarà con Aldo, lì, in quella cella.
Ringraziamo infine il Presidente dell’Associazione Museo Nazionale Cinema VITTORIO SCLAVERANI e la Vicepresidente e Direttrice di «LiberAzioni» VALENTINA NOYA, che abbiamo il piacere e la gioia di poter chiamare “amici”, per la premurosa gentilezza e il caloroso affetto che sempre ci riservano: lavorare con voi è un onore dei più grandi possibili, e non vediamo l’ora di poter collaborare di nuovo insieme in futuro.
E ricordate: pur nella fremente attesa di un festival non solo meraviglioso ma NECESSARIO come quello di LIBERAZIONI, non aspettate la quinta edizione per ricordarvi che esistono persone chiuse in carcere che, al netto degli errori commessi, una volta erano esseri umani. E che nei fatti lo sono ancora e devono essere trattati in quanto tali. Non spegnete mai la fiamma, e non dimenticatevi mai di loro.
PER SAPERNE DI PIÙ SU LIBERAZIONI, CONSULTATE DIRETTAMENTE IL SITO DELL’AMNC!!!