DI GIOSUE’ TEDESCHI
Questo incontro, svoltosi al Salone del Libro, parlava di una pubblicazione intitolata “Raccontare e raccontarsi”, scritto dai reclusi di un carcere.
Un libro di racconti che mostra che in carcere si può lavorare. Per esempio, ci raccontano di Abraham, di cui non ci dicono che ha fatto per finire dentro: solitamente si dice la pena e non il peccatore, ma qui il contrario.
Abraham poi scrive: “Che ne sarà della mia vita? Sarà una vita piena di storia o una storia piena di vita?”
Non dico che non mi risuona ma dico che non l’ho tanto capita questa frase, come non ho capito perché l’hanno scelta. Però suona molto bene. Fanno parte del progetto Leggere Libera-Mente. Lettura, scrittura biografica, saggi ecc.
Hanno anche parlato del fenomeno del ritiro sociale, dei reclusi in casa. Ci hanno parlato di una ricerca sul campo per vedere le vere cause di questa reclusione scelta. Abbandono scolastico, sentimento di inadeguatezza, bullismo, situazioni familiari complicate: hanno mischiato un po’ di cose a mio parere. Tuttavia la ricerca sul campo non l’ho fatta io quindi ho poco da criticare.
Libera-Mente, in ogni caso, è un concorso e si può partecipare dal sito.
Ognuno di noi si costruisce nella realtà che lo circonda.
L’ha detto un corsista. Questa mi piace e la capisco già di più come frase. Una rivisitazione di vecchio tema, dopotutto. Che studiare possa salvare davvero?
In carcere c’è il soggetto e la pagina. Mi sembra un bel modo di riflettere sulle cose, solo tu e la pagina. Fortunatamente non c’è bisogno di andare in carcere per trovarsi da soli con una pagina bianca.
Forse hanno detto anche altre cose durante questo incontro, ma sono uscito prima perché non parlava di Platone. Certo era una realtà interessante, ma non per me. Spero nessuno si sia offeso.
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