Novecento (Alessandro Baricco)

DI ELODIE VUILLERMIN

Questa è la storia singolare di Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento. La sua culla: un vecchio scatolone appoggiato su un pianoforte, nella sala da ballo di un piroscafo. Il suo passato: un’incognita. Il suo futuro: pieno di fama e gloria. La sua vita: la musica e l’Oceano.

PIÙ CHE UNA STORIA, UNO SPETTACOLO

Il testo ha una struttura a metà tra un romanzo breve e una sceneggiatura. Ci sono attori che entrano in scena, una colonna sonora, lunghi monologhi introduttivi per presentare un personaggio o illustrare un contesto. Non ci sono capitoli, ma solo un flusso di pensieri, dialoghi e indicazioni di scena lungo 62 pagine. Lo stile narrativo è molto eccentrico, spesso ironico e rispecchia il linguaggio parlato, con frasi tutte in maiuscolo, lettere ripetute per allungare i vocaboli, tanti punti esclamativi per simulare un grido e fiumi di parole che scorrono senza controllo. Il tutto è narrato da un trombettista che per inseguire il suo sogno si è imbarcato sul piroscafo Virginian e ha stretto amicizia con Novecento, lo stravagante protagonista; per farlo mette in scena tutto ciò che spiega e parla al suo pubblico come un provetto intrattenitore.

NON UNA SEMPLICE NAVE

Più che un piroscafo, il Virginian sembra un mondo a parte, una piccola Nazione che viaggia sull’acqua e percorre sempre lo stesso tratto, dall’Europa all’America e viceversa. È popolato da molte persone, che siano ricconi, emigranti o gente qualunque. L’equipaggio è un insieme di personaggi ognuno strampalato a modo suo, che risultano unici proprio per le loro bizzarrie: il capitano claustrofobico, il timoniere cieco, un dottore dal nome impronunciabile e ovviamente Novecento.

Non è semplicemente una nave fatta di metallo, un sistema meccanico che la fa muovere e un equipaggio che la guida. Il Virginian è vivo, ha una sua musica e tante voci (jazz, ragtime, perfino il blues). Si nutre delle performance dei musicisti, dei balli, del viavai dei passeggeri, di applausi e fischi. Conserva in sé la memoria di una storia grandiosa, quella di Novecento, dalla sua prima volta al pianoforte al duello musicale con Jelly Roll Morton fino alla sua morte. Ha molto da raccontare e lo fa senza parlare, o meglio sfruttando le parole di chi ha vissuto in mezzo all’Oceano.

UN PROTAGONISTA UNICO

Colui che rimane più impresso è indubbiamente Novecento. Lo descrivono come il più grande dei pianisti, una leggenda, un personaggio inimitabile. Un artista talmente grande che, secondo molti, la sua musica non esisteva prima che fosse lui a suonarla; nasceva nell’istante in cui lui suonava il pianoforte e cessava di esistere quando toglieva le dita dai tasti. Una vera e propria storia vivente, tanto che non si riusciva a scindere il personaggio dalla sua vera persona. Lui non era diventato una maschera, lo è sempre stato. Era quel genere di storia che ti restava addosso anche quando lasciavi l’Oceano per tornare a terra, com’è successo al trombettista suo amico. Un autentico spettacolo vivente, che si è concluso nell’unico modo possibile: con il botto (in tutti i sensi).

Ogni aspetto della sua vita è ai limiti dell’assurdo, eppure lo è al punto da risultare coinvolgente e autentico. Non si sa da dove venga: forse è stato abbandonato, magari l’hanno dimenticato sulla nave, non lo sapremo mai. Il suo nome comprende quello dell’uomo che lo ha adottato, una scritta presente sullo scatolone in cui si trovava e un omaggio al nuovo secolo che era appena cominciato (il Novecento, per l’appunto). Con il pianoforte ha un rapporto quasi simbiotico, tanto che è riuscito a suonarlo perfino mentre lo strumento scivolava avanti e indietro per la sala da ballo, durante una burrasca. La sua casa è sempre stata in mezzo al mare. Sulla terraferma non ci ha mai messo piede e l’unica volta che ci ha provato non è riuscito ad andare fino in fondo. Ha vissuto la sua vita eppure non è mai esistito, se non per il mondo galleggiante che era il Virginian, poiché nessuno l’ha mai registrato all’anagrafe.

La musica fa parte di lui sin dalla nascita, o meglio, sin dal momento in cui venne trovato da bambino: essere scoperto da un marinaio sopra il pianoforte del Virginian ha segnato il suo destino, è come se fosse stato “partorito” dalla musica stessa. E infatti, quando suona, lo fa come se avesse le melodie nel sangue, come se le note fossero le sue cellule. Suonare gli viene naturale al punto che non guarda nemmeno dove poggia le mani. Un talento precoce, il suo: la prima volta che lo fa è a otto anni e da lì non smette più.

Novecento non ha mai visto il mondo fuori dalla nave, eppure ne conosce odori, suoni e sapori, perché è stato il mondo a venire da lui, grazie alle persone che salivano sul Virginian. Con gli occhi riusciva a decifrare le storie nascoste in ogni passeggero e da quale angolo di mondo provenisse; e nel giro di qualche anno, tra una storia e l’altra, si è costruito la sua mappa del mondo nella testa. Forse è per questo motivo che è incapace di lasciare la sua comfort zone: essendo di fatto nato e cresciuto sopra il Virginian, è diventato ormai parte integrante della nave stessa; ci ha piantato radici così solide che, quando viene fatta esplodere, non gli resta altra scelta se non lasciarsi morire insieme a lei.

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