DI ELODIE VUILLERMIN
È difficile capire quale sia la versione più antica di questa fiaba. Al pari di Cenerentola, è stata reinterpretata in tantissimi modi diversi. La bella addormentata ha cambiato nome con il passare del tempo e anche la trama si svolge diversamente, pur mantenendo alcuni aspetti focali quali il sonno magico e il risveglio portato da un altro personaggio. E il principe, colui che dovrebbe salvare la principessa e sposarla, non è sempre stato una figura eroica e benigna.
Una delle versioni più arcaiche risale all’antico Egitto ed è conosciuta come Il principe predestinato (in inglese Tale of the Doomed Prince). Venne rinvenuta su un papiro antico in scrittura ieratica, quello che oggi è conosciuto come Papiro Harris 500. Come protagonista non abbiamo una principessa, ma un principe.
Un re è agitato perché sua moglie non riesce ad avere un bambino. Grazie alle preghiere degli dei, finalmente la moglie dà alla luce il figlio tanto desiderato. Ma le sette hator (personificazioni della dea Hathor, che corrispondono alle nostre fate madrine e vedono il futuro), gli annunciano un cattivo presagio: il bambino morirà per il morso di un coccodrillo, un serpente o un cane. Così il re costruisce un palazzo isolato tra le montagne per tenere il figlio al sicuro. Ma il principe non può vivere da solo per sempre, così riceve un cagnolino con cui vive una lunga serie di avventure. Una volta cresciuto, il principe si allontana dal castello e arriva fino alla terre del principe di Siria, dove si sta svolgendo una gara: colui che riesce a raggiungere la finestra della figlia del principe, potrà sposarla. Il protagonista riesce a vincere e a ottenere la mano della fanciulla, la quale viene a conoscenza della sua maledizione e lo aiuta ad evitare l’attacco di un serpente. Segue poi una situazione strana, in cui il principe parla con un coccodrillo che promette di non ucciderlo se questo lo aiuterà a sconfiggere il genio del fiume, un demone che abita quel luogo. Purtroppo la fiaba è incompleta, quindi il finale è lasciato all’immaginazione dei lettori.

Un’altra variante molto antica della bella addormentata si trova nella Saga dei Völsungar (tardo XIII secolo). Brunilde, secondo la leggenda, era una delle Valchirie più belle, ma anche la più testarda ed orgogliosa. Siccome aveva elargito la vittoria all’uomo sbagliato, il dio Odino la punì condannandola a un sonno profondo, sulla cima di un monte circondato dalle fiamme. A salvarla fu l’eroe Sigfrido, che la risvegliò togliendole l’armatura (quindi nessun bacio).
Nel 1340 venne scritto il Perceforest, un romanzo cavalleresco in prosa francese, da parte di un autore sconosciuto. Si divide in sei libri ed è collegato al ciclo arturiano e alle imprese di Carlo Magno. Quello che ci interessa è il terzo libro, ambientato all’epoca dei Greci e dei Romani. I protagonisti sono la principessa Zellandine e il suo amore Troylus. Il padre della ragazza vuole mettere alla prova il giovane per vedere se è degno della mano di sua figlia. Zellandine si mette a giocherellare con un fuso e un filo di lino stregati, che la fanno addormentare, e il padre la rinchiude in una torre, lasciandola completamente nuda, prima di partire. Quando Troylus scopre cos’è accaduto alla sua amata, si rivolge alla Dea Venere e al Demone-Folletto Zeffiro, e grazie a loro scala la torre. A questo punto la risveglia con un bacio, penserete. E invece no, Troylus fa di peggio: stuzzicato da Venere, mette incinta Zellandine mentre è incosciente ed è proprio il bambino, venendo al mondo, a rompere il filo di lino. Così Zellandine si sveglia dal suo sonno e si sposa con Troylus. Alquanto grottesco, vero?
Anche Basile, che già ci era andato pesante con la sua versione di Cenerentola, non si risparmia con la sua fiaba Sole, Luna e Talia (1634). Degli indovini fanno una profezia al sovrano di un regno: sua figlia Talia (o Italia) sarebbe morta a causa di una lisca di lino. Quindi non è un incantesimo la causa della maledizione, ma una profezia, che il re cerca di impedire a ogni costo. Tuttavia è inutile: l’ormai cresciuta Talia, incuriosita da una vecchia che filava, decide di imitarla; così finisce per pungersi con la lisca di lino, che le finisce sotto l’unghia, e cade a terra morta. Il re, addolorato, fa sdraiare la figlia “su una poltrona di velluto, sotto un baldacchino di broccato”, poi chiude il castello a chiave e lo abbandona per sempre, “per dimenticare il dolore e perdere anche la memoria di quel crudele destino”.

Tempo dopo un altro re, intento a cacciare nei pressi del palazzo, incuriosito dalle porte chiuse decide di aprirle con la forza. Una volta dentro trova la ragazza addormentata e, incantato dalla sua bellezza, la ingravida mentre dorme. Così Talia, seppur priva di conoscenza, dà alla luce due gemelli, Sole e Luna, dei quali si prendono cura le fate della foresta. Mentre uno dei bimbi cerca di attaccarsi al seno della madre per nutrirsi, finisce invece per per succhiarle un dito ed estrarre così da sottopelle la lisca di lino: così Talia si sveglia e torna in vita, per fortuna non ricordando niente di cosa le è successo, e comincia una nuova vita con i figli. Poco tempo dopo, il nuovo re torna al castello e trova Talia sveglia. “E dopo aver raccontato a Italia com’erano andate le cose, fecero amicizia e alleanza grande, e passarono insieme qualche giorno”. E qui ho pensato: ma stiamo scherzando? Altro che amicizia, quell’uomo si meritava una denuncia e un calcio nelle palle. Comunque il re deve tornare nel suo regno, ma promette di tornare a prendere Talia.
Non solo stupro, c’è anche cannibalismo in quest’opera. La moglie del re, gelosa di Talia e furente per l’adulterio del marito, ordina a un cuoco di andare a prendere Sole e Luna, di cucinarli e servirli al re. Ma l’uomo ha pietà dei bambini e, in maniera simile al cacciatore in Biancaneve, inganna la regina servendo al re della semplice selvaggina. Comunque il re non mangerà la carne poiché, infastidito dalle insistenze della moglie, lascia il castello. La regina non si arrende e con un raggiro invita Talia a palazzo per bruciarla sul rogo. Tuttavia il re torna al castello, salvando Talia in tempo, e dà l’ordine di gettare nel fuoco la regina. Saputo che il cuoco ha salvato i suoi figli, il re lo ringrazia nominandolo primo gentiluomo di corte, e alla fine Talia sposa il re.

Nella versione di Perrault (1697) viene esclusa qualsiasi forma di violenza sessuale, dato che la storia si rivolgeva all’alta borghesia, e si introduce l’espediente del bacio per risvegliare la principessa. La principessa non ha un nome. Le fate benefiche sono sette, non tre. Malefica, anch’essa senza un nome, viene semplicemente chiamata “la vecchia fata” e non viene invitata alla festa perché nessuno ha sentito parlare di lei per anni, quindi tutti la credevano morta.
Al battesimo della principessa, le fate ricevono come dono delle posate tempestate di diamanti e rubini, conservate in astucci dorati. Solo la vecchia fata non riceve alcuna posata preziosa, ma solo una comune, e sentendosi offesa borbotta una minaccia sottovoce. Nessuno la sente se non l’ultima delle sette fate, che si nasconde dietro la portiera per conservare la sua magia fino all’ultimo e intervenire casomai la vecchia fata facesse qualcosa. Intanto le altre fate benigne danno alla piccola i loro doni: bellezza, intelligenza, grazia, grandi abilità nel ballo, una voce stupenda e la capacità di suonare divinamente qualsiasi strumento musicale. Quando è il suo turno, la vecchia fata scaglia la maledizione sulla piccola, condannandola alla morte per puntura sul fuso di un arcolaio una volta diventata adolescente. Tutti si disperano, ma la settima fata esce allo scoperto per addolcire l’incantesimo, senza riuscire però a spezzarlo: fa in modo che, se la principessa si fosse punta il dito, non sarebbe morta ma solo caduta in un sonno incantato lungo cent’anni, dal quale solo il figlio di un re avrebbe potuto svegliarla. Il padre della bambina bandisce tutti gli arcolai dal regno per evitare che la maledizione si compia.
Quando la principessa compie sedici anni, incontra una vecchia sorda che sta filando in cima alla torre del castello, e incautamente si punge il dito sul fuso, addormentandosi. Così viene portata su un letto ricamato d’oro e d’argento. La fata buona che aveva addolcito la maledizione viene avvisata dell’accaduto da un nanetto che “calzava gli stivali delle sette leghe” e giunge al castello a bordo di… un carro di fuoco trainato da draghi. (Sì, avete letto bene. Perrault aveva una bella immaginazione. E lo vorrei io, un mezzo di trasporto del genere.) La fata usa la bacchetta magica per far addormentare tutta la servitù e gli animali nel castello, perfino il fuoco e gli spiedi a base di pernici e fagiani, così che questi si sarebbero risvegliati insieme alla principessa e lei non si sarebbe trovata sola. Inoltre fa circondare il castello da un fitto intrico di alberi, rovi e sterpaglie per proteggere la fanciulla. Solo il re e la regina non vengono influenzati dall’incantesimo e lasciano la reggia poco dopo.

Cent’anni più tardi, un principe (pure lui senza nome) si reca a cacciare nei pressi della foresta incantata attorno al castello. Incuriosito dalle torri che emergono da lì, cerca di chiedere ai popolani vicini cosa siano e cosa si nasconda nella foresta, finché qualcuno gli rivela della principessa addormentata. Esaltato dalla prospettiva di poter salvare lui la fanciulla e sposarla, il principe parte verso la foresta incantata e riesce ad attraversarla senza troppi problemi: gli alberi, infatti, hanno percepito che è lui il prescelto per spezzare la maledizione, perciò si ritirano spontaneamente al suo passaggio. Così il principe entra nel castello e risveglia la principessa e tutta la corte. I due innamorati si sposano e hanno due figli, di nome Aurora e Giorno.
Tuttavia, in un twist inaspettato che grida “WTF?!” a ogni angolo, si scopre che la madre del principe è un’orchessa divoratrice di umani e che suo figlio le ha tenuto nascosta per anni la sua nuova famiglia per evitare che se la mangiasse. Ma la verità viene scoperta alla morte del padre del principe, che lo costringe a tornare nel suo vecchio regno. Il principe porta con sé la moglie e i bambini, ma poco dopo è obbligato a lasciarli soli quando deve partire per una guerra contro il re Cantalabutta. L’orchessa ne approfitta e chiede al cuoco di cucinarle la principessa e i suoi figli, ma l’uomo, impietosito dai bambini, riesce a ingannare l’orchessa per ben tre volte: al posto della carne umana le serve prima un agnello, poi un capretto e infine una cerva. Ma l’orchessa scopre presto l’inganno e ordina che la principessa, i bambini e la famiglia del cuoco siano gettati in una vasca di serpenti, ramarri, rospi e vipere. Il principe riesce a tornare a casa in tempo per assistere alla scena e alla fine è l’orchessa, ormai scoperta, a suicidarsi per la vergogna facendosi divorare dalle bestie nella vasca.
Se questo racconto avesse voglia d’insegnar qualche cosa, potrebbe insegnare alle fanciulle che chi dorme non piglia pesci… né marito.
La Bella addormentata nel bosco dormì cent’anni, e poi trovò lo sposo: ma il racconto forse è fatto apposta per dimostrare alle fanciulle che non sarebbe prudenza imitarne l’esempio.
(La Bella Addormentata nel Bosco di Charles Perrault, traduzione di Carlo Collodi, epilogo)
Il classico Disney (1959) ha scelto però di ispirarsi alla fiaba raccontata dai Grimm (1812), il cui titolo è Rosaspina, il nomignolo che poi hanno dato le fate ad Aurora nel film animato.
C’è una sorta di prequel che spiega come il re e la regina hanno avuto la loro bambina, cioè dopo la profezia di un gambero che salta fuori dalla vasca da bagno della regina. Siete confusi? Bene, anche io. Sappiate che in altre edizioni il gambero è sostituito da una rana.
Anziché tre fate, ne abbiamo dodici. Malefica è la tredicesima e non viene invitata alla festa perché il re ha solo dodici piatti d’oro per il pranzo, e si sa che il tredici porta sfortuna. Quando la principessa si addormenta, lo stesso capita anche ai suoi genitori e a tutta la corte. Non c’è la comparsa di alcun drago.
La maledizione dura cento anni e, quando si attiva, crea una foresta di rovi intorno alla torre dove la fanciulla dorme. Molti principi cercheranno di salvare la principessa, ma finiranno per morire incastrati tra i rovi. Un giorno il figlio di un re, avendo sentito parlare della bella addormentata, decide di fare un tentativo e riesce ad attraversare la foresta senza problemi: questo perché i cento anni sono ormai passati e i rovi sono fioriti; quindi nessun amore predestinato o roba simile, è stata tutta questione di ottimo tempismo.
Per il resto, gli eventi si svolgono come nel film Disney. Sorprendentemente, non ci sono stupri, tradimenti o cannibalismo, ma la storia si conclude con il principe che risveglia la principessa e tutta la corte e con il matrimonio. La parte macabra, in puro stile Grimm, è limitata alla scena in cui i cadaveri dei principi che hanno fallito nei loro tentativi restano appesi ai rovi. Immaginatevi quei corpi che si decompongono negli anni a seguire.


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