La Grande Sfida: Indiana Jones V vs Mission: Impossible VII… o il Trionfo del Pilota Automatico

DI ALBERTO GROMETTO

“Oramai la gente del Cinema è brava solo a sfornare sequel, prequel, remake, spin-off! Nessuno che voglia puntare su un’idea nuova, fresca, originale. Tutti pronti a battere la strada sicura e già percorsa sfruttando il successo del passato, piuttosto che accollarsi il rischio di tentare il diverso!”.

Quante volte abbiamo sentito pronunciare questo luogo comune? TANTE! Il fatto è che i luoghi comuni non sono sempre malvagi o disprezzabili, come spesso vogliono farci credere. È anzi uno sciocco luogo comune dire che i luoghi comuni non servano a niente e siano finanche dannosi. Il luogo comune, se usato a fin di bene, può essere un ottimo strumento per decifrare la realtà che ci circonda. E nel caso specifico del luogo comune citato in apertura di questo pezzo, diciamolo subito: è vero, c’hanno ragione! 

Non che non esistano tanti valenti Eroi cinefili pronti a dare la Vita e ad immolarsi alle Divinità della Settima Arte regalandoci storie nuove, personaggi nuovi, vicende nuove. Battere strade inesplorate e scoprire modi inusitati di raccontare cose diverse con un fare diverso. Ma il cinema cosiddetto MAINSTREAM (termine che suona molto bene a dirlo ma che è assai dannoso!), quello di massa, fatto per il grande pubblico, oramai si basa essenzialmente e quasi solo esclusivamente su trame e narrazioni già raccontate in passato e portate avanti all’infinito per questioni, spiace dirlo, di pura e semplice natura economica. Non dobbiamo mai dimenticare che fin dall’alba della sua Storia, il Cinema è stato spettacolo, intrattenimento, autorialità, narrazione… ma anche industria, guadagno e business! 

E i Grandi Autori oggi? Che fine fanno? Combattono in nome di Arte, Cultura e Bellezza; lottano e lottano ancora per poter emergere; e alcuni di loro trionfano. Passano gli anni ma Geni del calibro di Steven Spielberg e Martin Scorsese sono ancora i Geni che sono, amati e celebrati. Lo strapotere delle piattaforme streaming divora le sale cinematografiche, ma alcuni guerrieri, in primis il sovrumano Paul Thomas Anderson, non s’arrendono e ancora fanno film fatti per le sale. Ma sì, in mezzo vi sono anche tanti nobili caduti. 

E il mio pensiero in questo momento va al regista, sceneggiatore, attore e produttore Xavier Dolan. Egli ha raggiunto il successo a soli 20 anni, incoronato dalla critica internazionale, autore di pellicole squisitamente cinematografiche e oltre ogni modo osannate. Otto film in dieci anni. L’Enfant Prodige del Cinema, così lo chiamarono. Recentissima, nel momento in cui scrivo, la notizia del suo ritiro dal Cinema, quel mondo che lui ha amato più di qualsiasi altra cosa. Sono stanco di fare film che non vede nessuno, così ha detto. Ha usato espressioni come «perdita di tempo» oppure «non ho più la forza». È stata una delle interviste più tristi e dolorose possibili, per ogni amante cinefilo. Xavier, noi speriamo tu possa ripensarci e tornare sui tuoi passi. Hai sempre raccontato storie di lottatori e sognatori disposti a mettersi in gioco e continuare a combattere per essere veri e autentici, anche se avevano il mondo contro.  Speriamo tu voglia fare la loro stessa scelta.

(Xavier Dolan)

Ora vi dico la verità: ho cercato di prendermi tutto il tempo del mondo e parlare di qualsiasi cosa per rimandare il più tardi possibile questo momento. Ma ora mi sa che mi tocca! Eh, sì: LA GRANDE SFIDA di oggi non è per nulla esaltante. C’è di peggio, certo. Ma c’è anche di meglio. E anzi: 

Forse talvolta è preferibile, se non si ha il meglio, avere il peggio. Almeno il peggio te lo ricorderai per sempre, t’ha emozionato in qualche modo e forma, te lo porterai dietro. Se si ha qualcosa che non è né il meglio né il peggio, che non è né l’uno né l’altro, allora avrai vissuto qualcosa di cui ti scorderai e che non ti ha cambiato in alcun modo. Ma è il cambiamento quello a cui noi aneliamo nella Vita, nelle Storie, nell’Arte. Noi tutti siamo qui per aspettare un cambiamento, vivere un cambiamento, volere un cambiamento. Se niente cambia, allora non ne vale la pena. 

Ecco, l’ennesimo capitolo della saga di INDIANA JONES così come quello di MISSION: IMPOSSIBLE hanno questo in comune! L’essere due pellicole che non possono essere definiti orridi fiaschi ma nemmeno due perle meravigliose. Sono solo l’ennesimo sequel che va a prendere l’ennesimo personaggio raccontando l’ennesima avventura per l’ennesima volta solo per fare l’ennesimo pacco di soldi! Quasi nient’altro, in sostanza.

Da una parte il professor Jones, l’eroe spielberghiano per la prima volta non diretto da Steven ma dal (solitamente) abile James Mangold. Il nostro Harrison Ford, che per la quinta volta veste i panni dell’archeologo più cool che esista, fa sempre ridere, anche se in questo caso è una versione burbera e stanca di Indy quella che interpreta. Il suo personaggio, per come scritto, rappresenta un uomo oramai in pensione che non ha più niente per cui lottare: famiglia, lavoro, passione. Nemmeno un’avventura da vivere, come quelle di un tempo. Ma, sorpresa delle sorprese, sarà alla fine l’avventura a venire da lui! Chi lo avrebbe mai detto? Ben 154 minuti di film spesi perlopiù in inseguimenti, inseguimenti, inseguimenti e ancora inseguimenti… l’ho già detto “inseguimenti”? In mezzo stanchissime e annoiate riproposizioni di vecchie cose già viste e vissute. Unica e sola nota positiva: lei, l’attrice, Phoebe Waller-Bridge che ci regala un personaggio e una performance veramente meritevoli, ironici, memorabili. Ma per il resto nient’altro. 

Dall’altro lato ecco il baldo giovanotto sessantenne Tom Cruise e il suo super agente segreto Ethan Hunt, la spia più famosa della Storia del Cinema dopo Bond. James Bond. Anche qui, nel film diretto da Christopher McQuarrie, ritroviamo le stesse identiche riproposizioni di vecchie scene adrenaliniche al cardiopalma, vecchi travestimenti perfettamente congegnati, vecchie missioni all’apparenza impossibili ma che alla fine… non si sa come, non si sa perché… ce la fanno sempre a renderle possibili. Nei suoi 163 minuti (nove in più di Indy Jones), questa pellicola non fa assolutamente nulla di nuovo o di diverso rispetto a qualsiasi altro film della saga. Certo, rimaniamo meravigliati da come quel folle pazzo vecchio-sempre-eternamente-giovane Tom riesca a stupirci con le sue elaborate e folli acrobazie ancora oggi, questo sì! Ma non c’è davvero nient’altro. 

Okay, se vogliamo davvero provare ad essere ottimisti e completamente sinceri, entrambe le pellicole, INDIANA JONES E IL QUADRANTE DEL DESTINO e MISSION: IMPOSSIBLE – DEAD RECKONING – PARTE UNO tentano in ambo i casi di partire da un presupposto diverso dal solito. Nel caso dell’archeologo, al centro della vicenda abbiamo a che fare con un oggetto capace di farti viaggiare, ma non a livello geografico. Nel caso della spia, la missione riguarda un tema più attuale che mai, e cioè una nuova nuovissima intelligenza artificiale in grado di conoscere tutti i nostri segreti, essere onnipresente e onnisciente e onnipotente, trovarsi dappertutto e da nessuna parte. Ma trattasi in realtà di meri pretesti. E cioè un qualcosa il cui unico scopo è far partire la stessa solita storia di sempre. 

Harrison e Tom continuiamo ad amarli, questo è certo. Indy ed Ethan pure. E sfido chiunque a non esaltarsi di fronte alle loro due colonne sonore, così diverse l’una dall’altra ma accomunate dal condividere l’eterna immortalità! Ma, alla fin fine, sono due pellicole realizzate col cosiddetto “pilota automatico”. E cioè film fatti tanto per essere fatti, che porteranno a casa dei soldi certo, ma che non lasceranno il segno in alcun modo e che tra un anno (o forse anche un mese?) saranno dimenticati. Perché film realizzati col pilota automatico, portano inevitabilmente anche lo spettatore stesso a vederli col cervello settato sul “pilota automatico”. Lo spettatore se ne sta lì, seduto in poltrona, davanti allo schermo, e guarda, guarda passivamente. Magari sorride, di tanto in tanto. Ma può pensare ad altro, distrarsi anche per un’ora intera, chattare col telefono. Quando poi tornerà al film, riuscirà comunque a ricostruire tutto. E non si sarà perso niente. Queste le parole peggiori: NON SI SARÀ PERSO NIENTE.

Ma chi la vince, dunque, questa Grande Sfida? Sono un fan di entrambe le saghe. Ma il mio amore, tra le due, spetta senz’altro indubbiamente a quella di quell’adorabile spaccone di Indiana, non per niente nato dalla mente e dal cuore di uno dei miei più grandi IDOLI ED EROI personali, cioè Steven Spielberg. E dunque, proprio perché il mio amore va alla saga di Indy, il premio della Grande Sfida se lo aggiudica il settimo capitolo di «Mission: Impossible»! Esatto, assegno la vittoria a Ethan Hunt perché, non amando la sua saga come quella del mitico archeologo, ci rimango meno male quando mi rendo conto che hanno realizzato un ennesimo capitolo senza impegno, inserendo il pilota automatico, senza rispetto alcuno per la dedizione e la passione messe quando la loro storia venne raccontata per la prima volta. 

Credo che Ethan ed Indy siano stanchi, dopo tutte le avventure vissute. Salutiamoli con gratitudine, ricordiamo le loro gesta, non dimentichiamoli mai. Qualcuno una volta disse: Amare è lasciare andare. Quindi, il mio appello: lasciamoli andare, guardiamoci intorno e vediamo cosa c’è di nuovo. 

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