DI GIACOMO CAMISASCA
“Chi eravamo sulla montagna?”
Se lo chiede Numa Turcatti, il protagonista della pellicola “La Società della Neve”, film fuori concorso che chiude il Festival del Cinema di Venezia.
Il regista spagnolo J. Antonio Bayona (lo stesso di “Sette minuti dopo la mezzanotte” e “The Impossible”) dirige questo survival movie tratto da un famosissimo fatto di cronaca datato 13 ottobre 1972, quando un aereo, partito per il Cile e con a bordo dei giovani giocatori di rugby uruguaiani, precipitò rovinosamente sulle Ande, causando la morte di 29 persone. “La Società della Neve” è la storia dei 16 ragazzi tra i 18 e i 30 anni sopravvissuti due mesi nel Glaciar de las Lágrimas tenendo saldi testa e corpo contro i -40 gradi notturni, seppelliti dalle valanghe e in lotta con la fame.
Già, la fame. Quando un corpo umano rimane troppe settimane senza ingerire cibo, il cervello inizia a consumarsi, e poco importa aggrapparsi alla fede: in mezzo alla montagna si è soli, abbandonati.
“Chi eravamo sulla montagna?”
Bayona scava nei ricordi dei superstiti, quattro di loro presenti in Sala Grande per la Prima mondiale, e invece di optare per un film prettamente storico, decide di puntare il suo occhio sugli aspetti più intimi della vicenda.
Traspare, durante i 144 minuti di film, un senso di fratellanza, di gruppo, che man mano che la pellicola va avanti, sedimenta nei nostri cuori, rendendoci inesorabilmente il diciassettesimo sopravvissuto.
C’è un’evoluzione nella tragedia, una rinascita nella morte. La montagna che, nella sua forma più filosofica, è il luogo più vicino a Dio, un posto per molti considerato sacro, non è che il mare di ghiaccio in cui si compie la tragedia ma, allo stesso tempo, il miracolo.
Miracolo? E questo sarebbe un miracolo? si chiede uno dei protagonisti.
È difficile rimanere ottimisti in una circostanza simile, ma per alcuni quel disastro così alienante e buio è diventato un momento di fede assoluta, non in un’entità superiore pronta a salvarli, ma verso i propri compagni di sventura.
Il gruppo si solidifica e diventa una cosa sola, tutte le decisioni vengono prese nella trasparenza più pura, anche quelle inimmaginabili, quelle che nessuno dovrebbe mai prendere.
Cosa saresti disposto a fare per sopravvivere?
Tutto.
La morte diventa un ospite fisso e i corpi di amici e compagni di viaggio diventano proteine necessarie per andare avanti, per avere di nuovo quelle forze che tengono le persone legate alla vita.
Bayona ci fa immergere in quel mare, fino al punto di non ritorno, là dove il cannibalismo diventa necessario, ma il regista è bravo a trattarlo in maniera delicata, senza mai indugiare troppo sull’atto in sé, ma cercando di farcelo vedere attraverso gli occhi scavati e i primi piani di bocche, ormai stanche, che faticano a masticare pezzi di carne dura e ghiacciata.
“La Società della Neve” è per la maggior parte paesaggio, si nota fin da subito che quello che abbiamo davanti non è frutto di effetti speciali o di fondali. Bayona ha girato gran parte delle scene in esterna nel luogo esatto dell’incidente.
La montagna, con le sue cime, le sue creste illuminate dalle albe e dai tramonti, sfonda lo schermo e noi rimaniamo di sasso davanti alla sua bellezza.
La fotografia di Pedro Luque è magistrale e, se sommata al comparto sonoro, il risultato diventa parte integrante dell’epica.
I momenti di silenzio, anche improvvisi, sono tanti e vengono utilizzati sempre in maniera metodica e intelligente, così come i suoni, in particolare quel rumore ovattato che, come un brusio di fondo, ci rimane in testa per tutto il film.
Il film di Bayona non è esente da pecche, poche però e che non danno fastidio. Alcuni concetti vengono ripetuti più volte, ci si sofferma molto su certe scene che possono apparire forzate ma che sono necessarie per giocare con i sentimenti dello spettatore e poi la durata, soprattutto nella parte centrale della pellicola, ma nonostante ciò si rimane lì, incollati allo schermo.
Prodotto dal colosso Netflix, “La Società della Neve” è di un livello superiore rispetto a quello che il servizio di streaming è stato solito proporre ultimamente, chissà che non possa spuntarla ai prossimi premi Oscar come miglior film straniero.
Chi eravamo sulla montagna? si chiede Numa Turcatti.
Dei ragazzi che volevano vivere.
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