DI ELODIE VUILLERMIN
La Disney ci ha abituati a storie che fanno sognare, a mondi incantati di principi e principesse dove tutto è colorato, allegro e spensierato. Ci ha mostrato storie che partono con l’immancabile “c’era una volta” fino ad arrivare al classico “e vissero felici e contenti”. In realtà non è sempre stato così.
C’è stata un’epoca in cui la Disney se ne fregava abbastanza del politically correct e di “proteggere” i giovani spettatori a tutti i costi. Basti pensare alle morti traumatiche di Mufasa o della mamma di Bambi, a scene allucinanti quali gli elefanti rosa di Dumbo, o a interi lungometraggi dai toni cupi e ansiogeni come Taron e la pentola magica. Abbiamo visto tutto questo quando eravamo piccoli, eppure siamo sopravvissuti senza troppi problemi.
Oggi la Disney, visto il target a cui si rivolge, si preoccupa molto di più di non raccontare storie troppo crude, per non sconvolgere i bambini. Se però si va a cercare la fiaba originale o il libro da cui è stato tratto il film Disney, spesso e volentieri si scopre che quest’ultimo è solo una versione più edulcorata di una storia che, il più delle volte, non era affatto per bambini, ma piuttosto per un pubblico più grandicello. Perfino quei film dalle atmosfere giocose ma con qualche scena dai toni più cupi qua e là sono, nel complesso, più “addolciti” rispetto alla loro versione originale. Walt non poteva certo adattare interamente, scena per scena, una fiaba dei fratelli Grimm. Avrebbe rischiato di perdere il suo pubblico, invece che attirarlo.
Con questo non voglio però dire che tutti i film della Disney sono stati tratti da storie cruente. Ma quanto divergono, esattamente, i classici animati di Walt dalla storia da cui prendono ispirazione? I cambiamenti sono tanti. Possono riguardare la cancellazione o la modifica di intere scene, personaggi dal ruolo più centrale relegati a figure secondarie o con ruoli del tutto diversi rispetto a quelli che avevano in origine, l’ordine degli eventi cambiato, concetti molto crudi e inquietanti che vengono ammorbiditi e adattati al giovane pubblico di riferimento, o addirittura l’inserimento di personaggi non presenti nella versione originale. Addirittura alcuni film non si basano su un’unica versione della storia originale, ma mescolano all’interno più varianti della stessa.
Perciò vi do il benvenuto in questa rubrica, dove analizzeremo i classici Disney e la loro reale ispirazione, ma soprattutto le differenze con l’originale. Questo è Otherside: l’altra faccia della Disney.
Cominciamo dal capostipite dei classici di zio Walt: Biancaneve. La versione più celebre di questa fiaba risale al 1812 e a raccontarla furono… indovinate chi? Vediamo se la parola “macabro” vi suggerisce qualcosa. Esatto, proprio loro. Quei geni folli dei fratelli Grimm. La prima sostanziale differenza con la versione disneyana sta nel legame che unisce Biancaneve e la regina cattiva: quest’ultima infatti non è la matrigna, ma la madre naturale della fanciulla; la quale, tra l’altro, aveva soli sette anni quando lo specchio disse alla regina che la figlia l’aveva superata in bellezza.
Anche nella fiaba dei Grimm la regina cattiva vuole uccidere la figlia. Ma qui non si limita a volere il cuore della fanciulla come prova della sua morte. Vuole i suoi organi, nello specifico fegato e polmoni, per condirli con sale e pepe e… mangiarseli. Perché era convinta che così facendo sarebbe diventata lei stessa bellissima. Che simpatici mattacchioni i Grimm, eh? Qui l’ossessione della regina per la propria bellezza e l’invidia per la figlia raggiungono livelli di una mostruosità inaudita.
Anche nei Grimm c’è un cacciatore che viene mandato a uccidere Biancaneve. Ma, proprio come nella versione Disney, la risparmia e la lascia fuggire, portando invece alla regina gli organi di un cinghiale. E anche i nani mantengono lo stesso ruolo delle loro controparti disneyane.
Non mancano, ovviamente, le tentazioni della regina cattiva, sotto forma di strega. Sì, ho detto tentazioni, al plurale. Perché se nel film della Disney ella incontra Biancaneve una volta sola, nella fiaba originale la tenta ben tre volte. La prima con un pettine avvelenato e la seconda con un corsetto che si stringe all’infinito intorno a te finché non soffochi. Entrambi i tranelli falliscono, sventati dai nani che arrivano in tempo. Ma la mela funziona. Al terzo tentativo, quello che per la Disney era il primo e l’unico. Però quella mela non era avvelenata. Per i Grimm, Biancaneve moriva perché finiva per strozzarsi con un pezzo di mela troppo grosso, rimasto incastrato in gola.
E il principe? Biancaneve non lo incontra mai a palazzo, contrariamente a quanto ci ha mostrato il film animato. La prima volta che il principe la vede è quando Biancaneve è già cadavere nella bara di cristallo da un tempo lungo e indefinito. Eppure non la risveglia con un bacio. Non c’è alcun bacio del vero amore, qui. Il vero amore è un concetto inventato dalla Disney. I Grimm non si sognerebbero mai di essere romantici. È una cosa più assurda di un vegano che entra in macelleria.
Tra l’altro, il principe non è un gentiluomo. È un necrofilo. Vuole talmente tanto portarsi via la fanciulla, seppur cadavere, che chiede ai sette nani di comprarla, e loro rifiutano. È solo quando chiede di averla come dono che questi si piegano e accettano. Così il principe si porta con sé Biancaneve e pur di averla sempre con sé incarica i suoi servitori di trasportare la bara ovunque egli vada. Ma un giorno uno dei servi, stanco di dover portare quel grande peso sempre in giro, diede un colpo sulla schiena di Biancaneve talmente forte da farle sputare quel pezzo di mela, riportandola in vita. In altre versioni è l’inciampo di uno dei servitori a far cadere la bara e a far sputare la mela alla fanciulla.
I sette nani sono sicuramente tra i personaggi più memorabili del classico di Walt, ognuno con una personalità distinta. Nella fiaba originale non erano per niente caratterizzati, risultavano tutti simili tra loro. Non avevano nemmeno dei nomi.
Ma la parte migliore deve ancora arrivare. Biancaneve e il principe, come nella versione Disney, si sposano. Se però nel film animato non vediamo la cerimonia di nozze né altro, i fratelli Grimm aggiungono una scena che riscrive il concetto di “sadismo”. Infatti la ragazza e il suo sposo invitano la regina cattiva al loro matrimonio e le fanno indossare scarpe di ferro arroventato, con cui la donna è costretta a ballare fino alla morte. Uno scenario alquanto brutale, rispetto alla morte a cui è andata incontro la regina cattiva nel classico Disney (caduta accidentale da un dirupo).
Ci sono poi altre varianti della fiaba. Secondo La Bella Venezia, una versione inserita nei racconti popolari di Italo Calvino, la madre che prova invidia e gelosia per la figlia è una locandiera, i sette nani sono rimpiazzati da dodici ladroni e il cacciatore incaricato di uccidere Biancaneve è in realtà uno sguattero della locanda. Addirittura esistono una variante sarda della fiaba e un’altra di una provincia delle Dolomiti. La figura della regina cattiva è citata in molti Paesi: basti pensare che esiste un poema malese dove la protagonista è una regina che chiede allo specchio parlante chi è la più bella del reame, o ancora un racconto indiano dove la regina invidiosa della bellezza della figlia si rivolge non a uno specchio parlante, bensì a un pappagallo.
Ma la fiaba dei Grimm da dove ha origine? Un’ipotesi ce la fornisce lo storico Eckhard Sander nel 1994. Secondo lui Biancaneve è realmente esistita e sarebbe stata in realtà Margaretha von Waldeck, una contessa tedesca nata dal conte Filippo IV di Waldeck-Wildungen e dalla sua prima moglie Margherita nel 1533. Pare che ella ebbe pessimi rapporti con la severissima matrigna, Katharina di Hatzfeld, che il padre aveva sposato in seconde nozze. A 16 anni la giovane fu obbligata ad andare in esilio a Bruxelles. Lì si innamorò del principe che sarebbe diventato poi Filippo II di Spagna. La relazione tra i due fu fortemente disapprovata per ragioni politiche e Margaretha morì a soli 21 anni, stando alle testimonianze storiche, per avvelenamento. Si ipotizza che a ucciderla sia stato il padre di Filippo II, ossia il Re di Spagna Carlo V, contrario all’unione.
E i sette nani? Per Sander erano sette bambini, resi schiavi da Filippo IV e costretti a lavorare nelle sue miniere di rame. I loro corpi in età adulta sarebbero diventati deformati proprio per le condizioni di lavoro disumane a cui erano sottoposti.
Anche la mela avvelenata sarebbe riconducibile a un evento accaduto realmente. Nello specifico, l’arresto di un anziano uomo che vendeva mele avvelenate ai bambini che gliele rubavano, come forma di vendetta.
Un’altra versione, ipotizzata da un gruppo di studiosi di Lohr, sostiene che la vita di Biancaneve sia ispirata a quella di Maria Sophia von Erthal, figlia del principe Philipp Christoph von Erthal e della baronessa Von Bettendorff, nata in Baviera nel 1725. Alla morte della consorte l’uomo si risposò con Claudia Elisabeth Maria von Venningen, contessa di Reichenstein, a cui regalò uno “specchio parlante”. Smorzo subito le vostre fantasie: no, non funzionava tramite la magia. Era un giocattolo acustico molto in voga all’epoca, uno strumento che poteva registrare e riprodurre la voce di chi gli rivolgeva la parola. Si trova tuttora nel Museo Spessart.
I nani, in questa storia, erano dei minatori di bassa statura che lavoravano a Bieber, una città tra le montagne dove le gallerie più piccole potevano essere raggiunte solo da minatori molto piccoli. Inoltre questi sette nani indossavano dei cappucci colorati, proprio come le loro controparti disneyane. La bara di vetro potrebbe essere collegata alle vetrerie del luogo, mentre la mela avvelenata sarebbe un riferimento alla belladonna, una pianta velenosa che fioriva in gran quantità nei pressi del castello del principe von Erthal.
Facendo un piccolo passo indietro, anche in questa versione la matrigna odiava la figliastra per la sua bellezza e la costrinse a fuggire di casa. Maria Sophia visse come una vagabonda nei boschi vicini, aiutata appunto dai sette piccoli minatori che lavoravano per suo padre, fino a che non morì di vaiolo.
E questo era solo il primo capitolo. Siete pronti a sapere di cosa parleranno i prossimi?
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