DI GIACOMO CAMISASCA
Parlare, o in questo caso scrivere riguardo al concetto di amore e occasioni perdute, può risultare banale e stucchevole, si rischia sempre di cadere in quei luoghi comuni che in fondo non aggiungono nulla di nuovo e risultano fini a sé stessi.
Prendete una qualsiasi commedia romantica americana e non, lo schema è molto semplice:
C’è un lui, c’è una lei, entrambi si innamorano al primo sguardo ma nel mezzo, i nostri due eroi, troveranno una serie di ostacoli, come ad esempio il fidanzato e promesso sposo di lei che risulta essere un personaggio odioso, talmente fastidioso da far crollare ogni dubbio a noi spettatori.
E così si inizia a parteggiare per il protagonista, tutti speriamo che alla fine riesca a conquistarla in un modo o nell’altro.
Dopo varie peripezie che ci fanno credere che sembra tutto perduto, il finale ci fa tornare il buonumore, magari con la fuga di lei dall’altare per raggiungere lui, che intanto sta prendendo un aereo per chissà dove e prima di imbarcarsi sente la sua voce, che arriva come una melodia, come un miracolo e il film finisce con un bacio e una canzone gioiosa, e noi spettatori usciamo dalla sala felici, pieni di giubilo e pronti a fare l’esatto contrario nella vita reale.
Questo è, più o meno, uno dei tanti schemi da non rompere se si vuole realizzare una Rom-com coi fiocchi.
Però bisogna stare attenti, perché basta togliere un ingranaggio per far cadere a pezzi ogni cosa.
La commedia rischierebbe di diventare una tragedia o peggio, rischierebbe di raccontare in maniera lucida e sensata quello che accade fuori dalla sala cinematografica, quello che è il vero significato dell’amore, un tema che non può esistere senza un briciolo di sofferenza.
Celine Song, al suo debutto dietro la macchina da presa, decide di rompere lo schema e porta in scena un pezzo della sua vita con Past Lives, un film che racconta la storia di Na Young (Greta Lee) e Hea Sung (Teo Yoo), due amici d’infanzia che nel corso di 24 anni contemplano la natura della loro relazione.
Il tutto comincia a Seul, in Corea del Sud, dove i due protagonisti dodicenni iniziano a nutrire sentimenti l’una per l’altro, è il preludio a un amore, quello più puro, visto con gli occhi di due ragazzini che percorrono la stessa strada da scuola a casa e che credono che quella sia l’unica realtà possibile.
Ma ecco il primo ostacolo, la famiglia di Na Young decide di emigrare a Toronto in Canada, e lei cambia nome in Nora Moon, e così quella piccola realtà rimane indietro, inizia a diventare solo un ricordo sbiadito e quell’amore viene congelato ancora prima di sbocciare.
Dodici anni dopo, nel 2012, Hea Sung ha terminato il suo servizio militare e Nora si è trasferita a New York.
Un giorno, Nora scopre su Facebook che Hea Sung ha provato a contattarla ma ignaro del suo cambio di nome non ci è riuscito.
I due si riconnettono poco dopo con lunghe videochiamate in cui a vicenda si raccontano ogni cosa, passando ore e ore davanti allo schermo, ma parlarsi e basta è frustrante, i due vorrebbero incontrarsi di persona ma i loro impegni impediscono di colmare quella lunga distanza e così Nora decide di interrompere quegli incontri virtuali, un modo per non soffrire ulteriormente, un modo per non pensare a quei ragazzini di dodici anni che nelle strade di Seoul avevano trovato qualcosa di speciale.
Nora si dedica alla sua scrittura e in un ritiro a Montauk incontra Arthur Zaturansky, i due si innamorano e noi dovremmo esserne furiosi, ma questo non accade.
Ecco che la regista coreana rompe lo schema, creando un personaggio – quello del mite Arthur – che è l’esatto opposto del classico antagonista brutto e cattivo.
Il rapporto tra lui e Nora è sincero, dolce e questo ci destabilizza, perché molto semplicemente le cose si complicano, in un modo difficile da spiegare.
Passano altri dodici anni, Arthur e Nora oramai sposati vivono nella “Grande Mela”, tutto sembra tornato ad un suo equilibrio, il passato di lei è rimasto indietro e non ha intaccato minimante il suo presente ma il destino sa essere crudele, perché Hea Sung decide di andarla a trovare.
Quello che succede dopo, quello che accade quando Nora e Hea si rincontrano dal vivo dopo 24 anni è alla pari di una performance funambolica, se a dodici anni avevano tutto lo spazio del mondo per potersi amare, ora quello spazio si è assottigliato vertiginosamente diventando soltanto un filo in cui è difficile muoversi, in cui è complicato riuscire ad aprire il proprio cuore.
E se anche il personaggio di Arthur si rende conto che forse la sua presenza è l’unico motivo per cui questo amore non riesce a divampare, allora a noi spettatori non ci resta che aspettare nel buio della sala, attendere che i due protagonisti finiscano la loro camminata sul filo e capire se sarà un incontrarsi a metà oppure un voltarsi e continuare il loro percorso separati.
Arthur in questo frangente incarna l’onestà, si rende conto che tra i due c’è un sentimento che non potrà mai svanire e invece di ostacolare il tutto, comportandosi da nemico, decide di lasciare che sia il tempo e soprattutto Nora a decidere il futuro del suo destino.
Nora si chiede cosa fossero lei e Hea Sung l’una per l’altro nelle loro vite passate, e cosa sarebbe successo se lei non avesse mai lasciato la Corea del Sud e fossero rimasti insieme.
Già, cosa sarebbe successo se… è una domanda universale che tutti noi ci poniamo in ogni occasione, cosa sarebbe successo se invece di quella strada ne avessi presa un’altra? Dove sarei ora? Sarei più felice o meno felice?
Past Lives, presentato in concorso il 21 gennaio 2023 al Sundance Film Festival, non è una commedia romantica, ma è un pezzo di vita raccontata nella maniera più onesta e dolorosa possibile.
La pellicola, candidata a due Premi Oscar (miglior film, miglior sceneggiatura originale), si trova nelle sale e il mio consiglio è, ovviamente, di fiondarvi nel cinema più vicino perché poi lo so come va a finire se non andate, che inizierete a domandarvi: “Cosa sarebbe successo se fossi andato al cinema a vedere Past Lives, quella sera di febbraio del 2024? Magari avrei incontrato qualcuno di speciale, proprio nel posto vicino al mio, chissà…”.
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