Barbie Vs The Substance: Al di là del rosa glamour e della carne maciullata, quel che Noi siamo davvero

DI ALBERTO GROMETTO

Rosa, super-fashion, glamour, rosa, chiassoso, tutto luccicante e patinato, rosa, bello e giocattoloso… l’ho già detto rosa?… rosa, rosissimo e bambinesco! Le fantasie delle bambine che tutti i pomeriggi giocano con le loro bambole prendono vita, e le donne adulte che oramai con quelle bambole non giocano più tornano bimbe di fronte a quella visione!

Obbrobrioso, scomodo, viscido, silenzioso, abominevole, grottesco, ambiguo, indecente, schifoso, sanguinolento, carne viva che fuoriesce da corpi fradicia e deteriorata e avariata, il marcio (LETTERALMENTE!) che alberga dentro di Noi e nel privato d’ognuno di Noi e che viene fuori in tutta la sua disgustosa essenza e che lascia annichiliti!

Sulla carta, possono esistere due perle cinematografiche più diverse e opposte di «BARBIE» e «THE SUBSTANCE»???

Da una parte il successone mondiale targato 2023 che s’è portato a casa quasi un miliardo e mezzo al punto che è attualmente il sedicesimo incasso più grande di tutti i tempi, che ha reso la ricca azienda di giocattoli Mattel ancor più ricca di quello che già era e che “giocava sul sicuro” in termini economici dato che puntava tuto quanto sull’iconica bambola per eccellenza!

Dall’altra una piccola perla risalente al 2024 e appartenente ad un cinema autoriale che più di nicchia non si può, che rientra in un genere molto specifico e preciso, e cioè quello del body horror nella sua forma più scioccante e orripilante, privo di spaventi o jumpscare, ma incentrato su macabre deformità fisiche e mutilazioni deturpanti. Poco meno di 20 milioni spesi, quasi 80 guadagnati.

Ambedue grandissimi protagonisti della loro stagione cinematografica, al punto da essere stati rispettivamente candidati il primo a 8 e il secondo a 5 Premi Oscar. Per quanto però entrambi siano rimasti piuttosto (E IMMERITATAMENTE!!!) a bocca asciutta, portandosi a casa solamente una statuetta a testa: quella alla Miglior Canzone Originale per il rosa «Barbie» e quella al Miglior Trucco e Acconciatura per il gore e splatteroso «The Substance». 

Ripeto: è veramente possibile accostare questi due titoli e inserirli tra tutti i bizzarri e stravaganti e assurdi accostamenti possibili (e di cui questa nostra specialissima rubrica, «La Grande Sfida», è già piena zeppa di suo)???

Innegabile che entrambi siano stati salutati come massimi esempi di un cinema che potrebbe essere chiamato femminista. E questo è assolutamente indiscutibile, ma ci tengo a sottolineare che, al di là di questo aspetto, sono due pellicole che si rivolgono a chiunque. E anzi, proprio perché son cosiddetti “femministi”, si rivolgono a chiunque: non mi stancherò mai abbastanza di dire, ripetere ed evidenziare come le discriminazioni, le angherie e i soprusi che le Donne hanno subito e tuttora subiscono da parte di questa nostra perversa società ingiusta tocchino chiunque di Noi, maschi o femmine, per il fatto che siamo tutti parte di quella stessa cosa che si chiama “Umanità”. E come disse un individuo ben più saggio del sottoscritto, LUCIO ANNEO SENECA: «Chi non impedisce un’ingiustizia, ne è complice».

Va sicuramente sottolineato come le autrici, creatrici, ideatrici, artefici e menti brillanti dietro ambo le pellicole siano due splendide Donne di Cinema che, a dispetto dell’ambiente maschilista e retrogrado nel quale lavorano, sono riuscite a raggiungere una platea a livello mondiale così ampia e soprattutto ad ottenere una tale risonanza realizzando pellicole che affrontano tematiche, per l’appunto, considerabili come “femministe”.

Da una parte l’americana GRETA GERWIG, che partita come attrice spigliata e di talento ha deciso di debuttare come sceneggiatrice e regista rivelandosi a dir poco sublime, e arrivando infine a coscrivere insieme al compagno (sul lavoro e nella vita privata) NOAH BAUMBACH quello che è l’incasso più alto della Storia del Cinema per un film diretto da una donna.

(Fragorosi applausi per la grande grandissima Greta Gerwig!)

Dall’altra la francese CORALIE FARGEAT, sceneggiatrice e regista veramente eccezionale, che dopo una lunga gavetta riesce prima ad esordire e poco dopo a imporsi sulla scena internazionale col suo secondo lungometraggio.

(Un inchino di fronte al sommo talento di Coralie Fargeat!)

Okay, va bene, ma rimane la domanda: solo perché affrontano la stessa tematica e perché frutto del lavoro di due straordinarie autrici cineaste, possono veramente essere accostati due film che più diversi non si può? Uno che ti parla della fashion doll più celebre di sempre puntando al miliardo di incasso, l’altro invece assolutamente di nicchia e che quindi fin da subito si dichiara come un prodotto “non di massa”, anzi, forse proprio per pochi? (La persona con cui lo andai a vedere, mi disse che non avrebbe dormito per una settimana tanto lo aveva turbato!).

A chi mai verrebbe in mente di paragonare due robe del genere? 

Beh, di sicuro ad una delle persone più brillanti ed eccezionali che io abbia mai avuto l’onore e il piacere di incontrare nella mia Vita, e a cui sono infinitamente grato perché, tra le altre cose, un bel giorno – senza forse nemmeno accorgersene – mi fece dono dell’ispirazione che mi serviva per poter scrivere questo pezzo parlandomi di come, a dispetto delle colossali differenze abissali, in realtà «Barbie» e «The Substance» parlavano della stessa cosa. E io aggiungo: in maniera non così dissimile da quanto si possa pensare! 

Il nostro è un mondo fondato sulle apparenze, sulle esteriorità, sul come una cosa sembra e non sul come è davvero. Sempre più spesso si finisce per essere quello che gli altri si aspettano tu sia, per voler essere come gli altri vorrebbero tu fossi. E non per voler essere come vorresti davvero essere. Quel che si è e quel che si sembra non sono e non saranno mai la stessa cosa. E ci si può anche provare a sembrare qualcosa che non si è. Oppure potresti lasciare al Mondo la decisione di scegliere, al posto tuo, cosa tu debba essere. Ma alla fine quel che si è potrai reprimerlo, demolirlo, ammazzarlo pezzo per pezzo… vincerà sempre, in un modo o nell’altro.

Ecco, questo non è solo il vero tema fondante di entrambe le due sensazionali vicende narrate. Ma è pure quel che si potrebbe dire delle pellicole stesse. Non solo della storia che raccontano, ma della loro stessa storia. Tutte e due indossano un determinato “tipo di pelle”, quasi opposto uno all’altro. Ambedue assumono dei fortissimi caratteri identitari ben precisi. Quello del mega-blockbuster gigantesco tutto rosa e glitterato destinato a fare i miliardi, e quello del piccolo prodotto assolutamente autoriale orrorifico, macabro e specificatamente pensato per una piccola nicchia. E invece entrambe sono assolutamente, totalmente, completamente diverse da quel che appaiono! 

Greta Gerwig avrà sì realizzato quel «Barbie» per arricchire i ricconi che lo hanno voluto e finanziato, ma lei è stata inaspettatamente geniale a cogliere la palla al balzo offertale da questa occasione per realizzare un’opera che fosse, sì commerciale, ma insieme anche innegabilmente autoriale. Lei, da Meravigliosa Autrice qual è, ha sfruttato quei soldi, quel potere e quella chance per poter fare ciò che le interessava davvero, e cioè Vera Arte e Vera Narrazione. E così il suo film sulla leggendaria Barbie non è una commercialata e basta, bensì la storia di una bambola che vive nel suo mondo colorato di bambole e che ha sempre fatto lo stesso tipo di vita, indossando lo stesso tipo di vestiti e rivestendo lo stesso tipo di ruolo. Fino a quando un giorno non inizia a fare pensieri sulla morte, smettere di camminare sulle punte (le Barbie camminano come se portassero sempre i tacchi, anche quando non li portano) e a desiderare di essere qualcosa di più di quello che era sempre stata. E allora è il panico, perché lei è sempre stata Barbie, e Barbie è sempre stata lo stereotipo della ragazza bella e solare e felice che conquista tutti con un sorriso e uno sguardo dolce, e se adesso non può più fare quelle cose, se adesso non può più essere quel tipo di persona, se adesso non può più addirittura voler essere Barbie… chi caspita potrà mai essere?

(Che interpreti spettacolari Margot Robbie e Ryan Gosling, i “Barbie & Ken” che mai più ci saremmo aspettati!)

Allo stesso modo, di primo acchito si potrebbe erroneamente credere che «The Substance» sia uno di quei film fatti per lasciar basiti e basta, che vogliono scandalizzare e nulla di più. Quando invece quel Genio che vi è dietro, la strepitosa Coralie Fargeat, utilizza quel canone e ne stravolge le regole con obiettivi narrativi ben precisi in mente e raccontando la storia che voleva raccontare lei! Perché ne esistono tanti di body horror disgustosi che si divertono ad immaginare corpi umani fisicamente piegati e distorti nelle pose e forme più orride possibili. Ma pochi sono degli scioccanti body horror rivoltanti che, mostrandosi nella loro “bruttezza”, ti raccontano però in realtà del Brutto che c’è dietro la Bellezza: perché la vicenda dell’attrice cinquantenne Elisabeth Sparkle, un tempo famosissima e sulla cresta dell’onda, mentre ora che ha compiuto la sua età viene considerata come “da buttare”, e che si dimostra disposta a tutto pur di essere la bella bellissima amata da tutti che era quand’era giovane – anche a far uso di una misteriosa formula segreta e ambigua e inquietante apparsa nella sua vita senza quasi sapere come – sfrutta il disgusto e l’obbrobrio visivo per parlarti del disgusto e dell’obbrobrio mentale, psicologico e morale che albergano in questo nostro porco mondo malato e schifoso! E che ti impone standard di Bellezza talmente alti che, per raggiungergli, potresti arrivare ad essere disposto a compiere il brutto.

(Ecco le meravigliose interpreti di «The Substance», quasi mai in scena insieme: in alto la Sovrumana Demi Moore nei panni della protagonista Elisabeth capace di regalarci una performance che farà la Storia; in basso la scintillante e splendida Margaret Qualley, giovanissima rivelazione sorprendente!)

«Barbie» ti parla di Barbie che un giorno decide di voler smettere di essere Barbie. E all’inizio non lo accetta. E non perché non sia quello che voglia davvero. Ma perché il Mondo la vuole così come era sempre stata, e lei non può deludere il Mondo. Allo stesso modo, il suo Ken che è sempre venuto dopo di lei, che è sempre stato il “Ken” di “Barbie & Ken”, che senza di lei non esiste perché è sempre esistito in funzione di lei… deve imparare ad essere abbastanza. Deve imparare ad occupare un suo posto nel mondo, che sia solo suo, e non fungere da mero affiliato di Barbie. Lui deve potersi bastare da sé. Imparare ad essere Ken, semplicemente Ken, e basta. E sì, è vero, le bambine da piccine avevano una sfilza di Barbie, l’intera collezione, ma un unico bambolotto di Ken (che doveva essere “il Ken” di tutte quante, compito ingrato o piacevole che fosse… spetta solo al bambolotto dirlo). E questo perché Ken non contava. E invece, nel film, deve imparare a contare da solo. E anche in questo «Barbie» risulta essere superlativo e sorprendente: in un film da cui ti aspetti che la protagonista indiscussa sia lei, avviene il ribaltone ed emerge come figura chiave e personaggio con cui empatizzare e che ha un suo ruolo anche proprio quel poveraccio di Ken! In tal senso, trattasi di una perla d’assoluto valore cinematografico che fa una cosa ben precisa, prendere tutti gli stereotipi possibili e, pigiando al massimo il piede sull’acceleratore, scardinarli tutti quanti realizzando il film su Barbie che mai più pensavi di vedere!

(Momento iconico di «Barbie»: “I’m Just Ken”, la canzone dei che i Ken cantano tutti in coro e di cui è impossibile non innamorarsi all’istante!)

In «The Substance» assistiamo alla disfatta di una bellissima donna (Elisabeth lo è davvero!) ma che ora quel Mondo scintillante di cui ha fatto parte non vuole più perché considera antiquata e obsoleta. Se Barbie non accetta il suo desiderio di non voler più essere Barbie, Elisabeth non accetta che sia quel Mondo a non volerla più in quanto Elisabeth. Perché Elisabeth è una donna meravigliosa, che però ha compiuto 50 anni. E a 50 anni sei finito, a quanto pare. E lei non vuole questo, non lo vuole a tal punto che… che è pure disposta a smettere di essere lei, se questo significa tornare ad essere quello che il Mondo vuole che lei sia. E così quando si ritrova questa cosa, tale sostanza in mano, che le promette di poter essere la miglior versione di sé stessa, più bella e giovane e attraente, lei l’assume senza pensarci due volte! E appena succede, cade per terra e dalla sua schiena esce una tipa giovanissima, sexy, seducente, attraente e con due chiappe da sballo (cosa molto chiara perché la Fargeat ce le mostra, non a caso, in continuazione!). Quella è Sue, e sarebbe la miglior versione di Elisabeth. Ma lo è davvero? Quando una è sveglia, l’altra è come in coma. Per una settimana, almeno. Poi devono scambiarsi. Di settimana in settimana. Ma le cose andranno storte (CHE SORPRESA!), e anche se una è l’altra e l’altra è una, e tutte e due sono una sola, finiranno comunque per accapigliarsi. E distruggersi. Perché è quello che succede quando rinunci al tuo vero te, quando rinunci all’autentica sostanza di quello che sei, per poter ottenere in cambio di essere ciò che gli altri vorrebbero tu fossi. Ma che tu non sei.

(Aneddoto interessante, e che ancora una volta dimostra come le cose non sono quel che sembrano: come ad esempio le stesse natiche di Margaret Qualley, che la Fargeat ci mostra in continuazione per denunciare lo sguardo maschile e sessista della nostra società; la stessa attrice ha infatti pubblicamente dichiarato di aver indossato delle protesi finte in luogo dei glutei marmorei per una buona causa, e cioè schierarsi contro la smania di perfezione estetica irraggiungibile… complimenti Margaret!)

Wow-wow-wow! Stiamo quindi parlando di due capolavori straordinari (mi sento di chiamarli così), realizzati da due fantasmagoriche Autrici, massimi protagonisti nel loro anno di produzione, capaci di scatenare clamore e chiasso a livello mediatico, che si fanno portatori di tematiche che sono, sì femministe, ma al tempo stesso umane e universali, e che per di più lo sono in una maniera per cui non scadono in grandi discorsi intrisi di retorica stantia priva di sostanza… no, ma sono quello che sono perché in primo luogo ti raccontano una storia, in ambedue i casi assolutamente affascinante! E che, in aggiunta a tutto questo, pur sembrando sulla carta una cosa rivelano in realtà di essere altro, e di avere un cuore e un’anima molto diversi da come appaiono. Un cuore e un’anima che per di più son molto simili tra loro!

Poco importa se uno è ambientato in un mondo giocattoloso e rosa e l’altro è cruento e feroce, poco importa se il primo è pieno zeppo di canzoni e balletti peraltro squisitamente comici e divertenti mentre il secondo è una pellicola perlopiù silenziosa che presenta in scena un solo personaggio avvolto nella sua sola solitudine, poco importa se uno è stato venduto come una cannonata campionessa di incassi e l’altro come un prodotto autoriale di nicchia pensato per pochi. Chissenefrega! Loro sono come i personaggi che raccontano: possono sembrare in un modo e possono essere visti dal Mondo intero in una certa maniera, in realtà la loro essenza è un’altra!

(Veramente stratosferico Will Ferrell in «Barbie»!)

Se in «Barbie» la bambola protagonista impersonata da un’immensa MARGOT ROBBIE si ritrova a visitare nel mondo “umano” l’azienda Mattel che – nella persona dello strampalato e buffissimo CEO interpretato da quel divino mattacchione di WILL FERRELL – racconta di essere una ditta fatta di donne quando invece ai posti di comando nel consiglio direttivo siedono solo uomini, così in «The Substance» è un uomo emblema assoluto di viscidume – l’Harvey recitato da un gigantesco DENNIS QUAID in stato di grazia – a spiegare alla protagonista che è fuori dal giro, nel mentre che si ingozza di gamberetti trangugiandoli a volontà. Se è una stratosferica e ineguagliabile DEMI MOORE degna di un’Oscar e che si consegna alla Storia con questa Leggendaria interpretazione che ha fornito nei panni di Elisabeth a mostrarci una donna che guarda la pubblicità delle nuove dive e non tollera di vedersi riflessa allo specchio e non sembrare una di loro, è un comicissimo RYAN GOSLING d’una simpatia e un carisma unici a regalarci in qualità di Ken una scena divertentissima e profonda insieme nella quale vediamo il bambolotto piangersi addosso perché non ha più la sua Barbie, e senza di lei lui non sa più chi sia. Due esempi d’altissimo Cinema che sanno essere iconici anche per come sono stati realizzati ma che però ti vogliono dire, in modi diversi, la stessa cosa.

(Orripilante e disgustoso il personaggio del produrre Harvey, reso immortale da un fenomenale Dennis Quaid!!!)

Desiderare di essere la miglior versione di sé va bene, ma a patto che quel “sé” sia davvero Tu. Rinunciare a sé stessi per piacere agli altri, non per essere belli, bensì per essere belli agli occhi degli altri, è quanto di peggiore possa esserci. Essere stato tutta la vita una cosa, avere avuto il ruolo che gli altri volevano tu avessi tutto il tempo, non implica che tu non possa prendere in mano la situazione e decidere che solo Tu possa decidere su di Te. Solo Tu hai il diritto e al tempo stesso il dovere di determinare chi sei e che vuoi essere.

Pensi ancora che paragonare «Barbie» e «The Substance» sia impossibile? Io piuttosto credo il contrario. E cioè che ora vedrò uno aspettandomi di vedere Ken sputazzare sangue in giro e guarderò l’altro credendo che all’improvviso una bambola bionda uscirà dalla schiena della bellissima Demi Moore. Eh sì, aveva assolutamente e indiscutibilmente ragione chi li ha accostati l’uno all’altro.

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