DI ELODIE VUILLERMIN
Niente di Personale non è un libro; è uno spettacolo di circo contemporaneo.
Lo puoi guardare.
Lo puoi ascoltare.
Lo puoi leggere.
Lo puoi sognare.
E tu non sarai solo un lettore.
Sarai un protagonista, un acrobata in equilibrio sul filo teso della vita.
Sin dalle prime pagine ci viene chiarito che non avremo a che fare con una buona lettura e basta, ma assisteremo a un vero e proprio spettacolo e saremo come gente seduta al cinema o a teatro. La prefazione è, di fatto, un’attesa prima della messa in scena, quei momenti di silenzio e di buio prima che il sipario si alzi e il palcoscenico, o lo schermo, sia popolato da attori che recitano. E ogni capitolo è sia un’esibizione, sia un viaggio nell’anima di qualcuno.
I protagonisti sono una trentina di artisti di circo contemporaneo. Il narratore ti invita a lasciarti andare, per poter essere partecipe dello stesso turbinio di emozioni che avvolge i personaggi. Vuole far sì che l’anima di Peter, di Chiara e di tutti gli altri risuoni con la tua, e così facendo ti spinge a riflettere sul vero significato del vivere.
Sarà inevitabile identificarsi nei personaggi, o trovare qualche somiglianza tra i loro caratteri e il tuo. Puoi essere uno qualsiasi di quegli artisti, o addirittura un mix di tutti e trenta. Il libro vuole dimostrare che non c’è alcun limite tra chi legge e chi scrive, così come tra chi assiste allo spettacolo e chi si esibisce, tra il lettore e i personaggi. Si chiama Niente di Personale, eppure è la cosa più personale che ci sia, perché riguarda te. Riguarda tutti noi. È un libro che mette in scena l’umanità nella sua interezza, che parla di emozioni a 360 gradi.
Un romanzo incredibile, quello di Doriana De Vecchi, che è già simbolico dalla copertina: ti sembra di vedere un albero spoglio, ma in realtà è capovolto, con la chioma a terra e le radici tese verso l’alto. È la metafora di Peter, che cammina sulle mani e con i piedi in aria. È la prospettiva che gli permette di conoscere meglio Chiara. È il simbolo del loro forte legame. È ciò che sei invitato a fare: capovolgere la normale prospettiva che hai sul mondo, ribaltare le tue convinzioni. In un mondo dove tutto è sottosopra, ogni limite al tuo essere appare insignificante e l’impossibile diventa possibile.

La vicenda è narrata in prima persona da Peter, che ripercorre a poco a poco la sua storia e quella di tutti i membri della compagnia circense a cui appartiene. In fondo cos’è il circo, se non una forma di teatro? E come a teatro, vengono messe in scena le vite e i segreti di ogni personaggio.
Le loro fragilità possono emergere senza paura, trovare forza proprio nell’essere comunicate al pubblico. E questo è possibile perché nel circo tutti appartengono agli altri. Sono parte di una famiglia. Poco importa se per il mondo là fuori sei strano o sbagliato, nel circo acquisti un senso. Lì dentro “ognuno a suo modo è importante e indispensabile, perché mette a disposizione la propria energia, la propria cultura, le proprie abilità, il proprio tempo”. Puoi essere chi vuoi, anche non avere un nome, e andrà benissimo.
Il circo è un esercizio importante. Ti insegna a esistere. Ti fa “guardare oltre”, ossia andare al di là dei limiti imposti dalla razionalità. Ti aiuta a essere di mentalità più aperta, senza farti frenare da banalità e luoghi comuni.
Ogni esibizione rispecchia una caratteristica del personaggio, riferita al suo passato o alla sua personalità. Ti bastano poche pagine e sai tutto di tutti, ti sembra di conoscerli da sempre.
Ma non solo. Ogni spettacolo svela qualcosa sia degli acrobati che di te. Mette a nudo quelle cose che fanno di noi degli umani di tale nome.
Il numero di Francesca mette in evidenza il fatto che noi umani indossiamo maschere per proteggerci dagli altri, ci vestiamo di strati per nascondere il nostro lato più intimo. Quello di Vincent pone l’accento sull’ipocrisia di certi individui, che dicono di essere vicini a te ma ti lasciano appena non gli servi più, che ti giudicano perché vuoi inseguire i tuoi sogni quando loro sono i primi ad aver rinunciato a combattere per i propri desideri. Mario ti insegna il vero significato della parola “empatia”, Carlo è il difensore della comunicazione vera (quella faccia a faccia, non quella sui social), Camilla preferisce seguire il proprio sogno piuttosto che adeguarsi a uno imposto da altri, Julio è la prova di come l’eccesso di razionalità uccida le emozioni. Poi ci sono Roberto e François, che ti mettono in guardia dagli approfittatori. E tanti altri ancora.
Far parte di “uno” spettacolo vuol dire avere il coraggio di mettersi in gioco, ma far parte di “questo” spettacolo è molto di più: significa fare un viaggio infinito dentro sé stessi, mettere a nudo le proprie paure e poi rimpicciolirle fino a superarle con la forza del gruppo.
E questo libro non solo ti mostra persone che ti fanno conoscere le loro paure e le superano insieme. Ti invita ad affrontare faccia a faccia anche le tue paure, ti sprona a superarle insieme ai tuoi cari. Almeno, così mi piace interpretare la lettura.

La narrazione è molto peculiare, con frequenti salti avanti e indietro nel tempo. Non è cronologica, segue piuttosto i sentimenti e la coscienza.
Lo stile è molto elaborato, più da romanzo che da vita reale, con metafore complesse e spesso ricercate ma non per questo meno affascinanti ed evocative. Ed è sensato per la storia narrata, perché è uno stile che apre riflessioni su argomenti intelligenti, come gli effetti negativi delle nuove tecnologie sulla socializzazione umana, la difficoltà per gli immigrati a integrarsi in un Paese sconosciuto, la necessità di liberarsi di certi pesi e di troncare le relazioni tossiche per stare bene, il fidarsi e l’affidarsi alle persone giuste, l’importanza di estrinsecare le proprie paure per poterle superare, e altro ancora.
Ma torniamo un attimo ai nostri personaggi. Abbiamo Mario e la sua ruota di Cyr, Carlo che si arrampica sulla corda per sfuggire agli sguardi ossessivi dei malati di social network, Vincent il clown triste che vorrebbe volare con i suoi palloncini, i trapezisti Pablo e Orazio, Camilla la funambola, Julio il carillon umano, Giulia l’acrobata di seta aerea, Francesca la trasformista, il brutale e ambiguo Paolo e tanti ancora.
È comunque il rapporto tra Peter e Chiara quello messo maggiormente sotto i riflettori. Lui evita gli sguardi degli altri, timoroso che lo giudichino per il suo passato. Si sente un estraneo sin dal momento in cui è stato strappato al suo luogo di nascita con la forza. Lei non vuole più parlare, ha taciuto la sua voce per esprimersi con parole scritte su carta.
Entrambi hanno dei ricordi che vogliono dimenticare, una parte di sé che li disgusta e da cui cercano di fuggire. Cercano di rispettarsi e di accettarsi. Nella loro vicinanza, nella loro intesa, trovano la cura ai loro mali. Cercano in continuazione il proprio equilibrio, vogliono trovarlo insieme.
Lui non vuole farle grandi promesse, di quelle dette per dire ma che poi sono impossibili da mantenere perché fuori dalla portata umana. A lui basta esserci per lei nelle piccole cose, negli istanti che compongono la quotidianità. O, per dirlo alla sua maniera:
Non ti posso offrire il “sempre” ma ti regalerò il “giorno per giorno”.
Lento e veloce. Leggero e pesante. Sicuro e timoroso. Forte e debole. Luce e ombra. Tutto, nel rapporto tra i due, si gioca sugli opposti che convivono.
Peter vorrebbe che Chiara stesse con lui “nel cerchio”, cioè quel luogo astratto dove le persone diventano una cosa sola e lo fanno insieme, dove c’è posto per i veri sentimenti e le ipocrisie non sono ammesse. Vuole diventare un tutt’uno con Chiara, eppure ha paura di creare un rapporto troppo profondo: non vuole che lei scopra le sue fragilità e lo giudichi per questo.
Lei gli offre speranza, ma lui teme di non meritarsela. Peter ha una grande tendenza a sminuirsi, a svalutare il suo essere. Lui è niente, Chiara è il suo tutto. E se quel niente potesse distruggere il meglio che c’è in Chiara? Fidarsi di lei significa aprire completamente il suo cuore. Per lui è un rischio troppo grande.
Anche Chiara, pur cercando Peter, al tempo stesso è titubante. Vuole sapere se è la persona giusta che possa accettarla per quello che è, se è colui che può portarla via dalla superficialità del mondo in cui vivono.


Eppure, nonostante le incertezze, nessuno dei due vuole rinunciare all’altro. Con calma e pazienza imparano ad aspettare e aspettarsi. Rispettano ciascuno i propri confini, non li varcano se prima non c’è il consenso dell’altro. Nessuno si azzarda a trattare l’altro come una proprietà. Diventano qualcosa di grande e unico, che va “oltre l’infinito”. I capitoli 19, dove Peter si apre a Chiara, e 29, in cui la verità su di lei viene svelata in un modo crudele dal moralmente ambiguo Paolo, sono tra i più forti ed emotivamente coinvolgenti del libro.
L’esperienza che questo romanzo ci offre non è solo data dalla lettura. L’autrice unisce le parole alla musica, il letterario al sensoriale: una potente combinazione dal potere evocativo e suggestivo. Infatti ogni capitolo ha una canzone di accompagnamento, che è parte di una playlist a cui si accede scansionando un codice QR integrato nel libro.
Devo dire che la scelta dei brani è particolare e molto azzeccata. Si spazia con i generi, dalla musica orchestrale a quella elettronica, da quella più esotica fino alle melodie orientali.
Non ci sono solo i classici violini e violoncelli, pianoforti, percussioni, ottoni e chitarre. C’è posto anche per strumenti più inusuali e poco usati (come l’armonica a bocca del grande Moses Concas, che credo sia l’unico capace di fare beatboxing con quello strumento) e altri sconosciuti per noi occidentali (l’oud, il daf e il kamancheh). Non solo, anche le cose più banali possono creare musica, che sia un applauso, la molla di un orologio che viene caricata, un carillon o delle biglie.
Le musiche comunicano ogni volta sensazioni diverse. Vicinanza a qualcuno. Distanza dal mondo. Gioia di essere in mezzo a persone che ti accettano. Rabbia per un segreto violato. Tristezza per la gente che non ti capisce e ride delle disgrazie che solo tu riesci a capire. Paura di osare troppo e di farsi male. Determinazione a mantenere una promessa, nonostante la fatica. Spensieratezza tipica della propria infanzia. O malinconia per un passato ormai perduto.
Ringrazio l’autrice, Doriana De Vecchi, per avermi dato la possibilità di vivere un’esperienza diversa dal solito, con una lettura che mi ha fatta sentire come un’equilibrista che cammina sul filo. Vorrei concludere questo articolo con una dedica che lei stessa mi ha lasciato, al momento dell’acquisto del suo romanzo:
A Elodie, perché la nostra razionalità senza l’istinto ci inaridisce. Bisogna vivere forte e spesso e farlo adesso come acrobati sul filo teso della vita.


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