Comunicare L’Incomunicabilità: Gli Amanti vs L’Eclisse

DI ALBERTO GROMETTO

«Strana circostanza, degna di meditazione, il fatto che ogni creatura umana è composta in modo da esser per tutte le altre un profondo segreto e un profondo mistero. Una solenne considerazione, quando entro in una grande città di notte, quella che ciascuna di quelle case, oscuramente raggruppate, chiude un suo particolare segreto; che ogni stanza in ciascuna di esse chiude un suo particolare segreto; che ogni cuore pulsante nelle centinaia di migliaia di petti che respirano nella stessa città, è, in alcuni dei suoi pensieri, un segreto per il cuore che gli è più vicino. C’è in questo un senso di spavento pari a quello della stessa morte». 

Quello che ha scritto questa roba qua, è CHARLES DICKENS, nel suo «Racconto Di Due Città» (1859). Stiamo parlando dell’uomo che m’ha cambiato la Vita con quello che è il mio romanzo preferito in assoluto: «Canto Di Natale» (1843). Ma al di là del mio gusto personale, la citazione con cui ho dato il via a questo mio pezzo è straordinaria per una ragione molto precisa. 

(Charles Dickens)

COMUNICA L’INCOMUNICABILITÀ.

E lo fa con una una limpidezza di linguaggio, una ricercatezza d’espressione, una costruzione meticolosa delle frasi che commuovono. 

Come si fa a comunicare qualcosa di incomunicabile come l’incomunicabilità? Eh? Questa maledetta incomunicabilità che ci tormenta, non ci abbandona mai, e non sappiamo né vogliamo gestire. Ma se io non so che diavolo quella persona ha nel cuore, se non so nemmeno cosa c’ho in testa io stesso in questo momento, come posso dire qualcosa che abbia anche solo lontanamente senso? 

L’Umano è fatto così, ne ha tante di cose da dire. Ma non sa come dirle. E questa cosa, care le mie lettrici e cari i miei lettori, è peggio della Morte. Significa vivere, senza riuscire mai a vivere. 

Ecco, vedete? Ho appena detto qualcosa di incomprensibile. È che non so davvero come poter comunicare il dolore che io, tu, tutti noi abbiamo all’idea che non riusciremo mai a trovare parole abbastanza grandi o frasi abbastanza belle per esprimere quello che provo quando ti guardo negli occhi. La possibilità mi è preclusa. 

Ma allora che si può fare? Parlarne costantemente tutto il giorno tutti i giorni? Ma parlare di cosa? Parlare del non saperne parlare? Beh, forse qualcuno con cui dibatterne, qualcuno di speciale e che ami così profondamente che non sarai mai in grado di dirglielo veramente, lo troverai. E allora ne parlerete tanto. Credo non ne verrete mai a capo. Ma parlarne insieme sarà confortante più di quanto chiunque possa immaginare. 

E poi esiste un’altra strada percorribile: l’Arte, la Cultura e la Bellezza. MERCUZIO AND FRIENDS si fonda su questo, del resto.

Ognuno soffre a questo mondo. Pure io. Anche se lo faccio vedere molto poco. Qualcuno una volta mi chiese come mai. E io dissi che non c’era una spiegazione, semplicemente ero fatto così. Ma allora pensi di non poterne parlare?, mi domandò. Ma io ne parlo, eccome se ne parlo, ne parlo in continuazione!, risposi. Sapete come? Raccontando Storie! Scrivendo! È facendo Arte che puoi, se non scendere a patti col tuo dolore, quantomeno dargli un significato e sfruttarlo per raccontare qualcosa di Umano che ci riguarda tutti in quanto Umani.

Oggi è di due opere che ci comunicano l’incomunicabilità quello di cui voglio raccontarvi. Siamo in presenza della Pittura e del Cinema. Oltre che di due Sommi Maestri. 

Partiamo dal quadro, tra i più belli mai realizzati da essere umano e che raffigura due umani nella loro dimensione più umana: GLI AMANTI.

Dipinto nel 1928 da quell’innovatore rivoluzionario che fu il visionario pittore belga RENÈ MAGRITTE, raffigura una donna e un uomo. Lei indossa un vestito rosso, lui è in giacca e cravatta. E si baciano. Esiste qualcosa di più bello e naturale e spontaneo di questa scena? Peccato che entrambi abbiano la testa avvolta in un lenzuolo bianco! Inquietante? Angoscioso? Disturbante? Sì, eccome! Ma anche memorabile, indimenticabile ed eterno. 

(Il pittore Renè Magritte)

Si potrebbero dire tantissime cose su questo quadro al punto da parlarne per ore e ore. Si potrebbe raccontare l’ipotesi secondo cui la donna del dipinto altro non sarebbe che la madre di Magritte, che quando lui aveva solo 14 anni si gettò nel fiume Sambre togliendosi la vita. Una camicia da notte le copriva il volto, quando il cadavere venne ritrovato. L’uomo potrebbe allora essere il padre che saluta, un’ultima volta, l’amata moglie. E dunque questo sarebbe l’esempio perfetto di come poter esprimere tutto quel dolore incomunicabile di cui sopra. 

Potremmo anche soffermarci sull’omaggio che Magritte fa ad un altro suo immortale collega, l’artista Giorgio de Chirico. Sullo sfondo troneggia infatti un edificio di tipo classicista che rimanda alle sue opere. In particolare non può non essere citato «Ettore e Andromaca»: quadro meraviglioso, raffigurante due manichini, uno davanti all’altro, come nell’atto di abbracciarsi, ma a cui mancano le braccia. E così quei manichini rimangono, in qualche misura, distanti l’uno dall’altra. Dopo parleremo di un altro abbraccio impossibile in cui a trionfare sarà paradossalmente la distanza. Del resto Ettore, dopo aver salutato la sua Andromaca in uno dei libri più belli dell’Iliade e cioè il quinto, non rivedrà mai più la donna che ama. L’ingiusta Morte calerà su uno dei più grandi Eroi mai esistiti. 

Qualsiasi cosa si possa dire, questo dipinto raffigura due persone che stanno vicine ma che non possono starci, che si baciano ma non per davvero, che hanno il viso l’uno attaccato all’altro ma quei maledetti lenzuoli li separano e li separeranno per sempre. Perché è da quasi cento anni che hanno quei panni in testa a tenerli distanti. Ed è per questo che tutti insistono a dire che Magritte con questa sua opera riesca a comunicare l’impossibilità di stare insieme. Perché ci sarà sempre “un qualcosa” destinato a mettersi in mezzo tra noi, anche se ci amiamo. Ecco, io la vedo in modo diverso però. Perché a me NON vien da dire che è da cento anni che quei due hanno un lenzuolo sulla faccia. A me vien piuttosto da dire che quei due, anche se conciati così, è da cento anni che non smettono di provare a stare insieme. A baciarsi. Ad amarsi. Questo credo sia il Vero Amore: per quanta incomunicabilità e distanza e incomprensione possa esserci tra persone che si amano, il desiderio e la volontà di stare insieme all’altro saranno sempre più grandi. Almeno, uno ci spera. 

Molti parlano dell’impossibilità di stare insieme, in una realtà nella quale comunicare e comunicarsi è impossibile. Io dico: parliamo invece della possibilità di stare insieme, in una realtà nella quale è impossibile. Perché eppure, anche se impossibile, Noi continuiamo a stare insieme.

Adesso passiamo ad un’opera di una complessità assurda che rappresenta un esempio di cinematografia estremo al quale è necessario abbandonarsi per coglierne appieno la Grandezza. Un film che oggi come oggi non verrebbe prodotto mai e poi mai. La mente rivoluzionaria dietro questo capolavoro è quel Genio che fu il regista italiano MICHELANGELO ANTONIONI

(Il regista e sceneggiatore Michelangelo Antonioni)

Si tratta de «L’ECLISSE», del 1962. Sceneggiatura di Antonioni e Tonino Guerra. Regia dello stesso Antonioni, Maestro della Messinscena, attraverso la quale Egli crea senso per dirci che il mondo non ha senso. Intento del film è occuparsi di un tema che va contro la stessa essenza del Cinema: l’incomunicabilità e l’impossibilità di stabilire un rapporto. E questo richiede uno sforzo cinematografico, poetico e narrativo ENORME. Comunicare l’incomunicabilità e rapportarsi con l’assenza di rapporti, e farlo con il Cinema che per sua stessa natura COMUNICA e si RAPPORTA con il pubblico: PAZZIA!!!

Andiamo subito al finale. Farò spoilers? Sì, ma credetemi, non ha importanza: è uno di quei film di cui può esserti detto tutto, tanto alla fine non lo avrai davvero visto se non lo avrai vissuto. Spoiler o no, non fa alcuna differenza.

La protagonista del film, Vittoria, interpretata da una sfavillante MONICA VITTI, si è buttata in una serie di relazioni amorose senza senso nel corso di tutta la pellicola fino a quando non ha incontrato Piero, un rampante agente di borsa interpretato da ALAN DELOIN. Dopo una serie di alti e bassi, giungiamo alla conclusione. Sembra proprio siano felici insieme, e follemente innamorati l’uno dell’altra. Poi in un momento in cui si abbracciano, sembra subentrino dei terribili, rovinosi dubbi. Vittoria ne ha in continuazione. Lei lo tiene a stretto a sé, è felice, ci crede… ma dopo un secondo sembra già faticare. Sembra quasi che entrambi facciano fatica ad abbracciarsi e questo abbraccio diventa come finto. E poi si fanno un sacco di promesse, che altro non sono che inganni: l’eterna illusione!

(Alain Delon e Monica Vitti)

Lui le dice: Ci vediamo domani. Si abbracciano di nuovo e lui non sembra presente a questo abbraccio. E nemmeno lei ha la faccia di una persona innamorata. Antonioni ci mostra l’impossibilità che questa cosa funzioni. Loro due hanno il viso uno accanto all’altra. E sembrano divisi, divisi dai loro stessi volti. E sono spaventati dalle promesse che non manterranno. Quell’abbraccio non è la verità. La verità, loro la sanno, è che non si rivedranno mai più. A quell’appuntamento l’indomani non si presenterà nessuno dei due. Lei va via e sembra quasi scomparire inghiottita dalla tromba delle scale. Lui rientra a casa e ritorna a lavorare, a respirare, come se sapesse che quella vita con lei non gli appartiene ed è contento di essersene liberato. Mentre lei se ne va, la cinepresa nell’inquadrarla “le taglia” il volto. Quasi la decapita. Poi sfiora un passante e quasi sembra abbia un crollo. E dopodiché Antonioni ci infila un’altra inquadratura potentissima: ci mostra Vittoria dietro una saracinesca chiusa, come fosse prigioniera di un mondo in cui è impossibile costruire qualcosa e prigioniera di lei stessa, incapace di comunicare. È INCREDIBILE la densità tematica di queste immagini. 

E qui arriva il finale. Gli ultimissimi minuti finali, dal significato oscuro, e che all’epoca sbalordirono tutti quanti: fu una cosa straordinaria, il pubblico rimase senza parole, stupefatto, annichilito, esterrefatto. Avviene una cosa stranissima. Lei si presenta a quello che è il luogo dell’appuntamento, guarda in alto verso gli alberi, poi si volta ed esce dall’inquadratura. E qui il film finisce. È il finale. Non c’è più nient’altro da raccontare. Giusto? E invece no!

Il film è finito qui, eppure continua per altri sette minuti e mezzo. E in quei minuti il film è VUOTO. Vi sono solo inquadrature di luoghi circostanti e passanti anonimi. Non ci sono personaggi. Lui e lei, che si erano dati appuntamento, si sono del tutto ECLISSATI. Del resto il titolo di questo film è: «L’Eclisse».

(Lo sbalorditivo finale di «L’Eclisse»)

La storia fra i due non ha funzionato, d’accordo, ma perché non finire il film allora? Perché continuarlo per sette minuti e mezzo fatti di niente? Una musica angosciante accompagna questo vuoto. Vi sono pellicole in cui in due minuti esplodono intere città, e qui invece il finale è sette minuti e mezzo di vuoto totale: eclissi assoluta! Lei non c’è. Lui non c’è. Non si presentano all’appuntamento. All’appuntamento ci siamo solamente… NOI. Noi, spettatori. E li aspettiamo. Vediamo arrivare un calesse e pensiamo possa esserci sopra uno di loro. E invece no. Vediamo un tizio elegante che attraversa le strisce, sembra lui, ma non è lui. Noi stessi siamo vittime di inganni e false promesse. Vi è l’acqua, che rappresenta la vita, che esce da un bidone e comincia a scorrere via, perché non si può aspettare in eterno. Di tutte queste speranze che avevamo resta solo fango: l’acqua finisce in una fogna. Una visione non proprio ottimista. E Noi siamo all’appuntamento, a soffrire come dei cani perché questi due arrivino e riescano a stare insieme. 

Vi sono delle persone che, forse, aspettano qualcuno. Tutti noi umani, in attesa. L’umanità è lì, che aspetta. Arriva un autobus, forse c’è uno dei due. E invece nessuno. Vi è un signore con un giornale che reca come titolo: LA PACE È DEBOLE. Ed è debole perché non ci si riesce a parlare. A relazionarsi. Non solo a livello di coppia, non solo tra uomo e donna o tra persona e persona, ma anche a livello di società. Ricordo che siamo nel 1962. La paura era quella di un olocausto nucleare. Era la Guerra Fredda. Le differenze basate sulla razza e la religione rendevano impossibile qualsiasi rapporto e alimentavano le divisioni, divisioni su cui non riusciamo a comunicare e trovare punti d’accordo. Guerre, terrorismo, lotta armata, violenza di piazza, stragi, crisi, omicidi, femminicidi, delitti, stupri, abusi: tutto questo è il trionfo assoluto dell’incomunicabilità e dell’incapacità di costruire un rapporto. 

Compare un uomo. Ne vediamo un dettaglio, poi il viso per intero. E quell’uomo, pensate, è Michelangelo Antonioni. Lo stesso regista è andato a cercare i suoi personaggi, ma quei due non si presentano. E allora lui che fa? Se ne va. Noi invece siamo ancora lì, illusi fino alla fine. Scende la notte. Persino il Sole se ne va. Arriva un auto, forse è lui… e invece no. Giunge l’ultimo autobus. Ma vi sono solo persone che camminano verso casa e hanno giusto la forza di mangiare una minestra, guardare qualcosa in tv e andarsene a dormire. Noi, poveri illusi romantici, continuiamo ad aspettare. Sarebbe meraviglioso se arrivassero. Ma non arriveranno. 

(Lo stesso regista cerca i suoi personaggi, che non arriveranno mai)

E l’ultima cosa che vediamo nel film è un lampione. Che si accende come un fungo atomico. Perché questa è la fine del mondo, l’incomunicabilità a livello mondiale, l’assenza di rapporti e relazioni e legami, la capitolazione della specie umana, la dissipazione totale, la vera Apocalisse, la fine del mondo, la fine dell’umanità, la fine di tutto… Ed è anche la fine di questo mio articolo!!! 

Ma… chi vince la Grande Sfida?

Beh, se questa è la Fine, tanto vale finirla qui, prima di stabilire un vincitore.

Se questa Grande Sfida ti è piaciuta, leggi gli altri pezzi di questa nostra rubrica!!!

Se sei patito della Pittura, non potrai non leggere questo pezzo!!!

Se sei amante del Cinema, allora che aspetti a pigiare qua?

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