DI EDOARDO VALENTE
Un anno fa avevo parlato di un film in cui c’era una relazione tra Emma Stone e Ryan Gosling, che aveva un inaspettato risvolto esistenzialista.
Quel film era “Crazy, Stupid, Love”.
Ora sono qui a parlare di un altro film in cui c’è una relazione tra Emma Stone e Ryan Gosling e che ha un inaspettato risvolto esistenzialista.
Questa volta si tratta di “La La Land”.
Il film in sé e per sé è bello, uno di quelli che ti riguardi volentieri, soprattutto per le musiche.
La sua forza sta, appunto, nel fatto che è realizzato come un musical.
La trama è molto semplice, e si può riassumere brevemente.
(Sì, ci saranno spoiler ma no, non dovete temere: la cosa importante non è cosa succede, ma come succede. Perciò il film te lo godi anche se sai come va a finire).
La situazione è questa: a Los Angeles si incontrano Mia, un’aspirante attrice, e Sebastian, un musicista che vorrebbe aprire un suo locale jazz.
Dopo essersi conosciuti per caso, ed essersi visti due volte, i comodi balletti del musical e i salti temporali ci portano nella loro breve e travolgente storia d’amore.
I compromessi di trama funzionano bene.
Mia lavora in un bar e fa di continuo dei provini per ruoli secondari in prodotti scadenti, e sogna di diventare un’attrice famosa.
Sebastian trova dei lavoretti occasionali suonando il pianoforte nei locali, ma il suo sogno è, appunto, salvare il jazz aprendo un locale tutto suo.
Il fatto che abbiano questi sogni è molto importante, perché sono due persone che tendono ad idealizzare il loro futuro e che aspirano ad obiettivi lontani, ma non si arrendono e difficilmente cedono a dei compromessi. E se lo fanno è solo per breve tempo.
Incontrandosi hanno contribuito ad alimentare a vicenda le proprie fantasie.
Sebastian convince Mia del fatto che può essere in grado di scrivere da sola un copione, e così lei scrive un monologo, la cui messa in scena verrà interamente finanziata da lei.
Mia sprona Sebastian nel perseguire l’idea di aprire il suo locale e far appassionare le persone al jazz, così come se ne è appassionata lei sentendo con che passione ne parlava lui.
Si amano e si sostengono nelle rispettive scelte di vita, nei sacrifici che devono fare per ottenere ciò che vogliono.
Ecco che, però, arriva il grande problema.
L’unico ostacolo che resta alla realizzazione dei loro sogni è la loro stessa relazione.
La questione principale a questo punto diventa: è più importante la mia carriera personale o è più importante la persona che amo?
Nel loro caso è necessario scegliere.
Sebastian, preso dal lavoro in una band che neppure gli piace, si perde la rappresentazione del monologo di Mia.
Stava inseguendo il suo sogno, e non era presente per assistere alla nascita di quello di lei.
E sempre a causa della band è costretto ad andare lontano per molto tempo, riducendo quasi a zero i contatti con Mia.
E poi è il turno di Mia, che viene infine scelta per girare un film a Parigi. Così come lei non poteva seguire lui nei tour della band, lui non può seguire lei per le riprese del film.
La loro storia finisce lì.
Già a questo punto si potrebbero inserire i riferimenti all’esistenzialismo, e devo ammettere che fino a qui tutto funziona bene.
Il problema sta nel finale. O meglio: nel finale alternativo.
Cinque anni dopo scopriamo che Mia è diventata un’attrice affermata. Ha una casa enorme, un marito che ama, una figlia, e tante altre belle cose.
Andando una sera a cena fuori, si imbattono in un locale da cui proviene musica jazz. Mia lo riconosce subito, da quell’insegna che lei stessa aveva disegnato: è il Seb’s, il locale di Sebastian.
Qual è dunque il finale: Mia ha avuto ciò che voleva, Sebastian anche. Ognuno ha la sua vita, ha realizzato il suo sogno, e sono felici.
L’errore del film è quello di farci credere che loro potessero essere più felici se solo fossero stati insieme.
Ma cosa implicava questa vita alternativa? Implicava diverse scelte da compiere.
Il tutto ci viene mostrato in una breve sequenza di immagini.
Sebastian rifiuta di entrare in quella band, e partecipa alla prima del monologo di Mia. Poi lei viene scelta per andare a Parigi, e lui la segue.
Anni dopo lei diventa un’attrice affermata, hanno una bella casa, una figlia; e una sera, uscendo a cena, si imbattono in un locale da cui proviene musica jazz.
Assistono alla stessa scena, ma in questa fantasia sono insieme.
Il problema sta qui: tra la vita che hanno scelto e quella che hanno perso non cambia nulla.
Ecco che finalmente posso sguinzagliare la citazione che mi frulla in testa da tutto il tempo, da ancora prima di scrivere il titolo.
L’ha scritta Kierkegaard, e si trova nel tomo primo di Enten-Eller.
“Sposati, te ne pentirai; non sposarti, te ne pentirai anche; sposati o non sposarti, ti pentirai di entrambe le cose; o che ti sposi o che non ti sposi, ti penti di entrambe le cose”.
Il nocciolo di questo film può essere rappresentato da questa frase.
Tutti i giorni siamo posti davanti a delle scelte, e molte di queste possono influenzare la nostra vita in maniera irreversibile.
“Scelgo questa università o quest’altra?”, “Stasera esco con questa persona oppure no?”, “Vado a questo colloquio di lavoro o non ne sono all’altezza?”, “Accetto questa proposta lavorativa o devo rifiutarla?”.
Molte delle scelte che dobbiamo prendere escludono definitivamente l’altra possibilità, ed è per questo che non è facile e si viene presi dall’angoscia.
Per ogni guadagno ci sarà sempre una perdita.
Se Sebastian e Mia stanno insieme, allora lui deve rinunciare ad avere il suo locale; ma esiste anche una vita parallela in cui è Mia a rinunciare alla sua vita da attrice per seguire Sebastian nella sua avventura con il locale.
Quello che abbiamo alla fine del film è solo uno dei tanti finali possibili, tutti quanti interscambiabili.
E tutta questa questione non si sarebbe presentata se solo alla fine non ci fosse quella romantica fantasia in cui si immagina la vita – altrettanto felice e triste come quella che hanno già – che avrebbero potuto costruire insieme.
Ma è tutto inutile.
Forse non era nelle intenzioni di Damien Chazelle, che ha scritto e diretto questo film, dare un risvolto così estremamente terribile al suo finale, ma ciò che se ne può trarre è questo.
Ci sono certe scelte che siamo portati a fare che sono irreversibili, e sono così ardue perché ci chiedono di rinunciare a tanto, pur ottenendo altrettanto in cambio.
Eppure, nessuna scelta può sostituirne un’altra: ciò che è perso lo è per sempre, e ciò che si guadagna va portato fino in fondo. E se si cambia idea, comunque si è sacrificato tempo, forse denaro e sicuramente energie.
Arrivano per tutti quei momenti in cui ci si chiede come sarebbero andate le cose “se…”
Si crea nella nostra testa il finale alternativo di “La La Land”, in cui ci si immagina come sarebbe stata migliore la vita che non abbiamo scelto.
E invece non è così. E se anche così fosse, non cambierebbe nulla.
Esiste solo la vita che abbiamo scelto, tutto il resto è illusione.
Perciò, ci conviene scegliere con cura.
Tanto sappiamo già che, in ogni caso, ce ne pentiremo.
(E ora, con permesso, vado a riascoltare e canticchiare “City of Stars”)