La Poetica Burtoniana Del Freak – Edward Mani Di Forbice

DI ALBERTO GROMETTO

Quanto sarebbe bello un mondo colorato e vivace fatto di persone variopinte, sempre sorridenti, nelle loro casette perfette, nelle loro vie perfette, nei loro quartieri perfetti? Tutto perfetto, no? No, che schifo! 

Il giorno in cui arriva qualcuno di molto meno colorato e vivace e sorridente, quelli “perfetti” lo vorranno distruggere. Magari in un primo momento ne saranno affascinati, addirittura entusiasti. Ma “lo strano” sarà considerato affascinante solo in quanto diverso da loro. Come fosse un fenomeno da baraccone, oppure un’attrazione da circo. Una distrazione da quella vita perfetta e da sogno, che poi è un incubo tutt’altro che perfetto. Nel momento in cui la gente avrà paura dello strano, sempre e solo in quanto diverso da loro, lo strano dovrà essere spazzato via. 

È di questo che ci racconta il Maestro TIM BURTON in quello che è a tutti gli effetti considerato come il film burtoniano che meglio d’ogni altro incarna la Quintessenza della sua Poetica. Che potremmo definire come la Poetica del “Freak”. Il tipo strambo di cui sopra. Chiamatelo fenomeno da baraccone, chiamatelo mostro, chiamatelo outsider. Alla fine si tratta di un individuo diverso dagli altri e che in quanto tale viene trattato in maniera diversa. Che spesso viene emarginato, tenuto alla larga. Che la gente tende a prendere in giro o di cui hanno paura, anche se è un animo gentile, anche se non farebbe mai del male a nessuno. Però è diverso. 

“È strano!”, afferma la maggior parte della gente guardandolo. “È speciale!”, dice invece Tim. 

L’infanzia di Burton non è stata delle più allegre, contrassegnata dalla solitudine. Anche lui deve essere stato un tipo strano. Lo è ancora. E anche lui, come i freaks di cui racconta, ha sempre avuto molta difficoltà ad entrare in contatto con le persone. E anche se oggi ha ottenuto successo, trionfo e gloria… quella sensazione non se ne andrà mai veramente. Ma allora che fare? 

«Certo, non avevo molti amici; ma potevo farne a meno, perché in giro c’erano abbastanza film interessanti e ogni giorno era possibile vedere qualcosa di nuovo, qualcosa che in qualche modo mi parlava.»

Burton non aveva amici, ma aveva i film. Ha ancora i film. Quei film che non lo hanno mai lasciato solo e che lui non ha mai lasciato soli. Quei film che sono tutto per lui, che sono il suo modo di prendere quel tipo strano e solitario con cui nessuno vuole stare e metterlo al centro del mondo mostrando a tutti quanto possa essere speciale e unico. 

Tim è un Narratore, prima d’ogni altra cosa. E la fiaba che narrò nel remoto 1990 comincia con un inventore che viveva solo nel suo castello. E che un giorno decise di inventarsi da zero un uomo. Gli diede tutto: organi, cervello, cuore… ma morì prima di finirlo. Mancavano solo le mani. Le aveva fatte, erano pronte. Ma nel momento in cui le mostrò al suo proprietario, l’inventore cadde morto e quelle si ruppero. Niente mani. Al suo posto delle forbici, che il suo creatore gli aveva inserito in attesa di dargli delle mani tutte sue. Il nome dell’uomo? Edward.

Questo personaggio non avrebbe raggiunto la stessa leggendaria popolarità non fosse stato interpretato da quello che è tra gli storici collaboratori di Burton, il suo attore feticcio per eccellenza e grandissimo amico intimo: JOHNNY DEPP. All’epoca Depp aveva interpretato qualche piccolo ruolo in qualche grande film. Ma fu «EDWARD MANI DI FORBICE» a renderlo Johnny Depp. È stato su quel set che nacque la ultra-trentennale collaborazione e storica amicizia tra lui e Tim. È stata quella pellicola l’inizio di tutto. Depp conferisce a questo personaggio pallido, silenzioso, timido, chiuso, cupo, leggermente inquietante, una dolcezza e una tenerezza commoventi e impressionanti. Se Edward ha molte difficoltà a comunicare, Johnny ha un talento sovrumano nell’esprimere il mondo interiore del personaggio che interpreta attraverso la mimica, le espressioni facciali, gli occhi.

(Tim & Johnny)

La storia comincia nel momento in cui questo Edward finisce per essere prelevato da… forze dell’ordine? Scienziati? Dal Governo? Niente di tutto questo! Da una deliziosa rappresentante dei cosmetici Avon, nonché madre di famiglia. Lei stava facendo il suo lavoro, bussando di porta in porta, andando da casa a casa, tutte rigorosamente color pastello, abitate da persone tutte sgargianti, tutte radiose. Ma tutte quelle allegre persone le dicono: No. Fortuna che proprio lì accanto… cosa c’è? Un castello molto cupo e molto dark. Lei allora va lì e… e ci trova Edward. Intenerita, se lo porta a casa.

Non credo vada detto altro. Lo scenario è quello descritto in apertura del pezzo. Accolto con entusiasmo perché diverso, le cose cambieranno totalmente. E da fresca novità Edward si tramuterà in un inquietante pericolo. E senza che lui abbia fatto niente perché questo accadesse: lui è rimasto uguale, non è cambiato. Sono stati quelli lì, i radiosi perfetti vicini, a decidere che le cose andassero così. Che lui dovesse essere così.

La verità è che le persone, quelle piccole, che poi sono la stragrande maggioranza, impazziscono di fronte a ciò che non riescono a capire, solo perché diverso da loro. Perché strano. Magari perché incompleto. Ne sono dapprima incuriositi, e poi ne hanno paura. Il fatto è che se qualcosa è diverso da loro, automaticamente significa che non è perfetto. Ma la Perfezione è Noia. È Morte. È essere tutti uguali. E a che serve essere perfettamente completi, se poi è come non si esistesse? La pienezza dell’incompletezza batte la vacuità dell’essere completi. 

Edward è incompleto. Eppure, proprio per questo, si distingue rispetto a tutta quella massa colorata di gente completa e perfetta. È nella sua Incompletezza che va ricercata la sua Unicità. Sì, lui è diverso da tutti gli altri, ma il fatto è che questo è un bene! Tu non devi essere perfetto, e la tua Vita non deve essere perfetta. Chi è perfetto, è anche noioso. Tu devi essere Tu, con tutti i difetti e le mancanze che questo comporta. Coloro che sono incompleti, quelli a cui manca qualcosa, sono quel tipo di persone memorabili di cui non ci si dimenticherà mai. 

Cult istantaneo senza tempo, successone che si è portato a casa 86 milioni di dollari avendone spesi solamente 20, ad oggi un classico di proporzioni leggendarie. Cast sensazionale che vanta una materna DIANNE WIEST nel ruolo della rappresentante dei cosmetici, un sempre simpaticissimo ALAN ARKIN nei panni del di lei marito e una WINONA RYDER che ne interpreta la figlia, colei della quale Edward si innamorerà ricambiato, quella che vede in quel tipo strambo quell’unicità di cui parlavamo. È impossibile non citare anche un altro storico collaboratore di Tim e che ha contribuito a rendere grande e grandioso questo film: il compositore DANNY ELFMAN, il quale ha firmato la colonna sonora di quasi ogni film burtoniano. Da ultimo omaggiamo VINCENT PRICE, protagonista del cinema horror degli anni ’50 e ’60 di cui il nostro Burton è grandissimo appassionato, e che egli volle assolutamente come interprete dell’inventore di Edward. Sarebbe stata la sua ultima apparizione cinematografica.

(Il grande Vincent Price nei panni dell’inventore di Edward)

Tim deve molto a questo film. Se «Beetlejuice» lo ha lanciato e «Ed Wood» è il suo più straordinario capolavoro, è stato «Edward Mani Di Forbice» il film che lo ha consacrato. E si tratta, non solo per Burton e Depp ma per il Cinema tutto, di una pellicola rivoluzionaria. Il che non significa sia necessariamente un capolavoro. Del resto la storia è originale solo fino ad un certo punto dato che Burton, per sua stessa ammissione comunque, pesca a piene mani dall’immaginario de «La Bella e la Bestia» e di «Frankenstein» dell’immortale Mary Shelley. E poi c’è da dire che presenta dei limiti e delle ingenuità propri delle fiabe. Da bambino non me ne rendevo conto, ne ho acquisito consapevolezza nel corso degli anni. Tra tutti i difetti, il maggiore resta sicuramente il finale: il Destino che toccherà al nostro Edward era davvero inevitabile? Non poteva veramente essere evitata, in qualche modo, qualsiasi, quella Sorte? Non si poteva fare altrimenti? Perché le cose sono proprio dovute andare in quel modo? Ecco, il finale mi pare forzato assai, tirato per i capelli.    

Non un film perfetto, in sostanza. Ma del resto, se la Vita non deve essere perfetta, se Tu non devi essere perfetto, lo stesso vale anche per i film. È anzi proprio nella sua imperfezione, così come nel caso di Edward e della sua incompletezza, che possiamo rintracciarne la Grandezza.

Se vuoi leggere ancora del Maestro Tim Burton e dei suoi altri lavoro, allora pigia qua!!!

Se ti interessa conoscere la storia della genesi di quel capolavoro di romanzo che è «Frankenstein» di Mary Shelley, allora non potrai non voler leggere questo articolo!!!

Ti piace la fiaba intitolata «La Bella e la Bestia»? Allora leggiti questo articolo!!!

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