DI ELODIE VUILLERMIN
Questo classico Disney, che ancora oggi considero uno dei migliori in assoluto, trae ispirazione da uno dei racconti di Le mille e una notte, celebre raccolta anonima di novelle orientali scritte in lingua araba, creata nel X secolo. La trama ha una composizione simile al Decameron, con una cornice al cui interno sono contenuti vari racconti, molti dei quali hanno a loro volta un’ulteriore storia (quindi si parla di racconto nel racconto).
La storia della cornice narra del re Shahriyār, che dopo aver ucciso la moglie che lo tradiva ha preso l’abitudine di sposare una fanciulla diversa ogni notte, salvo poi ucciderla il mattino seguente. Ma Shahrazād, figlia del visir e recente sposa di Shahriyār, comincia a raccontare al re una serie di storie che si protraggono tutta la notte e di cui rimanda la conclusione alla sera seguente, obbligando il sovrano a posticipare ogni volta l’esecuzione per poter sentire il finale del racconto. La giovane continua così per “mille e una notte”, riuscendo a restare in vita per un lungo periodo.

Da tenere a mente che qui 1001 non è da intendersi in senso letterale: “mille” in arabo significa semplicemente “innumerevoli”, quindi 1001 serve solo a dare un senso di infinito. Tuttavia, nel corso dei secoli, sono stati aggiunti altri racconti fino a raggiungere quella cifra.
La fiaba che andremo ad analizzare è Aladino e la lampada meravigliosa. Questo racconto, insieme ai famosi Alì Babà e i 40 ladroni e Sinbad e il marinaio, era assente nella versione originale dell’opera e fu aggiunto in seguito da Antoine Galland per l’edizione francese.
Il protagonista, Aladino, vive in Cina ed è figlio di un sarto molto povero, Mustafà. Al compimento dei suoi 10 anni, il ragazzo viene avvicinato al mondo del lavoro per imparare il mestiere del padre e diventare così il suo erede, ma è uno scavezzacollo combinaguai e non ne vuole sapere. Preferisce trascorrere il tempo a giocare per strada o nelle piazze con altri giovani vagabondi, discoli quanto lui, piuttosto che imparare qualcosa di utile nella vita. Così facendo causa numerosi problemi e Mustafà ne rimane così addolorato che muore di vergogna (letteralmente). La madre, consapevole di non poter contare sull’aiuto del figlio, vende la bottega e comincia a lavorare giorno e notte per mantenere lei e Aladino, il quale continua a spendere in modo incauto e irresponsabile i pochi soldi che la madre porta a casa ogni volta.
A 15 anni Aladino incontra un famoso e potente mago proveniente dal Maghreb, in Africa, che afferma di essere il fratello di Mustafà, e quindi anche lo zio di Aladino. Dà 10 monete d’oro al giovane e gli chiede di informare sua madre che lui si presenterà a cena da lei la sera successiva. Aladino esegue la richiesta, ma la madre crede che lui la stia prendendo in giro, dato che aveva un solo zio, morto tempo fa. Il giorno dopo Aladino incontra di nuovo il mago, che gli regala altre due monete in cambio di una cena che sia sostanziosa. Quando il ragazzo le porta alla madre, stavolta lei si convince che forse il figlio dice la verità, e si mette a cucinare. Quella sera il mago va a fare visita alla vedova e spiega che non vede da tempo suo fratello, dato che per trent’anni ha viaggiato in diversi Paesi, tra cui l’India e l’Egitto ed è tornato in Cina solo adesso, con l’intento di riabbracciare suo fratello, ma appena capisce di essere arrivato tardi piange il defunto insieme alla vedova.
Quando apprende che Aladino è uno scansafatiche e non si è ancora deciso a imparare il mestiere del padre, il mago convince la donna ad affidargli il nipote per trasformarlo in un mercante di stoffe. Un venerdì porta Aladino fuori città, in aperta campagna, e qui accende un fuoco di sterpi, vi getta sopra una polvere dall’odore strano e pronuncia parole incomprensibili mentre il fuoco esala un fumo inquietante. La terra si apre e rivela la presenza di una grossa pietra quadrata, che nel mezzo ha incastonato un grande anello di bronzo. Il mago rivela ad Aladino che sotto quella pietra si cela un tesoro inestimabile, che un giorno lo renderà più ricco dei più potenti re esistenti sulla terra, di cui solo lui può impadronirsi, essendo puro di cuore.

Tentato da tanta ricchezza, il giovane riesce a sollevare la pietra pronunciando i nomi dei suoi genitori. Sotto la pietra si cela una scalinata che conduce a un sotterraneo. Il mago gli rivela che il sotterraneo è diviso in tre sale, ognuna contenente dei vasi di bronzo colmi d’oro e d’argento, e gli dice di attraversare le sale senza mai fermarsi, senza toccare il contenuto dei vasi e soprattutto senza mai toccare le pareti, neanche con i vestiti, pena la morte. In fondo alla terza sala troverà una porta, oltre la quale c’è un giardino, dove invece è libero di cogliere i frutti degli alberi che vi crescono. Al di là del giardino si trova un viale che conduce a sua volta a una terrazza. Su quest’ultima c’è una nicchia su cui c’è una lampada ad olio accesa. Aladino deve spegnere la lampada, buttare via lo stoppino e l’olio, e portarsela dietro per consegnarla allo zio. Detto questo, il mago consegna al ragazzo un anello magico, che gli servirà da talismano protettivo.
Aladino attraversa le tre sale senza toccare nulla. Nel giardino si lascia tentare e coglie i frutti degli alberi, che sono in realtà gemme preziose, ma che a lui sembrano semplici (seppur bellissimi) vetri colorati. Prende la lampada e torna dal mago, ma i gioielli raccolti lo appesantiscono a tal punto che non riesce a salire gli ultimi gradini della scala. Chiede quindi aiuto allo zio, ma questi vuole prima la lampada. Aladino, capendo che il mago vuole fuggire con la lampada e lasciarlo lì da solo, rifiuta di consegnargliela, e si scatena un litigio tra i due. Si scopre così che il mago non è mai stato lo zio del ragazzo ed è venuto a cercarlo solo per mettere le mani sulla lampada, che a quanto pare ha grandi poteri ma, stando a quanto gli hanno detto le tavole geomantiche, solo Aladino poteva raggiungerla.
Siccome Aladino insiste a non dargli la lampada, il falso zio pronuncia una formula magica e fa richiudere la pietra quadrata. Il ragazzo, rimasto solo e in trappola, piange per due giorni. Al terzo, rassegnato all’idea di morire, comincia a pregare Allah e nel farlo strofina involontariamente l’anello ricevuto dal mago, da cui spunta un jinn, ossia un genio, che proclama di essere il suo servitore e di esaudire qualsiasi suo desiderio. Così il giovane gli chiede di farlo uscire dalla caverna e, una volta libero, torna a casa da sua madre per raccontarle tutto e consegnare le pietre preziose (anche se nemmeno lei riesce a capirne il vero valore).

L’indomani, siccome le provviste sono state esaurite per preparare la cena per il mago, Aladino chiede alla madre di andare a vendere la lampada al mercato in cambio di soldi. Prima la donna prova a lucidare l’oggetto e quando lo sfrega ne esce fuori un secondo genio, che dichiara di voler servire la famiglia. Mentre la madre sviene per lo spavento, essendo il genio un essere di aspetto orrendo, Aladino ordina all’essere magico di portargli del cibo e questi gli fa apparire un lauto banchetto servito su piatti d’argento; la madre rinviene giusto in tempo per pranzare lautamente insieme al figlio.
Da quel giorno, con l’aiuto del genio della lampada, madre e figlio riescono a vivere in prosperità. Aladino vende all’occorrenza i piatti d’argento con cui il jinn ha portato le vivande, ma la prima volta li dà a un mercante ebreo che glieli paga una moneta d’oro a testa. Quando un orefice fa notare che quei piatti valgono molto di più, Aladino capisce di essere stato fregato e vende tutti i piatti a quest’uomo onesto, che glieli paga 72 volte tanto. Comunque il giovane riesce a vivere molto più responsabilmente, senza mai dare troppo nell’occhio, e diventa un bravo mercante di stoffe.
Un giorno d’estate il ragazzo passeggia vicino alla reggia del sovrano, che, a seconda delle versioni, viene definito “sultano” o “imperatore”. In quel momento un banditore ordina a tutti di chiudere le botteghe e serrarsi in casa: sta per passare la figlia del sultano, Badr aI-budūr. Così Aladino si nasconde per ammirare la principessa e se ne innamora a prima vista quando riesce a vederla nuda e senza veli a coprirle il viso. Deciso a sposarla, manda sua madre al palazzo del sultano con un corredo di quelle gemme preziose raccolte tempo prima nel giardino sotterraneo (dato che ormai ne hanno capito il reale valore). La donna si reca all’udienza del sultano per sei volte e resta in piedi di fronte a lui altrettante volte, finché il settimo giorno viene notata. Ascoltata la sua proposta, il sultano si consulta in privato con il gran visir, il quale pensa solo ai propri interessi e spera che la principessa sposi uno dei suoi figli. Su consiglio del gran visir, il sultano decide di prendere tempo e dice alla donna che acconsentirà alle nozze solo se riceverà, entro tre mesi, la dote da parte di Aladino.
Prima dello scadere dei tre mesi, tuttavia, la madre di Aladino sente per caso che sono state fissate le nozze tra la principessa e il figlio del visir, segno che il sultano è venuto meno alla sua promessa. Informato di ciò, Aladino ordina al genio della lampada di portare i novelli sposi a casa sua (nel frattempo, infatti, si sono sposati), con tanto di letto per quando si saranno ritirati nella loro stanza per la prima notte coniugale. Così avviene e inoltre il genio chiude il figlio del visir in bagno. Aladino racconta alla principessa della promessa infranta dal sultano e dorme nel letto con lei, ma senza consumare l’atto, poiché le dà le spalle e mette una scimitarra tra di sé e la donna, al fine di mantenere intatti i rispettivi onori. All’alba gli sposi vengono riportati nella camera nuziale.
Quando Badr aI-budūr racconta a sua madre quanto successo, ma non viene creduta, Aladino fa ripetere al genio gli eventi della notte precedente. La mattina successiva, sultano e gran visir riescono a farsi raccontare dai rispettivi figli quanto accaduto. Il visir, temendo che tutto ciò possa ripetersi ancora e ancora, rendendo complicata la vita coniugale di suo figlio, fa annullare il matrimonio con il consenso del sultano.

Allo scadere dei tre mesi, la madre di Aladino torna dal sovrano per ricordargli la promessa, ma questi, pur di non rispettarla, chiede che sia portato a termine un compito impossibile: Aladino deve portargli quaranta barili di oro massiccio pieni di gemme dello stesso valore di quelle già portate tre mesi prima. Grazie al genio della lampada, il giovane riesce nell’impresa: i barili vengono portati da quaranta schiavi bianchi e da quaranta schiavi africani, vestiti con abiti lussuosi. Il sultano, stupito, acconsente che Aladino sposi sua figlia e lo invita a corte.
Il giovane si presenta a cavallo di un destriero bellissimo, indossando abiti preziosi (così come sua madre) e con al seguito un corteo di schiavi e delle serve che gettano monete d’oro al suo passaggio. Ben presto si conquista la simpatia del sultano e fa apparire, grazie a un desiderio espresso al genio della lampada, un palazzo sontuoso con le finestre ornate di gemme, dove andrà a vivere con la sua sposa. La principessa è così colpita dalle ricchezze e dal bell’aspetto di Aladino che decide di sposarlo.
Passano gli anni. Aladino è diventato un fidato consigliere del sovrano e vive una vita felice con la sua sposa. Ma il mago malvagio, che era tornato nel Maghreb, tramite la divinazione sulla sabbia viene a conoscenza che Aladino è sopravvissuto e ha ottenuto ricchezza e fama grazie alla lampada che considera sua di diritto. Furioso, decide di vendicarsi e torna in Cina travestito da venditore ambulante. Mentre Aladino è fuori per una battuta di caccia, riesce a raggiungere il palazzo reale e chiede alla servitù se vuole scambiare vecchie lampade a olio con altre nuove di zecca. Una serva, fiutando l’affare, prende la lampada di Aladino e la consegna al mago, che sfrega l’oggetto e ordina al genio di portare in Africa il palazzo e tutto ciò che contiene, principessa compresa.
Il sultano, quando scopre della scomparsa di Badr aI-budūr, ne rimane sconvolto. Fa rientrare Aladino a palazzo, poi lo fa arrestare e si appresta a giustiziarlo, ma il popolo protesta e chiede che egli sia risparmiato. Così il sovrano acconsente a malincuore, dando ad Aladino 40 giorni di tempo per riportare indietro sua figlia, pena la decapitazione. Avendo ancora con sé l’anello magico, il protagonista chiama l’altro genio e gli chiede di annullare il sortilegio del mago, ma questi non può contrastare i poteri del genio della lampada. Così Aladino si fa portare in Africa con un desiderio, trova il palazzo e si ricongiunge con la moglie, la quale gli fa sapere che il mago ha intenzione di sposarla. Lui le suggerisce di assecondarlo e di invitarlo a cena, consegnandole un sonnifero in polvere da versare nella coppa del vino destinata al mago. Il piano funziona: il mago beve e poco dopo si addormenta. Aladino ne approfitta per decapitarlo, si riprende la lampada e torna in Cina con moglie e palazzo. Il loro ritorno viene festeggiato da tutti.
Tuttavia non è ancora il momento dell’happy ending. Il fratello del mago, anch’esso necromante, scopre quanto gli è accaduto grazie ai suoi poteri divinatori e decide di vendicarlo. Assume l’identità di un’eremita, Fatima, dopo averla uccisa, e con quelle sembianze riesce a farsi ospitare a palazzo. Mentre la principessa gli fa fare il giro della dimora, egli dichiara che, per essere davvero la dimora più bella del mondo, ci dovrebbe essere un uovo di Roc (uccello della mitologia persiana di grandi dimensioni, capace di ghermire e mangiare gli elefanti) appeso al lampadario della sala grande. La principessa riferisce tutto ad Aladino, ma quando questi chiede al genio della lampada di procurargli quell’uovo, il genio capisce che è un imbroglio: l’uovo di Roc è in realtà il padrone infernale del genio, e se fosse stato appeso al lampadario questo avrebbe scatenato l’ira del genio stesso e lo avrebbe spinto a bruciare la casa con tutti i suoi abitanti. Ma proprio perché non vuole che si consumi la tragedia, il genio avverte Aladino dell’imbroglio e questi riesce a uccidere la finta Fatima, assicurando a sé stesso e alla moglie un lieto fine.


Come potete notare, questa storia diverge completamente dal classico Disney del 1992 per molti aspetti. L’ambientazione non è il Medio Oriente, ma la Cina. Aladino è orfano solo di padre, mentre Aladdin di entrambi i genitori (anche se nel secondo sequel del film, Aladdin e il re dei ladri, viene rivelato che in realtà suo padre è vivo). Il gran visir e il mago malvagio sono due persone distinte, che la Disney ha accorpato in un unico personaggio, ossia Jafar. In originale ci sono due geni diversi, di cui uno è più potente dell’altro, e i desideri che possono esprimere non hanno il famoso limite di tre. Ci sono anche tre antagonisti diversi anziché uno solo. Il tappeto volante è un personaggio esclusivo del lungometraggio animato. Il finale della storia non coincide con il matrimonio tra Aladino e la principessa.
Il protagonista, agli inizi della storia, non ha nulla a che spartire con la sua controparte disneyana. L’Aladdin che abbiamo conosciuto su schermo nel 1992 era un giovane ladruncolo dalla vita povera, cresciuto per strada, costretto a piccoli furti e a fughe dalle autorità per sopravvivere, ma tutto sommato dal cuore d’oro. Nella fiaba è un fannullone perdigiorno, pigro, irrispettoso, ingrato, disobbediente, combinaguai, incosciente e senza alcuna ambizione. Altro che diamante allo stato grezzo, fa amareggiare il padre al punto che egli muore di vergogna. Senza contare che, nonostante l’amore verso la principessa sia sincero, la spia mentre si fa il bagno nuda e arriva a rapire lei e il figlio del visir tramite i poteri del genio (traumatizzandola nel frattempo) per far sì che le loro nozze siano annullate. Di positivo c’è che, nel tempo, impara a usare i soldi con molta più responsabilità di prima e diventa un mercante con un grande fiuto per gli affari.
A differenza del film animato, dove tutte le verità su Aladdin vengono scoperte ma ha comunque il permesso di sposare Jasmine, il vero Aladino non rivela mai alla sua sposa o al sultano le sue umili origini, né come si è procurato tutte le ricchezze che ha ostentato. La principessa Badr aI-budūr è una figura marginale, senza personalità né spessore caratteriale; non è come Jasmine, con quella voglia di indipendenza, desiderosa di prendere in mano il suo destino e di compiere da sola le scelte nella vita, ma di fatto subisce passivamente ciò che le accade. Ma la cosa più strana è il fatto che i desideri siano illimitati e proprio per questo Aladino li usi in maniera irresponsabile, non ragionata.
Capirete quindi perché preferisca di gran lunga il film Disney. Per me non esiste Aladdin senza il solo e unico Genio della lampada, senza il tappeto volante, senza Jasmine, senza Jafar o Iago.







