Sideways

DI GIACOMO CAMISASCA

Siamo arrivati al giro di boa, mancano solo tre articoli (ovvero tre film) al 30 novembre, data d’uscita di The Holdovers, che vede il ritorno di Paul Giamatti come protagonista in un film di Alexander Payne.

Oggi affrontiamo il film più importante del cineasta di Omaha, una pellicola che lo ha proiettato tra i grandi di Hollywood… 

Sideways

Questo non è un film sul vino.

Non lasciatevi ingannare dalle vigne, dall’uva, dalle degustazioni, da quelle cene in cui viene servito un Syrah talmente buono da far gridare al miracolo.

E non focalizzatevi sugli aromi che sentite ad un primo assaggio, non fate i finti intenditori che chiudono gli occhi e dicono di sentire un sentore di fragole e formaggio che viene sprigionato in tutta la sua gloria mentre con la vostra mano agitate il bicchiere dandovi un tono serioso che non vi si addice.

Non c’è nulla di tutto questo, anzi c’è… ma è solo il contorno, è solo la cornice che racchiude una storia che è molto più profonda di quello che sembra. 

Il vino, uno degli argomenti più noiosi al mondo (almeno per me), viene usato come metafora, viene usato come scudo dai protagonisti e dopo aver finito il film ti lascia con quella voglia smisurata di partire alla ricerca di vigneti e aziende agricole, per bere, per degustare, ma soprattutto per trovare te stesso.

Alexander Payne si sposta dalla sua Omaha (Nebraska) e ci porta nella soleggiata California, insieme a un duo di cui non credevamo di aver bisogno, ovvero Paul Giamatti e Thomas Haden Church.

(Paul Giamatti & Thomas Haden Church)

Sideways è il suo quarto lungometraggio ed è basato sull’omonimo romanzo del 2004 di Rex Pickett. 

Un film che ha riscosso un enorme successo – inaspettato per alcuni – e che ha ricevuto ben cinque candidature ai premi Oscar del 2005, vincendo la categoria di miglior sceneggiatura non originale.

Ma quindi se non parla di vino, di che parla?

Miles (Paul Giamatti) è un insegnante di inglese molto introverso, intimorito dalle donne e reduce da un divorzio che l’ha catapultato in una spirale di depressione.

Durante questo periodo ha appena scritto il suo primo romanzo ed è in attesa di sapere dall’editore se ha deciso di pubblicarlo oppure no.

Miles sembra aver perso interesse verso ogni cosa, tranne che per il vino, di cui è un intenditore accanito.

Per questo motivo decide di portare il suo amico dai tempi dell’università, Jack Lapote (Thomas Haden Church), – in procinto di sposarsi – in un viaggio di una settimana nelle aziende vinicole di Santa Ynez Valley, nella contea di Santa Barbara.

(Miles & Jack)

Miles ha un unico obbiettivo, degustare e bere del buon vino, mangiare dell’ottimo cibo e giocare a golf, tutte cose che riescono a tenere i suoi pensieri lontani da Victoria, la sua ex moglie.

Mentre Jack, da questo addio al celibato, vuole solo una cosa: un’ultima scopata all’insaputa della sua futura moglie.

Durante il loro viaggio conoscono Maya (Virginia Madsen) e Stephanie (Sandra Oh): la prima una cameriera dell’Hitching Post, un ristorante che frequenta Miles quando si trova in quelle zone; la seconda un’enologa che si invaghisce subito di Jack e del suo comportamento libertino.

I due nascondono la notizia delle imminenti nozze di Jack alle due ragazze e la settimana prende una piega inaspettata.

È questa la premessa di Sideways, un film che non parla di vino, ma di relazioni umane, di scelte sbagliate, di rimpianti e di come trovare il coraggio per superare un lutto.

Il divorzio per Miles è un lutto, ma non solo per lui, i divorzi in generale sono una perdita, sono qualcosa che muore.

Miles non riesce più a mettere insieme i pezzi e vede in Jack uno stronzo di livelli cosmici, lui sta per sposarsi, ha una moglie bellissima, e nonostante questo si comporta come uno stupido adolescente che pensa solo a scopare.

Ma Jack non è completamente stronzo, è un buon amico, che cerca di liberare Miles da quelle sabbie mobili fatte di tristezza e sensi di colpa, cerca, nella sua maniera un po’ sopra le righe, di farlo uscire da quel guscio ed è grazie a Jack se Maya inizia a interagire con lui.

(Virginia Madsen & Sandra Oh)

Se da un lato Jack e Stephanie corrono con la loro relazione sentimentale, dall’altro lato Miles sembra essere spaventato a morte da Maya, non perché sia una brutta persona, ma perché sente nascere in lui quei sentimenti che credeva di aver perso con l’addio di Victoria.

E quando, finalmente, riesce a trovare il coraggio di buttarsi tra le braccia di Maya ecco che la sua incertezza e le sue paure tornano, prima si lascia sfuggire la notizia delle nozze di Jack e poi scopre che il suo libro, il progetto che gli aveva preso tre anni della sua vita, viene rifiutato dalla casa editrice.

Miles si ritrova al punto di partenza, anzi, si ritrova molto più indietro perché nemmeno il vino riesce a rimetterlo in sesto e dopo che Stephanie spacca la faccia a Jack, i due decidono di ritornare a casa, alle loro vite, in attesa del matrimonio.

Durante il film c’è una scena che fa capire come il vino sia solo un mezzo per parlare di esseri umani, e riguarda una conversazione tra Miles e Maya, seduti fuori dalla casa di Stephanie.

Maya chiede a Miles: “Perché ami tanto il Pinot Nero?”

E lui risponde: “È un’uva ardua da coltivare, e tu lo sai, no? Ha la buccia sottile, è sensibile, matura presto, insomma non è una forza come il Cabernet che riesce a crescere ovunque e fiorisce anche quando è trascurato.

No, al Pinot Nero servono cure e attenzioni, sì, infatti cresce soltanto in certi piccolissimi angoli nascosti del mondo e solo il più paziente e amorevole dei coltivatori può farcela, è così: solo chi prende realmente il tempo di comprendere il potenziale del Pinot sa farlo rendere al massimo della sua espressione e inoltre, andiamo! I suoi aromi sono i più ammalianti e brillanti e eccitanti e sottili e antichi del nostro pianeta. No, diciamolo, il Cabernet sa essere potente ed esaltante ma è troppo prosaico per me, non so spiegarti il motivo, non lo so, non lo so… e tu invece? Perché ami il vino?”.

E lei: “La verità è che amo pensare alla vita di un vino, il vino è un essere vivente e amo immaginare l’anno in cui sono cresciute le uve di un vino, se c’era un bel sole, se pioveva, e amo immaginare le persone che hanno curato e vendemmiato quelle uve, e se è un vino di annata penso a quante di loro sono morte. Mi piace che il vino continua a evolversi. E che se apro una bottiglia oggi, avrà un gusto diverso da quello che avrebbe se la aprissi un altro giorno. Perché una bottiglia di vino è un qualcosa che ha vita ed è in costante evoluzione, acquista complessità finché non raggiunge l’apice, come il tuo Cheval Blanc, e poi comincia il suo lento, inesorabile declino. E che sapore, cazzo quanto è buono!”.

In questo scambio si parla di vino, questo è poco ma sicuro, ma forse se si analizza più a fondo tra le righe, si parla di altro, si parla di sentimenti inespressi, dell’idea che i due hanno della vita e dei rapporti, con quel Pinot Nero che è più un amore difficile da coltivare, e solo chi è paziente e amorevole riuscirà a scoprirlo.

Mentre Maya dice a Miles che le persone possono attraversare un periodo tortuoso che sembra non avere fine, ma che in realtà è solo un passaggio, perché si è sempre in costante evoluzione.

I due si parlano, si conoscono e si piacciono attraverso il vino.

E quando Miles si ritrova a San Diego, in uno squallido fast food a mangiare un hamburger e bevendo di nascosto il suo Cheval Blanc (il vino più raro della sua cantina personale) da un bicchiere di plastica, si rende conto che quello che sta attraversando passerà, che il dolore si evolverà in qualcos’altro e in futuro avrà un sapore completamente differente, in fondo un buon vino ha bisogno di respirare per riuscire ad esprimersi in tutto il suo potenziale.

Il finale del film è un salto nel buio, è prendere tutto il coraggio che credevamo di aver perso e usarlo come carburante per andare avanti.

Miles si rende conto che Maya è la persona giusta, è quell’uva ardua da coltivare ma allo stesso tempo sensibile e così decide di partire di nuovo e andare a bussare alla sua porta.

(Alexander Payne sul set del film)

Alexander Payne decide di aprire il film proprio così, con il vicino di Miles che bussa alla sua porta per fargli spostare l’auto parcheggiata male, per poi chiudere tutto con Miles, intento a bussare alla porta di Maya, senza farci vedere se lei aprirà oppure no.

La prima volta che ho visto Sideways ero troppo giovane e acerbo per capirlo, per comprendere tutte le sue sfumature e infatti ricordo di non averlo apprezzato fino in fondo.

Poi sono maturato (non troppo) e ho intuito che il vino era solo una facciata, uno strumento usato da Payne per parlarci di tutt’altro.

Amicizia, amore, delusione, frustrazione, sconforto, voglia di ricominciare, non prendere tutto troppo sul serio, alla fine Miles e Jack sono il lato negativo e il lato positivo di ogni cosa, che si scontrano e sembra, per un momento, che non ci sia spazio per entrambi ma poi riescono a trovare una coesione, una fusione ed è lì che il film ci porta.

Ad oggi, questa pellicola di Alexander Payne è una delle mie preferite in assoluto e, nonostante questo, io di vino continuo a non capirci ancora nulla, però mi rendo conto di essere stato, nel corso di questi primi trent’anni di vita, sia Jack che Miles.

E poi, se guardo meglio, capisco che tutti sono stati sia Jack che Miles, nei loro comportamenti, nella loro filosofia di vita, nelle loro paure e in quel rendersi finalmente conto che il dolore ha tanti sapori e aromi differenti che solo grazie al tempo impariamo a riconoscere.

Se vuoi leggere di altri film del Maestro Alexander Payne, clicca qua!!!

Se desideri leggere di un libro che parla di crisi e dolore e perdita, allora devi per forza pigiare qui!!!

Se ami il Cinema, clicca qui a tutta birra!!!

Mercuzio and Friends è un collettivo indipendente con sede a Torino.

Un gruppo di studiosi e appassionati di cinema, teatro, discipline artistiche e letterarie, intenzionati a creare uno spazio libero e stimolante per tutti i curiosi.

Scopri di più →

GO TO TOP