La Grande Sfida: Decameron Vs Arancia Meccanica

DI ALBERTO GROMETTO

Esiste questa voce secondo la quale nell’ambito della nostra specialissima rubrica mercuziana «LA GRANDE SFIDA» si ami parlare di… PAPERE E PAPERI!!!

Soprattutto, secondo tali voci di corridoio, chissà quanto innocenti, queste papere e questi paperi si ritrovano a competere contro titoli cinematografici di straordinaria e indubbia bellezza.

Mi riferisco ad un capolavoro senza tempo che ha saputo conquistare intere generazioni, quale «GHOSTBUSTERS», che se l’è dovuta vedere con il clamoroso flop «HOWARD THE DUCK» (in originale «Howard e il Destino del Mondo»). 

Oppure anche al maestoso e magistrale «SHINING» del Sommo STANLEY KUBRICK, che invece ha fronteggiato in una sfida all’ultimo colpo il film «UN NATALE AL GIORNO» con… sì, proprio loro tre… QUI, QUO E QUA!!!

E sì, si tratta ancora di paperi. Il Vostro Affezionatissimo non può far altro che dichiarare che non è stato fatto apposta. Così come in questo caso. Perché ancora una volta ritroviamo sul ring il Maestro Kubrick da un lato e… e delle PAPERE dall’altro! 

Partiamo dalle papere. Trattasi in questo caso di papere letterarie. E provenienti non da un’opera qualsiasi, ma da una delle più celebri raccolte di novelle mai scritte: il DECAMERON di GIOVANNI BOCCACCIO!!! 

Scandaloso, salace, divertentissimo, comico, arguto, intelligente, spassoso, geniale: stiamo parlando di una raccolta di cento novelle che ha influenzato la Storia della Letteratura, italiana e non solo! Boccaccio, Maestro della Parola Scritta, racconta di un gruppo di dieci giovani fiorentini che fuggono dalla loro città per scampare dalla peste nera. Trovata una villa sulle colline nei dintorni di Firenze, per dieci giorni decideranno di raccontare ognuno una novella, per un totale di… cento! 

Sono dunque cento le novelle presenti nel «Decameron», giusto? Sbagliato! Sono 101. Ma come è possibile? Perché c’è una novella in più? Da dove viene? Quale dei giovani la racconta? 

Nessuno di loro, a raccontarla è lo stesso Boccaccio! L’autore infatti, introducendo la Quarta delle Dieci Giornate, si rivolge direttamente ai lettori, cosa che fa solamente nel Proemio e nella Conclusione. Il buon Certaldese sfrutta quest’occasione per rispondere alle ferocissime accuse mossegli da ogni parte quando cominciò a pubblicare alcune di queste novelle: questi suoi racconti, seppur simpatici, sono infine di scarsa rilevanza e lui potrebbe usare il suo ingegno per un’opera di più alto spessore… no? 

No!, afferma Boccaccio. Perché queste sue narrazioni, liete e simpatiche e scherzose, vogliono in realtà spiegare ai suoi lettori importanti verità sulla Vita e sull’Umano, attraverso però racconti semplici, comprensibili, esemplificativi. Ed è così che ci racconta questa centunesima novella, passata alla storia come “La Novella Delle Papere”.

La storia è quella del fiorentino Filippo Balducci, che un tempo aveva una moglie che amava con ogni fibra dell’animo suo. Ella però venne a mancare, lasciandolo vedovo e inconsolabile. Filippo decise che il figlio, di soli due anni all’epoca, non avrebbe mai dovuto conoscere quel dolore, e dunque non innamorarsi mai. Pertanto si trasferì col figliolo in un eremo lontano da tutto e da tutti, sul Monte Asinaio, dove lo avrebbe tenuto lontano da tutto e da tutti, senza mai raccontargli nulla dell’esistenza delle donne. Il tempo trascorse e il figliolo, divenuto grande, supplicò il padre di portarlo una volta con sé a Firenze, nella quale l’uomo si recava solo qualche volta. Filippo acconsentì. Che meraviglia quei palazzi, quelle case, quelle chiese: quel ragazzo non aveva mai visto niente di simile! Il giovane chiedeva al genitore di ogni cosa in cui si imbatteva come si chiamasse e cosa fosse. Poi, però… videro un gruppo di donne. Cosa sono, Padre Mio? E il padre, che non volle dirglielo: Sono… sono PAPERE! E aggiunse che erano una cosa cattiva. Al che il figliolo disse che non sapeva perché fossero una cosa cattiva, sapeva soltanto di non aver visto niente di più bello, tant’è che ora era suo massimo desiderio portarsene subito una a casa

Passiamo a Kubrick. Dicono fosse un tipo poco umano, ma certamente seppe raccontare meglio di molti altri l’Umano. Quella che ai miei occhi rimane la sua opera più straordinaria, tra i più belli e meravigliosi capolavori di tutta la Storia della Settima Arte, è certamente e senza ombra di dubbio ARANCIA MECCANICA.

Dalla Letteratura ci spostiamo al Cinema.

Dalla metà del Trecento ci spostiamo al 1971.

Dal poeta e scrittore Boccaccio al regista e cineasta Kubrick.

Potrei trascorrere ore intere a parlarvi della Bellezza Unica e Irripetibile di uno di quei film che non si limitano a cambiare la Storia del Cinema, ma che ti cambiano la Vita. E del resto, meglio che lo dica fin da ora, è proprio questa pellicola ad aver vinto la Grande Sfida, fin dal titolo. Aveva già vinto il mio cuore. Potrei scrivere un’enciclopedia su quella che è a tutti gli effetti una delle opere di narrativa più eccezionali possibili. Ma sto scrivendo un articolo, e dunque mi tratterrò. A stento.

Stanley ci racconta la vicenda di Alex DeLarge che insieme agli amici fa quello che (A DETTA DELLO STESSO ALEX) qualsiasi gruppo di bravi ragazzi farebbe: delinquere, rubare, distruggere, riempire di botte chiunque capiti a tiro, fare irruzione nelle case degli altri, stuprare, massacrare, ammazzare… le solite cose, no? E in mezzo se ne vanno al Korova Milk Bar a bersi un po’ di “latte+”, cioè «latte riforzato con qualche droguccia mescalina». Alex ama la violenza, o come la chiama lui “ultraviolenza”. È quello che ama di più al mondo, ciò che gli riesce meglio.

Un giorno però le cose gli vanno male, e i suoi “drughi” (così chiama gli amici) lo tradiscono. Alex finisce in prigione, fino a quando un programma governativo promosso dal Ministro dell’Interno non interviene “in suo soccorso”. In sostanza esiste un nuovissimo trattamento sperimentale di rieducazione, “La Cura Ludovico”, e stanno cercando qualcuno disposto a sottoporsi al suddetto. In cambio quel qualcuno sarà libero. Alex riesce ad essere quel qualcuno, e comincia la cura: due settimane delle peggiori possibili il cui scopo è condizionare psicologicamente il soggetto in questione. Ogni volta che si ritroverà ad aver a che fare con la violenza, fortissimi dolori, nausee e sofferenze fisiche lo fermeranno e gli impediranno di fare alcunché. Alex uscirà di prigione, sì, ma si ritroverà ad aver a che fare con tutta una serie di ingiustizie, cattiverie e soprusi ai quali non sarà in grado di rispondere, rischiando la sua stessa vita. Ma è giusto tutto questo?

Non è più un uomo violento, certo. Ma non è più nemmeno un uomo. Qualcuno potrebbe dire che se l’è meritata questa sorte, che se l’è cercata. Ma le anime più belle e sensibili e profonde tra voi, nonostante il ribrezzo che nella prima parte del film il protagonista può aver suscitato, non faranno a meno di provare pena e compassione per quel ragazzo che non può fare quello che vuole. E questo perché sentono che è sbagliato, a dispetto di tutto, togliere la capacità di scegliere a qualcuno. Il cappellano della prigione continuava a ripeterlo:

«La bontà viene da dentro, la bontà è una scelta… quando un uomo non ha scelta, cessa d’essere uomo». 

Quello che ci dicono entrambe le opere, la novella e il film, è che esiste il Libero Arbitrio, e che è più importante di qualsiasi altra cosa. Anche se questo vuol dire ammettere che il Dolore e la Sofferenza esistano.

Il nostro è un Mondo in cui il Male c’è. E lo si vorrebbe eliminare. Questo è chiaro. Ma non è giusto eliminarlo a qualsiasi costo. Ognuno di Noi ha avuto il dono il “poter scegliere”. L’Essere Umano, prima di ogni altra cosa, è un Essere che può scegliere. E che deve scegliere. Anche se questo significa ammettere l’esistenza del Male. 

E tanto, alla fine, sia in un caso sia nell’altro, ogni sforzo messo in atto per estirpare qualsiasi possibilità di scelta, non va comunque a buon fine. La Natura, che ti porti verso l’Amore come per il figlio di Filippo, o verso l’Ultraviolenza come quando parliamo di Alex, alla fine trova sempre un modo. La vita vince sempre, diceva quel mito di Ian Malcolm, in «Jurassic Park» del nostro idolo Steven Spielberg. Poter scegliere è ciò che ci rende quello che siamo. E questo vale per gli umani… quanto per le papere!

(Quel grand’uomo di Jeff Goldblum nei panni di Ian Malcolm in «Jurassic Park», il quale ci ricorda che la Vita vince sempre)

Se desideri vedere un’altra pellicola di importanza storica combattere contro un papero… allora dirigiti immediatamente negli anni ‘80 e leggiti questo!!!

Qualora invece volessi vedere un’altra pellicola di Kubrick combattere all’ultimo sangue contro i tre nipotini di Paperino… clicca subito qua!!!

Se ti è piaciuto questo articolo, leggi gli altri pezzi della nostra rubrica «La Grande Sfida»!!!

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