DI GIOSUE’ TEDESCHI
Come in Lo zen e il tiro con l’arco qui si parla di lotta per parlare di Zen.
La trama è qualcosa di assurdo: dei minatori si imbattono in un uomo nell’atto di combattere contro un T-Rex, entrambi imprigionati nel salgemma da 200 milioni di anni. Vengono scongelati e Pickle, l’uomo, viene riportato in vita. Poi si procede a farlo combattere contro i più grandi lottatori del nostro tempo, fino a Baki.
La vera forza sta nell’immaginazione.
Baki viene per ultimo non perché sia il più forte; suo padre Jugiro Hanma, l’uomo più forte del mondo, neanche lo vediamo all’opera, sfortunatamente. Baki viene per ultimo perché ha inteso la lotta come uno strumento per un fine. Mentre gli altri maestri hanno come fine la lotta in sé, o peggio, la distruzione o la sconfitta dell’avversario. Baki riesce a intendere lo scontro come un modo per conoscersi, come una conversazione muta. Dove essere gentili non vuol dire trattenersi, né tirarsi indietro. Dove essere sinceri è ancora un valore, e anzi, è impossibile mentire. Nascondere le proprie intenzioni diventa impossibile quando ci si parla corpo a corpo.
C’è un modo banale di intendere questo anime: come una storia di gente super muscolosa che si prende a pugni usando le arti marziali. E c’è un altro modo: intenderlo come via verso lo Zen. Come un romanzo di formazione se vogliamo. Seguiamo Pickle, il protagonista, che da un mondo di violenza e sopraffazione in cui aveva imparato a vincere sempre per sopravvivere, viene catapultato qui. Nel mondo moderno. In un mondo senza dinosauri enormi, ma pieno di piccoli esseri, con piccoli piedi e piccole mani. Ma con quei piccoli piedi e quelle piccole mani ci hanno creato delle armi. Hanno superato la loro debolezza fisica con, ironia, la fisica.
Lo studio del funzionamento del corpo, la determinazione, il sudore. Hanno superato i loro limiti fisici quei piccoli umani, creando qualcosa di bellissimo.
Bellissimo è tutto ciò che viene spogliato del superfluo.
È bellissimo se ogni sua parte collabora perfettamente con le altre per raggiungere uno scopo, quale che sia. Senza spreco di movimenti. In questo senso anche una forchetta è bellissima, perché ogni sua parte è necessaria per fare la forchetta. Tutto collabora armonicamente e non c’è nulla di superfluo.
E poi come si può non amare Baki, il ragazzino che ci rappresenta tutti. Ogni giorno impegnato nella sua missione di battere suo padre, superarlo. Caso vuole che sia l’uomo più forte del mondo. Per chi il proprio padre non è l’uomo più forte del mondo? Finché non si vince contro di lui, questo è. Forse qualche psicologo potrebbe fare un ragionamento migliore del mio notando che, seppure Baki intenda la lotta come un dialogo e un mezzo per conoscersi, non affronta praticamente mai suo padre. Sa che non vincerebbe, certo, ma perché non provare intanto? Perché chiudersi completamente al dialogo finché non si sarà certi di aver ragione?
Tuttavia questo verrà, magari, risolto nella cornice più ampia di Baki Hanma. Per quanto riguarda questa stagione due abbiamo conosciuto Pickle. Il cetriolo sott’aceto. Tanto ci basti.