Come ogni settimana

DI PAMELA ALLKOCI

Come ogni settimana si avvicina il weekend e con lui il tanto temuto sabato sera. Diciamolo, se per qualche fortuito caso, ti passa per la testa di restartene a casa sepolto sotto le coperte con una tisana allo zenzero in mano e quella trascinante voglia di finire la tua serie Netflix preferita, eccola che arriva. Arriva proprio lei, quella dannata chiamata delle 21:00 di sera. Dall’altra parte della cornetta c’è Paolo e ti invita ad accompagnarlo a quella serata imperdibile in quel locale carino in pieno Quadrilatero torinese.

Non ne hai la minima voglia ma esci lo stesso, un po’ spinta da pietà e un po’ perché nella tua testa si affaccia il pensiero che forse potresti trovare l’uomo della tua vita, impegnato a sorseggiare whisky di media qualità in uno splendido maglioncino blu navy rimbalzandovi sguardi da una parte all’altra del locale.

Ed ora eccoti, sei seduta negli ultimi posti del bus, hai addosso un vestitino nero di cotone, e stai ascoltando la solita playlist con le solite canzoni, guardando il finestrino annoiata. Finalmente arrivi al locale. “Molto carino” pensi, e subito riaffiora nella tua mente un’immagine, un meraviglioso quadro di Van Gogh “La Terrasse du Café, la Nuit”. Le luci calde del quartiere e i deliziosi tavolini bianchi del dehor, ti riportano nella Arles di fine ‘800 sotto un cielo stellato macchiato di bianco.

(Van Gogh “La Terrasse du Café, la Nuit”)

Paolo ha prenotato un tavolo all’interno, oltre a te sono presenti la tua amica Marta e il suo timidissimo fidanzato Giulio, Giulia, che è appena tornata da Milano e si sente in vena di “far festa” e Sebastiano, innamorato di Giulia da una vita, ma troppo timido e riservato per fare la prima mossa.

Comincia così il sabato sera, tra qualche racconto del passato e qualche progetto per il futuro, e finalmente lo vedi, seduto di fronte a te, due tavoli più avanti. Come nel quadro di Picasso “Il boccale di birra (ritratto del poeta Jaime Sabartes)”. È proprio come te lo immaginavi, nel suo completo blu di buona fattura che siede imbronciato poggiando il mento sulla sua mano sinistra. I capelli biondi tenuti un po’ lunghi e un po’ arruffati. Con quell’aria vagamente giudicante e austera. Mentre cerchi di agganciare il suo sguardo e dare il via alle danze, ti senti come la protagonista di “Automat (tavola calda)” di Hopper, misteriosa e aggraziata. Purtroppo, reggi poco l’alcol e dopo un bicchiere di vino risulti più simile alla “Bevitrice di assenzio” di Degas, completamente sfatta come una piccola acciuga che ha appena attraversato una tempesta, con lo sguardo perso. Provi ad ammiccare, ma non scatta la scintilla.

(Pablo Picasso – Il boccale di birra)

Decidi allora di rinunciarvici e continui un po’ abbattuta la tua serata, il tuo “meraviglioso” sabato sera. Mentre Giulia racconta le sue strampalate avventure nella settimana della moda a Milano, sotto lo sguardo ammaliato di Sebastiano, cominci ad osservare le altre persone presenti nel locale. È ormai quasi mezzanotte e lo scenario che ti si apre davanti è simile a “I peccati capitali” di Otto Dix. Figure grottesche e alienate si susseguono tra un battito di ciglia e un altro, dopo di tutto comincia ad essere tardi e di notte, la bellezza assume altre forme, altri colori.

(Otto Dix – I peccati capitali)

Giunge finalmente il momento di fare ritorno a casa, prima però decidi di passare un attimo alla toilette per darti una sistemata. Le luci di un bagno pubblico non provano pietà e l’immagine indegna che ti viene restituita dallo specchio è quella di “Sguardo rosso” di Schonberg. Ti spaventi e cerchi di rimediare con un po’ di correttore e cipria.

Saluti la compagnia e Paolo si offre di darti un passaggio a casa. Ovviamente accetti, perché non sei pronta ad affrontare una nuova avventura sui notturni torinesi tra orde di ragazzini ubriachi e molesti.

Arrivata a casa ringrazi Paolo per averti accompagnata, scendi dalla macchina e senti i suoi occhi seguirti fino al portone per assicurarsi che alla fine del tragitto il grande portone di legno si chiuda alle tue spalle senza intoppi. Ti strucchi e ti metti il pigiama ripensando alla serata appena trascorsa. “Senza lode e senza infamia” pensi. Chiudi gli occhi distrutta. 

Domenica mattina, ti svegli, se qualcuno in quel momento si affacciasse alla porta della tua stanza, quello che vedrebbe sarebbe “Il giorno dopo” di Munch, ma con meno romanticismo e più intorpidimento. Ti alzi, hai mal di testa, è giunta l’ora del caffè e dello stordimento della domenica.  

(Munch – Il Giorno Dopo)

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